domenica 12 gennaio 2014

La cattiveria

In questo post faccio riferimento al commento comparso sotto un mio video un po’ di tempo fa, con il fine di spiegarvi meglio un concetto essenziale nel Lavoro su di sé, che però spesso viene frainteso.
 
Nel commento in questione, la signora, dopo essersi espressa più volte contro la mia persona e il mio lavoro, a un certo punto dice (riporto a memoria, perché il commento non c’è più, e forse nemmeno il video): “Stavo per dire una cattiveria, una cosa proprio cattiva, ma mi sono trattenuta ...”.
 
In pratica questa persona ha espresso la sua antipatia nei miei confronti, poi a un certo punto le è venuta in mente una cattiveria più grossa delle altre, ma, appunto, si è trattenuta e non l’ha scritta. 
 
Ciò che mi interessa analizzare ai fini del nostro Lavoro è il perché lei non ha scritto la sua cattiveria.
Perché? 
 
Quando voi dite una cattiveria di qualcuno o vi scagliate contro il lavoro di qualcuno, cosa sta accadendo esattamente?
(uso consapevolmente il “voi” e non il “noi” perché io ovviamente mi guardo bene dal dire cattiverie di qualcuno o dal criticare qualcuno... proprio perché conosco bene l’argomento di cui mi accingo a parlarvi)
(mi ci vedete ad andare sotto il video di un relatore a scrivere qualcosa di brutto contro quel relatore? Perché vi fa ridere anche solo il pensiero? E perché invece per alcune persone è un comportamento normale?)
Secondo il sentire comune – del terrestre medio – quando una persona male-dice qualcuno, cioè, detto in altro modo, quando “parla male” di qualcuno, sta facendo del male a quella persona. Detto per inciso, quando parlate male di una persona in verità la state male-dicendo, anche se a nessuno piace usare questo termine perché viene di norma ritenuto un po’ troppo forte. Però è questo che fate.
 
Sempre secondo il sentire comune, se l’altra persona non viene a saperlo in realtà non le state davvero facendo male, se invece il pettegolezzo o la critica vengono scritte o in qualche altro modo divulgate, esiste anche l’intenzione di “colpire” quella persona direttamente (“Se lo legge si offenderà, quindi starà male”) o indirettamente (“Quello che dico serve a divulgare delle critiche nelle orecchie delle altre persone che così cambieranno idea sul soggetto che a me sta antipatico”).
 
Infatti la reticenza della succitata signora nello scrivere la sua cattiveria nasce proprio da questo inconscio ragionamento: “Le mie critiche danneggiano la persona cui le rivolgo, e in questo caso non voglio danneggiarlo troppo”. Riassumendo, nella testa del terrestre medio accade questo: quando dice una cattiveria sta danneggiando l’oggetto della cattiveria, quando invece evita di dirla gli sta facendo un favore perché non lo danneggia come avrebbe potuto. Come quando uno decide di sparare o non sparare un colpo di pistola a un’altra persona. In questo caso io dovrei ringraziare la signora perché ha evitato di ferirmi con una cattiveria in più.
 
Ma non funziona proprio così.
 
Quando pensate, dite o scrivete una cattiveria contro qualcuno non è lui che state danneggiando, bensì voi stessi. Se il bersaglio a cui mirate vibra sulla vostra stessa lunghezza d’onda (da rissa di strada) allora può essere danneggiato dalle vostre maldicenze, altrimenti no. Ma in ogni caso – che l’altro sia sul vostro stesso livello oppure no – i primi a subire un danno siete voi, e questo non può essere evitato in alcun modo una volta che la maldicenza è stata inviata. Per questo motivo sto utilizzando l’esempio del commento al fine di mettervi in guardia.
 
Pensare, dire o scrivere sono tre gradi di profondità differenti della vostra maldicenza; il terzo grado è quello più pericoloso, quello che più lascia il segno dentro di voi, perché pensare è un attimo, dire la cattiveria può succedere a chi si controlla poco, ma se arrivate a scriverla è perché ci avete riflettuto su e avete preso un decisione ben precisa. Il potenziale danno che potreste arrecare al vostro nemico è più grande, quindi è più grande il danno che sicuramente arrecate al vostro Cuore.
 
La maldicenza, il giudizio, la critica... chiudono progressivamente il vostro Cuore. Non è una questione di “libertà di esprimere le proprie opinioni”, in quanto non potete essere liberi di essere meccanici! State rivendicando il diritto alla libertà della vostra meccanicità, vi rendete conto?
 
 
Scrivere sotto un video di Berlusconi che è un ladro e che andrebbe arrestato, significa manifestare la propria libertà di parola? Questa è libertà di parola? Io me la immaginavo diversa.
 
I terrestri sono i terrestri, e loro di critiche e lamentele si nutrono, ne traggono alimento e piacere. Ma per chi svolge un Lavoro su di sé è tassativo non poter parlare male di nessuno. Non trovate giustificazioni, perché c’è sempre una giustificazione valida per parlare male di qualcuno: voi siete sempre i paladini che stanno salvando il mondo parlando male di qualcuno. Ma se davvero volete contrastare il brutto dovete lavorare per il Bello, non potete mettervi a criticare il brutto per il gusto di farlo. A meno che questo non faccia parte del vostro mestiere: se, per esempio, siete degli architetti chiamati a decidere sulla fattibilità di determinate opere civiche allora dovrete essere irremovibili contro il brutto, ma capite quanto ciò sia diverso dallo scrivere i commenti sotto i video di youtube!
 
L’essere cattivo danneggia il cattivo. La vostra attenzione si focalizza sui difetti degli altri e vi impregnate di quell’energia.  
 
Le malattie, gli incidenti, i dolori quotidiani... sono le conseguenze delle cattiverie che avete pensato, detto o scritto in passato. Perché se il Cuore si restringe l'Esistenza deve poi faticare di più per aprirlo e occorrono quindi lezioni più severe. 
 
Meno Bellezza cogliete nel mondo più il vostro Cuore si chiude, e più questo si chiude meno Bellezza potete cogliere nel mondo. È un circolo vizioso che vi conduce a diventare ciechi e rancorosi.
 
 
Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)
 

1 commento:

  1. Non concordo, sono uno di quelli che indica.
    Per poter andare verso il bello è necessario riconoscere il brutto, e se non ci sono abbastanza persone a riconoscere il brutto in quanto tale, allora non ci si muove per il bello.

    Ci vuole anche una educazione al bello, o almeno il confronto su cosa sia il bello.

    Peraltro se non ci si espone, non sappiamo mai quanti convengono con la nostra idea di bello.

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