Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro
è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del
sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività.
Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza
soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione
interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che
rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire
dall’euro
per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un
rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la
zona euro
finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di
depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del
Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della
forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e
sociale di queste nazioni.
Questa strategia assurda non aiuterà nessuno. E la domanda che le
leadership devono porsi è: quanto può durare questa situazione senza che
ci sia una reazione politica?
In Francia e in Italia sta prendendo sempre più piede l’idea che, per
salvare il resto del progetto europeo, è necessario pensare ad uno
smantellamento coordinato dell’euro. E’ su questo punto che la politica
deve iniziare a ragionare in modo costruttivo per evitare future
reazioni a catena fuori controllo. Al momento non è utile fare
previsioni sul futuro della zona euro,
e proverei a ribaltare la questione in questo modo: non bisogna più
parlare di rischio di rottura, ma il rischio reale e drammatico è che l’euro possa sopravvivere per altri cinque anni, producendo danni inimmaginabili ai paesi del sud dell’Europa. Il “decennio perso” dell’Europa
si concluderebbe poi con uno scenario economico mondiale molto diverso
da come era iniziato e l’intero continente vivrebbe totalmente ai
margini. Il rischio vero è che l’euro sopravviva ancora. Ed è un rischio terribile per il futuro delle nazioni europee.
In Italia, ad esempio, la disoccupazione giovanile è al 46% e questo
in una fase di espansione globale. Riflettete su questo: a 5 anni
dall’inizio della ripresa globale dopo la crisi
Lehman Brothers, la disoccupazione giovanile in Italia è al 46%! E’ il
tragico risultato delle scelte perseguite all’interno dell’Unione
Europea e nella zona euro.
Detto in altri termini è l’inevitabile suicidio di scegliere
contemporaneamente politiche fiscali e monetarie restrittive. Questo,
perlopiù, in una fase in cui le banche hanno ristretto l’accesso al credito all’economia
reale per rispettare i nuovi regolamenti e la contrazione dei prestiti
ha portato al fallimento di un numero incredibile di piccole imprese in
Italia e in tutta l’Europa
del sud. Anche nel Regno Unito abbiamo utilizzato misure di austerità
fiscale, ma accompagnate da una grande spinta monetaria e lo stesso è
accaduto negli Usa. In Europa si è scelto il suicidio economico di intere nazioni.
L’economia
italiana si è contratta nel primo trimestre dell’anno. E la ripresa, a
differenza di quello che avevano annunciato, semplicemente non sta
avvenendo. Lo stesso accade in Olanda, in Portogallo e in Spagna. La
sola ragione per cui c’è un’apparente crescita in Spagna è il modo in
cui viene ora calcolato il Pil. Un’analisi accurata mostra, tuttavia,
come anche Madrid non sta crescendo. E tutti i paesi del sud, in ultima
analisi, si stanno contraendo, con la Francia che è in stagnazione. Si
tratta di una situazione paradossale, se si ragiona in un quadro di
ripresa globale ormai consolidata: se a 5 anni dalla crisi Lehman Brothers, e con un contesto internazionale migliorato, l’economia dell’area euro non è ancora al sicuro e ha ancora una situazione di disoccupazione di massa drammatica e duratura, vuol dire che c’è qualcosa di profondo che non funziona.
La contrazione del Pil nominale italiano negli ultimi due anni è un
fallimento politico di proporzioni storiche e non sarebbe mai dovuto
accadere. La riduzione del debito pubblico
e privato per i paesi del sud è praticamente impossibile in una
situazione di deflazione. Ho intervistato recentemente l’ufficiale del
Fmi nelle operazioni della Troika in Irlanda e lui mi ha detto che
Italia e Spagna per avere un debito sostenibile nel medio periodo hanno
bisogno di un tasso d’inflazione della zona euro
al 2% per oltre cinque anni consecutivi. E questo è confermato in una
serie di paper del Fmi che hanno sottolineato come la traiettoria del
debito sia fuori controllo in un contesto di bassissima inflazione. Se
la periferia della zona euro
ha “successo” nell’adempiere a quanto prescritto da
Bruxelles-Berlino-Francoforte, crea una situazione di svalutazione
interna e per riguadagnare competitività con la Germania si abbatte il
Pil nominale, rendendo fuori controllo la traiettoria del debito. Se
raggiungi quello che Bruxelles ti sta chiedendo, in poche parole, vai in
bancarotta. E’ la conseguenza del “successo”.
Non so se le autorità monetarie europee si siano mai poste questa
domanda: perchè hanno imposto queste politiche ai paesi se il loro
successo rende la situazione peggiore di quella precedente? Esiste una
ragione credibile a livello economico sul perché la Bce non vuole
raggiungere gli obiettivi di politica
monetaria e per un periodo così lungo? No, non c’è. Un’inflazione
prossima allo zero costa all’Italia il 2,6% del Pil per raggiungere lo
stesso obiettivo che potrebbe essere raggiunto se solo la Bce
rispettasse gli obiettivi imposti dai trattati. Questa situazione di
bassissima inflazione è disastrosa per il futuro economico dell’Italia.
Quando Mario Draghi ha lanciato il programma Omt – Outgriht Monetary
Transactions – nell’agosto del 2012 è cambiato tutto. L’euro stava per fallire a luglio, con Italia e Spagna che erano in una grande crisi
di finanziamento del proprio debito e la moneta unica era molto vicina
al collasso. Angela Merkel stava pensando di espellere la Grecia dalla
zona euro
e solo quando ha accertato che ci sarebbero stati troppi pericoli per
il contagio di Italia e Spagna, Berlino ha accettato il piano ideato dal
ministero delle finanze tedesco, che si è trasformato poi nel programma
Omt.
Poche persone hanno compreso bene questa fase storica: non è la Bce, ma la Germania che ha cambiato politica, trasformando l’istituto di Draghi in una prestatore di ultima istanza. Da allora la crisi della zona euro è completamente diversa e non c’è più il rischio che l’euro
possa esplodere per un fallimento bancario. Ma bisogna stare attenti
perché la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che l’Omt di Draghi
rappresenta una violazione dei trattati. Il pericolo sistemico esiste
ancora e si può arrivare ad una rottura per ragioni differenti: i paesi
del sud vivranno una situazione di depressione economica permanente, che
produrrà danni ai settori industriali nevralgici per la vita dei
diversi paesi e una situazione politicamente insostenibile
nel lungo periodo. Le elezioni di partiti radicali potrebbero quindi
forzare il cambiamento e modificare l’intero progetto.
In Gran Bretagna, l’Ukip costringerà il partito conservatore di Cameron – che è personalmente pro-Europa
rispetto ad un’ala sempre più influente di Tory che la pensa come
l’Ukip – a cambiare posizione, perché il messaggio a Bruxelles nelle
ultime elezioni è stato chiaro: il popolo britannico non tollera più una
perdita di sovranità continua. Quando in Francia a vincere è un partito
che, una volta al potere, vuole – come mi ha confermato Marine Le Pen
in un’intervista – ordinare al Tesoro francese di attivarsi per il
ritorno immediato al franco, la questione rimane centrale nel dibattito.
Come reagiranno ora i gollisti e i conservatori moderati a questo
messaggio del popolo francese alle elezioni europee e alla distruzione
dell’industria storica francese? Se il Fronte Nazionale dovesse vincere
le elezioni, la Francia non rispetterà il Fiscal Comapct e questa
ridicola legislazione decisa da Bruxelles. Gli altri partiti non possono
più ignorarlo.
Ci sono due possibili vie: i paesi della periferia comprenderanno che la permanenza nella zona euro
richiede un numero di sacrifici non più tollerabili e decideranno di
uscirne; oppure, ad esempio insieme all’Olanda che è in una situazione
similare, prenderanno possesso in modo coordinato delle istituzioni che
controllano la politica
economica dell’Ue, imponendo il cambiamento in linea con le loro
esigenze. Sarei molto sorpreso se si realizzasse quest’ultima
alternativa, dato che questi paesi non hanno certo il coltello da parte
del manico e già in passato Hollande ha fallito nel creare un consenso
con i paesi mediterranei. Ma anche se dovessero riuscirci, il rischio
della zona euro sarebbe poi l’opposto, vale a dire un’uscita della Germania, che non accetterebbe mai politiche inflazionistiche.
(Ambrose Evans-Pritchard, dichiarazioni rilasciate ad Alessandro
Bianchi per l’intervista “Il vero rischio non è la sua fine, ma che l’euro sopravviva altri cinque anni: le conseguenze sarebbero drammatiche”, pubblicata da “L’Antidiplomatico” il 4 giugno 2014).
fonte: http://www.libreidee.org/2014/06/pritchard-europa-alla-fame-se-leuro-dura-ancora-5-anni/
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