Intervista a Alain de Benoist - di Manuel Zanarini
La crisi economica e finanziaria sta portando i “padroni della globalizzazione” alla distruzione dello stato sociale e all'impoverimento delle classi lavoratrici; ma, da nessuna parte si sentono voci di un ripensamento del “capitalismo selvaggio”, vero responsabile dello “stato del mondo”. Il crollo della “finanza virtuale”; il colossale indebitamento a cui tutti noi siamo sottoposti dal mercato; il caso dell'inquinamento della BP; la devastazione delle risorse naturali, come l'Amazzonia, ecc. non stanno spingendo i “grandi della Terra”, verso un cambio di rotta. In questa situazione, dobbiamo essere noi a prendere in mano la situazione e reimpostare la nostra vita in modo più sobrio, locale, comunitario e ecologicamente sostenibile. Per fare questo deve cambiare la nostra concezione di vita e del rapporto con la Natura. Le riflessioni di De Benoist sono una “luce” e una guida per condurci su questo arduo, ma necessario, cammino.
La crisi economica e finanziaria sta portando i “padroni della globalizzazione” alla distruzione dello stato sociale e all'impoverimento delle classi lavoratrici; ma, da nessuna parte si sentono voci di un ripensamento del “capitalismo selvaggio”, vero responsabile dello “stato del mondo”. Il crollo della “finanza virtuale”; il colossale indebitamento a cui tutti noi siamo sottoposti dal mercato; il caso dell'inquinamento della BP; la devastazione delle risorse naturali, come l'Amazzonia, ecc. non stanno spingendo i “grandi della Terra”, verso un cambio di rotta. In questa situazione, dobbiamo essere noi a prendere in mano la situazione e reimpostare la nostra vita in modo più sobrio, locale, comunitario e ecologicamente sostenibile. Per fare questo deve cambiare la nostra concezione di vita e del rapporto con la Natura. Le riflessioni di De Benoist sono una “luce” e una guida per condurci su questo arduo, ma necessario, cammino.
D: La decrescita viene presentata come un'utopia, o peggio come un ritorno al passato. Come risponde a questa critica?
R: Sono chiaramente formule polemiche. La teoria della decrescita non
solo non promuove un <<ritorno al passato>>, ma neppure
ambisce a fermare la storia. La constatazione da cui parte è che le
risorse naturali si stanno esaurendo e che non può esservi una crescita
materiale infinita in un mondo finito. In altri termini si pone contro
la logica del <<sempre di più!>>, contro la dismisura che i
Greci chiamavano hybris. In un mondo sempre più impegnato a portare
avanti questa deriva, tali proposte possono, ad alcuni, apparire
utopiche. Sono tentato di rispondere che l’utopia sta piuttosto nel
credere che la fuga in avanti in cui ci siamo imbarcati possa proseguire
all'infinito. Gli alberi non possono crescere fino al cielo...
D: Ultimamente, in ambienti ecologisti, si
è fatta strada l'idea di “sviluppo sostenibile”. Lei è molto critico
verso tale posizione. Potrebbe spiegarci la sua idea di ecologismo, e
come essa si collega alla decrescita?
R: L’idea di <<sviluppo sostenibile>> è sicuramente
accattivante, ma corrisponde soprattutto a una posizione mediatica.
All’origine dei problemi con i quali ci confrontiamo c’è la crescita
materiale, con il suo seguito di danni all’ambiente, di distruzione
degli ecosistemi, di inquinamento ecc..., conciliare la crescita
materiale con il rispetto per l’ambiente equivale a voler credere che il
cerchio possa essere quadrato. La teoria dello <<sviluppo
sostenibile>>, enunciata al Summit della Terra di Rio, 1992, porta
al <<capitalismo verde>>, ovvero all’ecologia di mercato.
L’applicazione del principio «chi inquina, paga», ad esempio, ha creato
una specie di mercato dell’inquinamento: le grandi imprese
multinazionali, che sono quelle che inquinano di più, possono pagare
senza problemi i danni del loro inquinamento. Alla fine la spesa ricade
sul costo iniziale, e di conseguenza sul prezzo di vendita. ´E proprio
in virtù dell’applicazione della <<teoria dello sviluppo
sostenibile>> che si favorisce oggi la produzione di automobili
che inquinano sempre meno. E questo fa dimenticare la realtà
dell’<<effetto di rimbalzo>>: dato che si costruiscono
sempre più automobili, e anche se il consumo di energia diminuisce per
unità, il consumo globale continua a aumentare, in modo che l’aumento
delle quantità prodotte, annulla i vantaggi ecologici - un milione di
automobili poco inquinanti lo sono molto di più nella totalità di 100
auto molto inquinanti!-. Il filosfo francese Michel Serres fornisce una
immagine molto esemplificativa dello <<sviluppo
sostenibile>> paragonandolo al capitano di una nave che
accorgendosi che sta andando dritto contro uno scoglio, decida di
ridurre la velocità invece di cambiare la rotta.
D: In questa logica dovrebbe cambiare
l'idea di Natura. Potrebbe indicarci, a riguardo, il cambio di paradigma
necessario per favorire la decrescita?
R: Gli Antichi pensavano che l’uomo appartenesse alla natura, che si
trovasse in un rapporto di co-appartenenza con essa. Al contrario, nella
Genesi, l’uomo riceve l’ordine di <<dominare la natura>>.
Con Cartesio la natura diventa un semplice oggetto e l’uomo vi si erge a
<<padrone sovrano>>. Ed è proprio questo rapporto di
dominanza che ci interessa rompere. Il mondo naturale non è una semplice
tela di fondo su cui si muovono le nostre esistenze, una sorta di
magazzino di risorse naturali, erroneamente considerate inesauribili e
gratuite all'infinito; ma, è invece una delle condizioni sistemiche
della vita. Distruggere la natura non solo significa l’eliminazione del
nostro luogo ma anche di noi stessi, come se fossimo a scadenza. Nella
prospettiva di una decrescita sostenibile, è necessario riconoscere il
valore intrinseco della natura, un valore autonomo rispetto all’uso che
ne facciamo.
D: Lei si sofferma spesso sul concetto di
“limite”, da opporre alla hybris (dismisura) tipica della società
attuale. Potrebbe approfondire tali concetti?
R: Ogni cosa ha un limite. Qualsiasi tendenza spinta al suo estremo si
trasforma bruscamente nel suo contrario. La logica del profitto e
dell’accumulo del capitale, la cui attuazione è all’oggi accelerata
dalla globalizzazione, tende per la sua propria dinamica alla
soppressione di tutti i limiti. Il capitalismo si caratterizza per il
suo carattere infinito, illimitato e del suo tentativo di vigilanza e di
omogeneizzazione del mondo. È quello che il filosofo Martin Heidegger
definì il Gestell. Ora, tra le realtà che possono ostacolare
l’espansione planetaria del capitale e la trasformazione della Terra in
un immenso mercato omogeneo, ci sono le culture popolari e i modi di
vita ben radicati nel territorio. L’unico modo per restituire al mondo
la diversità, che costituisce la sua reale ricchezza, è quello di
opporre all’espressione chiave vogliamo <<sempre di più! >>,
che caratterizza un principio fondante della modernità, quella di saper
dire, secondo una riflessione critica più audace, ma non meno
razionale, ne abbiamo <<a sufficienza>>.
D: Quali sono le misure, sia a livello
generale, che da parte dei nostri lettori, che si devono adottare per
fermare il “treno in corsa” su cui viviamo, e adottare uno stile di vita
improntato alla decrescita?
R: Si tratta di applicare questo atteggiamento critico di cui ho appena
parlato. Di non adottare un qualsiasi gadget, solo per il fatto che è
nuovo. Di rompere con l’ossessione produttivistica, con la conseguente
ossessione della merce o l’idea che di più è sinonimo di meglio. Si
tratta di riconoscere che l’uomo non vive di solo pane e che l’individuo
non può essere ridotto a quello che possiede. La logica dell’essere non
è quella dell’avere, e ancor meno la qualità non può essere ridotta
alla quantità. In modo più ampio, si tratta di <<decolonizzare
l’immaginario simbolico>>, come sostiene Serge Latouche, ovvero di
non dare più dimora alla convinzione che l’uomo è solo
produttore-consumatore, o che l’economia è il fine di ogni cosa. Il
valore non può essere sempre abbassato al valore di mercato, o di
scambio. I prezzi si negoziano, i valori no. È ora di venir fuori da un
mondo in cui niente ha più valore, ma tutto ha un prezzo.
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