“Il karma dipende dal controllo,
o dalla mancanza di controllo della mente.”
(Gyalwa Tenzin Gyatso, 14° Dala Lama)
Il
termine “emozione” deriva dal latino “emovere” che suggerisce qualcosa
che mette in movimento la mente verso un’azione che può risultare
positiva o negativa. Per i buddisti il termine emozione indica che
qualcosa sta condizionando la mente al fine di farle adottare un certo
punto di vista. Perciò il termine emozione non corrisponde ad uno scatto
emotivo, perché essi considerano lo scatto di nervi come la
manifestazione di emozioni grossolane prodotte da una persona che è
triste, arrabbiata o in preda all’agitazione.
C’è
una grande differenza tra la psicologia buddista e quella occidentale
sul concetto di “emozione”. Infatti, per i buddisti, l’emozione non è
dannosa solo perché porta dei danni evidenti ma lo è ancora più perché
distorce la percezione della realtà. Un’emozione è distruttiva quando
diventa un fattore che oscura o che affligge la mente fino al punto
d’impedirle di vedere la realtà per quello che essa è veramente.
Se
vediamo un oscuramento della mente è segno che si è creata una
separazione tra l’apparenza e l’essenza delle cose. Un forte
attaccamento alle cose ci spinge a subire il loro fascino perciò saremo
spinti a volerle in modo assoluto. Invece la forte avversione per le
cose ce le fa percepire come assolutamente negative e non desiderabili
così che non sappiamo vedere nemmeno i lati positivi che hanno.
L'interferenza dei nostri stati emotivi ha la capacità di compromettere
la nostra capacità di giudizio.
Le
emozioni non ci consentono di valutare la vera natura delle cose. Le
emozioni negative sono dette anche oscuranti perché nascondono la natura
delle cose e finiscono per oscurare anche le qualità permanenti e
quelle non permanenti delle cose. Le emozioni negative impediscono di
vedere le qualità intrinseche alle cose perciò la loro capacità di
oscurare si estende anche ai livelli più profondi della mente fino a
limitare la libertà umana.
Esse
ci limitano perché ci costringono a pensare e agire sempre in un certo
modo, infatti ci costringono a vivere sottoposti all’influsso dei nostri
condizionamenti. Invece le emozioni costruttive vanno di pari passo con
una corretta valutazione della realtà, perché le cose, le situazioni e
le azioni non sono buone o cattive perché qualcuno lo decide.
Non
c'è nulla che lo sia in modo assoluto: il bene e il male esistono solo
in quello che facciamo agli altri. Esiste il buono e il cattivo solo nei
termini del bene o del male che facciamo producendo felicità o dolore
nell’altro. Le emozioni diventano costruttive o distruttive a seconda
della motivazione che ci spingono ad agire, perciò dobbiamo esaminare
sia le motivazioni che le conseguenze delle emozioni.
Le
emozioni saranno distruttive se avranno prodotto minore felicità,
minore benessere, minore lucidità, minore libertà e avranno operato una
maggiore distorsione della realtà. Invece le emozioni costruttive
avranno dato più felicità, benessere, lucidità e maggiore libertà. Ma da
dove nascono queste emozioni distruttive?
Secondo
gli insegnamenti buddisti nascono dalla necessità di difendere la
nostra persona, di garantire il nostro io. L’attaccamento all’ego tipico
dell’essere umano è la base per la costruzione della personalità. Se
sentiamo che il nostro ego è vulnerabile cerchiamo di adottare gli
atteggiamenti che lo compiacciono e cerchiamo di allontanare tutto
quello che non lo compiace o che non lo rassicura. Da due emozioni di
base nascono tutte le altre emozioni.
Nelle
scritture buddiste si dice che esistono 84.000 tipi di emozioni perciò
esistono 84.000 diverse porte di ingresso al sentiero della
trasformazione interiore. Questo numero tanto elevato di percezioni è
simbolico perché esprime la molteplicità dei punti di vista che possono
avere le persone. Tutte le emozioni negative si riducono a 5 veleni che
intossicano la mente: l’odio, l’attaccamento, l’ignoranza, l’orgoglio e
la gelosia.
Queste
emozioni negative ci impediscono di sviluppare quelle positive, cioè
l’amore per il prossimo, l’apertura mentale, la capacità di riconoscere
il bene, la capacità di riconoscere i propri difetti e la capacità di
dare la felicità a noi stessi e agli altri. La verità è che l’io è
un’etichetta, è un’illusione, è il nome che diamo al processo sempre
mutevole della coscienza. Se l’io è un flusso, un continuum della mente
non esiste nulla che si possa definire “io”.
Ma
allora nasce il quesito se le emozioni negative siano la vera natura
dell’uomo. Per capirlo dobbiamo distinguere i vari livelli della
coscienza. Secondo il buddismo, i livelli di coscienza sono tre: quello
ampio, quello sottile e quello molto sottile. Al livello più ampio
abbiamo tutti i tipi di emozione, perché esso corrisponde al
funzionamento del cervello e riguarda l’interazione tra il corpo e la
mente.
Il
livello sottile è quello dell’io e riguarda la facoltà d’introspezione
con il quale la mente esamina la sua stessa natura: si tratta del flusso
mentale che porta in sé le tendenze ed i modelli mentali che ci sono
più consueti e abituali. Il livello molto sottile è l’aspetto
fondamentale della coscienza, infatti è la coscienza o consapevolezza
pura e semplice che non ha bisogno di alcun oggetto per esistere.
Di
solito non sappiamo percepire la coscienza in questo modo, perciò è
necessaria l’educazione alla contemplazione per pensarla così. Ma se
pensiamo alla coscienza in questa maniera non possiamo pensare a tre
tipi di coscienza che esistono in parallelo, ma dobbiamo pensare la
mente come se fosse un oceano. L’oceano ha diverse profondità, perciò
pensiamo che le emozioni scorrono in superficie e scendono a media
profondità, ma non raggiungono mai la profondità.
Le
nostre emozioni somigliano alle onde che agitano la superficie e
scendono un poco ma, in profondità, l'oceano è calmo e silenzioso: è
sempre in quiete. La natura fondamentale della nostra mente è nel
livello più sottile che è detto luminoso. Questo termine suggerisce che
la nostra facoltà fondamentale è quella di essere consapevoli senza
avere nessuna colorazione particolare che derivi da costruzioni mentali o
da emozioni.
La
consapevolezza di fondo della mente è detta anche “la natura ultima
della mente.” Essa viene sviluppata in modo completo e senza veli quando
la si considera come la natura della condizione del Buddha. Il passo
decisivo sarà quello di decidere se sia possibile liberarsi
completamente dalle emozioni distruttive, ma diventa possibile solo se
crediamo che le emozioni negative non sono una condizioni innata e
naturale della mente umana.
Nel
buddismo si pensa che la natura della mente non è cattiva altrimenti le
emozioni negative sarebbero sempre presenti. Noi dovremmo osservare la
natura della mente e riconoscere come nasce l’odio, la paura e così via.
Questa esperienza ci mostrerebbe che le emozioni negative sono
intermittenti. Ma soltanto chi si dedica alla contemplazione della mente
può vedere la base fondamentale della sua coscienza.
Ma
se lo facessimo vedremmo che, in noi, non c’è nessuna emozione
negativa, ma che c'è solo un continuum luminoso che è collocato nel
livello più sottile della mente. Questo livello luminoso è libero da
ogni emozione distruttiva o negativa, perché la negatività non è una
qualità naturale o innata dell'uomo. Sapere che esiste la possibilità di
essere liberi è il punto iniziale della trasformazione interiore.
Buona erranza
Sharatanfonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2015/08/i-livelli-della-mente.html
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