Quasi
300 truppe si preparano a partire per l’Iraq, come nel caso di
qualsiasi nazione in cui vi sia un’ambasciata degli Stati Uniti,
eventualmente per richiederne l’evacuazione. In alcun modo si tratta di
“intervento” o “assistenza” al governo del Paese destabilizzato.
Tuttavia, in Iraq, le testate occidentali fanno pensare diversamente ai
lettori. L’articolo del Guardian
“Barack Obama invia truppe in Iraq mentre s’aggrava l’insurrezione del SIIS”, il solo titolo fa credere che la terza “guerra in Iraq” sia iniziata. L’articolo afferma: “Gli Stati Uniti inviano rapidamente diverse centinaia di truppe in Iraq, considerando l’invio di un ulteriore contingente di forze speciali mentre Baghdad lotta per respingere l’avanzata dell’insurrezione”.
Dopo aver letto con attenzione l’articolo, tuttavia, si scopre che tali
truppe servono solo alla sicurezza dell’ambasciata USA a Baghdad. 11
paragrafi dopo, tra suggestioni, speculazioni e congetture ecco la vera
natura dello schieramento:
“Obama ha detto al Congresso che il personale militare viene inviato in Iraq per fornire supporto e sicurezza all’ambasciata statunitense di Baghdad, ma è “attrezzato per il combattimento“.
Tutte le truppe che partecipano a tali missioni
di protezione ed eventualmente evacuazione delle ambasciate
statunitensi, sono “attrezzate al combattimento“. Tale iperbole
nella migliore delle ipotesi è sensazionalismo, e nel peggiore
disinformazione intenzionale volta a minare ulteriormente la stabilità
del governo di Baghdad, implicandone la dipendenza dalle forze militari
statunitensi per la sopravvivenza.
E’ stato riportato che lo Stato
islamico in Iraq e Siria (SIIS) sia una creazione degli Stati Uniti e
dei suoi alleati regionali, con la CIA che sorveglia, armava e
finanziava l’organizzazione terroristica al confine turco-siriano nei
passati tre anni. L’incursione del SIIS nel nord dell’Iraq fu preceduta
dalla riassegnazione nella Siria orientale nel marzo 2014, da dove
preparare l’invasione dell’Iraq. Gli invasori s’impegnano in palesi
spargimenti di sangue settari nel tentativo d’innescare rappresaglie
settarie in Iraq, creando un ampio conflitto settario. La forza
relativamente piccola del SIIS può essere sopraffatta dalle forze di
sicurezza irachene se l’impatto psicologico e strategico delle sue
tattiche da guerra lampo saranno svelate e rintuzzate. Nel frattempo,
durante tale fase, gli Stati Uniti in particolare lottano per minare la
stabilità socio-politica dell’Iraq e la credibilità del governo di
Baghdad. Ironia della sorte, per farlo gli Stati Uniti posano da alleati
di Baghdad.
“La politica del tocco della morte” degli USA
I
lettori dovrebbero ricordare le varie fasi della cosiddetta “primavera
araba” ideata dagli USA, in cui Stati Uniti ed Israele intenzionalmente e
pubblicamente offrirono “sostegno” al governo assediato di Hosni
Mubaraq in Egitto, nonostante la formazione e il finanziamento delle
bande volte a rovesciare il governo. Il presunto sostegno fu
un’operazione psicologica (PSYOP) volta non ad aiutare il governo
assediato, ma a minarlo ulteriormente. Gli egiziani, nello spartiacque
politico videro Stati Uniti ed Israele con sospetto e disprezzo totali.
Posando da alleati del governo di Mubaraq, Stati Uniti ed Israele
poterono avvelenare politicamente la leadership di Cairo e negare
qualsiasi sostegno che potesse contrastare la rivolta di piazza
sponsorizzata dall’occidente. In retrospettiva, l’orchestrazione
filo-occidentale dei disordini tunisini, egiziani e libici è chiara.
Tuttavia, mentre si svolgevano, specialmente nelle fasi iniziali, i
media occidentali s’impegnarono a una massiccia propaganda. In Egitto,
una folla di 50000 persone diveniva una “di 2 milioni” attraverso crasse
menzogne, inquadrature ristrette e propagandisti in malafede come Jon
Leyne della BBC. In Libia, la natura armata della “ribellione” fu omessa
e l’agitazione spacciata quale “protesta pacifica”.
Forse la cosa più
diabolica di tutte fu il modo con cui i media mainstream ritrassero il
capo dell’opposizione egiziana Muhammad al-Baraday. Infatti, al-Baraday
era al centro delle proteste, tornato in Egitto un anno prima nel
febbraio 2010, per assemblare il suo “Fronte Nazionale per il Cambiamento”
con l’aiuto dei “movimenti giovanili” dell’Egitto guidati dal movimento
6 aprile e Wail Ghonim di Google, addestrati dal dipartimento di Stato
USA. Ma ci dissero che vi “si era era solo recato” e che era
visto con “sospetto” dall’occidente. Ci dissero anche che Hosni Mubaraq
era ancora il nostro “uomo” e gli articoli si spinsero fino a pretendere
(con affermazioni infondate) che Mubaraq stesse per fuggire a Tel Aviv,
in Israele, che inviava via aerei armi per sostenerne il regime
vacillante. Ovviamente tali “tentativi” di salvare il regime di Mubaraq
fallirono, proprio perché non furono mai destinati ad avere successo, in
primo luogo. E alla vigilia della caduta di Mubaraq, gli Stati Uniti
alla fine fecero una svolta di 180 gradi sulla sua difesa, chiedendogli
di dimettersi. Con incredibile “lungimiranza”, la rivista Foreign Affairs del Council on Foreign Relations segnalò nel marzo 2010, un anno prima della cosiddetta “primavera araba”, che:
“Inoltre, gli stretti rapporti dell’Egitto con gli Stati Uniti sono un fattore critico e negativo nella politica egiziana. L’opposizione utilizza tali legami per delegittimare il regime, mentre il governo è impegnato in manifestazioni di antiamericanismo per evitare tali accuse. Se al-Baraday ha in realtà una ragionevole possibilità di promuovere riforme politiche in Egitto, i politici statunitensi sarebbero utili alla sua causa evitando di agire con forza. Paradossalmente, i freddi rapporti di al-Baraday con gli Stati Uniti da capo dell’AIEA, supporta solo gli interessi degli Stati Uniti“.
Comprendendo il sostegno israeliano o statunitense ad al-Baraday si
sarebbe distrutta ogni possibilità di successo “della rivoluzione”.
Sembra allora che l’aperta messinscena, perfino spudorata, del sostegno a
Mubaraq nelle prime fasi dei disordini fosse un deliberato tentativo di
dirigergli contro le ire degli egiziani, e di allontanare i sospetti
dal fantoccio occidentale al-Baraday. Tentativi simili vengono fatti per
sostenere la legittimità dei fratelli musulmani, per mettere in crisi
il governo militare ora al potere a Cairo. Al di là dell’Egitto, una
campagna simile si ebbe in Libia contro Muammar Gheddafi, con voci su
Israele che cercava di salvare il regime arruolando mercenari ed anche
affermazioni secondo cui Gheddafi fosse ebreo.
Riflettendo la propaganda
grottesca volta a galvanizzare l’opposizione a Mubaraq, si tentava di
offuscare l’immagine di Gheddafi agli occhi dei nemici di USA ed Israele
fingendo un sostegno fallimentare. Contro la Siria, una campagna simile
di USA e Israele ebbe ancora meno successo. Eppure, la “politica del
tocco della morte” di Stati Uniti ed alleati regionali fu estesa a tutti
nella speranza contribuisse a minare e destabilizzare le nazioni prese
di mira. Il tentativo più recente di ritrarre Baghdad quale beneficiaria
dell’eventuale assistenza degli Stati Uniti, è volto a cercare di
fornire una negazione plausibile agli Stati Uniti mentre addestra le
legioni del SIIS, in primo luogo, indebolendo il governo iracheno
filo-iraniano di Nuri al-Maliqi agli occhi dei suoi nemici e alleati.
Tony Cartalucci Global Research,
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/18/la-verita-sulla-truppe-statunitensi-inviate-in-iraq/
Nessun commento:
Posta un commento