Secondo l’opinione di Aleksej Gromov, capo del
dipartimento dell’energia dell’Istituto dell’energia e delle finanze,
nella gassificazione della Crimea non esistono problemi tecnologici né
quelli relativi alle risorse. A creare un grande problema è invece il
mancato desiderio dell’Ucraina di riconoscere i debiti per il gas russo:
Attualmente ciò è la pietra angolare nell’interazione dei tre giocatori, ovvero della Russia, dell’Unione Europea e dell’Ucraina. Kiev occupa qui una posizione non costruttiva violando tutti gli accordi per raggiungere i propri obiettivi politici. Così, uno sconto era previsto dal contratto firmato nel 2010 da Putin e Yanukovich perché in Crimea stazionava la Flotta del Mar Nero russa. Adesso la situazione è cambiata, ossia la Crimea si è unita alla Russia e, quindi, lo sconto va annullato. Ma il contratto del 2010 è un documento internazionalmente riconosciuto, il che consente all’Ucrana di rivolgersi ai tribunali europei, in particolare all’Arbitrato di Stoccolma. Ciò significa una procrastinazione dei pagamenti per il gas russo. L’eventuale misura di risposta da parte della Russia è la cessazione o limitazione delle forniture del gas verso il territorio dell’Ucraina. Di conseguenza, possono sorgere problemi con la consegna del gas ai paesi europei. Qui dovremmo mettere a punto una posizione costruttiva per costringere l’Ucraina a muoversi verso compromessi ragionevoli sul gas con la Russia.
Tuttavia sarà abbastanza difficile
influire sull’Ucrana, anche a causa della politicizzazione della
situazione. Ne è convinto Aleksej Kudrin, capo del dipartimento degi
studi strategici del Centro di analisi presso il governo della Russia:
Le autorità ucraine respingono fino all’ultimo i compromessi. Intendono costringere la Russia e l’Unione Europea a fare delle concessioni. Non solo, ma ci sono note le ultime iniziative dell’Ue chiamate a ridurre la dipendenza dal gas russo. Bisogna dire che, malgrado il fabbisogno oggettivo dell’Europa di gas russo, la burocrazia europea, quando si prefigge un obiettivo, si muove gradualmente, nonostante i problemi, verso la sua realizzazione. Pertanto è inutile aspettarsi un aumento delle esportazioni del gas russo verso i paesi europei. Ma è poco probabile anche la loro riduzione.
Il problema
della sicurezza dell’Europa nella sfera dell’energia può essere risolto
grazie al grande progetto di costruzione del metanodotto South Stream.
Tuttavia in ciascun paese la sua realizzazione avrà un carattere
specifico, dice Aleksej Gromov:
Abbiamo meno divergenze con la Serbia, in quanto esistono accordi intergovernativi a tutti gli effetti. Con la Bulgaria abbiamo un problema legato alla zona marittima locale. La Bulgaria è l’unico paese dove le norme del “terzo pacchetto energia” valgono non solo per il territorio ma anche per le acque adiacenti. Sorgono quindi problemi con la costruzione della parte subacquea del tubo. Il problema chiave è che la Bulgaria è interessata alla realizzazione del South Stream, visto che da ciò dipendono entrate dirette dell’erario nazionale, ma sul piano politico il paese dipende moltissimo dall’Unione Europea. In realtà, tutti gli sforzi tesi a regolare le questioni bilaterali relative alla costruzione del South Stream con i paesi attraversati dal metanodotto non bastano finché non sarà raggiunto l’accordo di principio con la Eurocommissione. Va ricordato che all’inizio della crisi ucraina Gunther Oettinger, commissario europeo per l’energia, ha dichiarato che il South Stream non è una priorità per l’Ue. Ma recentemente è stato annunciato che in linea di massima l’Europa non è contro la costruzione del metanodotto. Si tratta del primo passo verso il riconoscimento del South Stream come un elemento importante della sicurezza dell’Europa nella sfera dell’energia.
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