Dopo
la svalutazione dello yuan, i mercati finanziari internazionali
iniziano a tremare. Washington ha accusato Pechino di concorrenza
sleale. Mentre la Cina vuole che lo yuan abbia diritti speciali di
prelievo, non è opportuno estenderne la svalutazione. Inoltre, se una
guerra valutaria esplode, il governo cinese rischierebbe di aumentare le
tensioni economiche e geopolitiche tra i Paesi dell’Asia-Pacifico.
Pertanto, gli Stati Uniti ne smantellerebbero le iniziative per la
cooperazione regionale, minando quindi l’ascesa della Cina a potenza
mondiale. Le 3 svalutazioni dello yuan, tra il 10 e il 12 agosto, hanno
implicazioni importanti per l’economia mondiale e l’equilibrio
geopolitico dell’Asia-Pacifico (1). Il surplus commerciale
“relativamente grande” mantiene “relativamente forte” un cambio efficace
che, però, non è “del tutto coerente con le aspettative del mercato“,
afferma la Banca popolare di Cina in una dichiarazione.
C’è panico tra
gli investitori nei mercati finanziari negli ultimi giorni. Il cambio
arriva a 6,3306 yuan per dollaro, una svalutazione non oltre il 5%.
Comunque la Cina mostra interesse a far aderire lo yuan ai diritti
speciali di prelievo (2), il paniere di valute lanciato dal Fondo
monetario internazionale (FMI) nel 1969, ed è chiaro che il valore della
moneta dovrebbe rimanere stabile, essendo uno dei requisiti che le
valute di riserva globale devono soddisfare (non nel caso del dollaro
sceso dal 70 al 60% in proporzione alle riserve valutarie delle banche
centrali, tra il 1999 e il 2014) (3).
La campagna mediatica contro lo yuan
Tuttavia, gran parte della stampa occidentale non ha esitato a sostenere che la svalutazione della “moneta del popolo” (‘RMB’) miri a sostenere l’economia d’esportazione in modo brusco. Donald Trump, candidato presidenziale del partito repubblicano, s’è lanciato contro le misure adottate dalla banca centrale: un tentativo cinese di “distruggere” le industrie degli USA. Tale campagna mediatica contro la Cina non è nuova. Per anni Washington ha accusato Pechino di manipolare il tasso di cambio. Tuttavia, la verità è che lo yuan non s’è deprezzato in modo “artificiale”, ma piuttosto s’è apprezzato nei confronti della valuta statunitense.
Tuttavia, gran parte della stampa occidentale non ha esitato a sostenere che la svalutazione della “moneta del popolo” (‘RMB’) miri a sostenere l’economia d’esportazione in modo brusco. Donald Trump, candidato presidenziale del partito repubblicano, s’è lanciato contro le misure adottate dalla banca centrale: un tentativo cinese di “distruggere” le industrie degli USA. Tale campagna mediatica contro la Cina non è nuova. Per anni Washington ha accusato Pechino di manipolare il tasso di cambio. Tuttavia, la verità è che lo yuan non s’è deprezzato in modo “artificiale”, ma piuttosto s’è apprezzato nei confronti della valuta statunitense.
Dal 2005 (quando il regime di cambio era più flessibile)
ad oggi, la valuta cinese s’è apprezzata di circa il 30% nei confronti
del dollaro, quindi è solamente esagerato sostenere che la svalutazione
dello yuan, del 4,6%, nella seconda settimana agosto sia il principale
responsabile del crollo dell’economia degli Stati Uniti. E’ vero che
merci a basso costo prodotte in Cina sono vendute agli statunitensi come
mai prima. Tuttavia, dato che posti di lavoro ben retribuiti non
esistono negli Stati Uniti da decenni, famiglie e imprese sono più
preoccupate a risolvere i loro debiti che a porsi domande sull’origine
dei prodotti a basso costo che acquistano quotidianamente nei
supermercati.
Tuttavia, il governo degli Stati Uniti insiste nel
screditare le politiche della Banca di Cina. Niente di strano, le banche
centrali non sono note per i compromessi. La storia dimostra che in
tempi di crisi e recessione globale, le istituzioni responsabili della
politica monetaria agiscono unilateralmente per sostenere le proprie
economie. La Federal Reserve degli Stati Uniti è di gran lunga
il caso più illustre. Senza consultarsi con altre banche centrali, senza
assoggettarsi alla volontà del Congresso, l’ex-presidente Ben S.
Bernanke annunciò nel dicembre 2013 la riduzione del programma
d’iniezione di liquidità (‘quantitative easing’). La mossa precipitò il
crollo dei mercati azionari e dei tassi di cambio delle economie
emergenti.
Un anno dopo, la nuova presidentessa della Federal Reserve
Janet Yellen annunciava la decisione di aumentare il tasso d’interesse
dei fondi federali per il 2015. Anche se Yellen non contrasse il credito
(‘tightening’), le valute di tutto il mondo accelerarono la debacle
degli ultimi mesi. Tale situazione ha indotto Banca centrale europea
(BCE), Banca d’Inghilterra e Banca del Giappone a lanciare programmi
d’iniezione simili a quelli della Federal Reserve, con l’obiettivo di
limitare l’aumento del dollaro verso la loro valute. Invece, la Banca
popolare di Cina non fece alcuna azione straordinaria lasciando lo yuan
molto stabile. Perché? In pratica, la valuta cinese resta in gran parte
legata alle quotazioni del dollaro. Così, mentre tra la metà del 2014 e
l’inizio del 2015 il dollaro si è apprezzato del 15-20% sulle valute più
scambiate al mondo (euro, sterlina, yen, ecc), solo lo 0,6% fu
osservato con lo yuan (4).
Il gioco cinese con diverse palle
Tuttavia, gli ostacoli che la Cina deve superare non sono pochi (5). Per diversi anni il governo cinese ha attuato una serie di “riforme strutturali” affinché l’economia passasse dal modello di accumulazione massiccia a uno che favorisce l’espansione degli investimenti sul mercato interno. L’obiettivo a lungo termine del Partito comunista cinese è aumentare il consumo degli abitanti (crescente potere d’acquisto attraverso i salari) e diminuire la centralità del risparmio.
Tuttavia, gli ostacoli che la Cina deve superare non sono pochi (5). Per diversi anni il governo cinese ha attuato una serie di “riforme strutturali” affinché l’economia passasse dal modello di accumulazione massiccia a uno che favorisce l’espansione degli investimenti sul mercato interno. L’obiettivo a lungo termine del Partito comunista cinese è aumentare il consumo degli abitanti (crescente potere d’acquisto attraverso i salari) e diminuire la centralità del risparmio.
Questo spostamento è diventato più urgente che mai con la contrazione
degli investimenti d’impresa e il crollo della domanda estera. Il mese
scorso le esportazioni della Cina si sono ridotte dell’8,3% in termini
annui, mentre le importazioni dell’8,1%. Mantenendo l’involuzione in
sincronia con l’estrema debolezza del commercio mondiale, il cui tasso
di crescita è al livello minimo degli ultimi 20 anni (6). “Nonostante
un tasso ancora più elevato, la crescita del PIL della Cina è
rallentata; la svalutazione, anche se non può essere definita radicale,
invertirebbe tale tendenza“, ha detto Paulo Nogueira Batista,
Vicepresidente della banca di sviluppo BRICS (Brasile, Russia, India,
Cina e Sud Africa), in un’intervista con l’agenzia Sputnik (7).
Tuttavia, va notato che le società cinesi hanno esportato quasi il 60%
della produzione verso i Paesi industrializzati, secondo le stime di
Jonathan Anderson, dell’Emerging Advisors Group (8). Dato che i Paesi
del G7 (Germania, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone e Regno
Unito) sono quasi immersi da stagnazione e deflazione (diminuzione dei
prezzi), rivitalizzare l’economia cinese tramite l’esportazione sarà
molto complicato. D’altra parte, il settore immobiliare comincia a
risentire degli effetti del sovrainvestimento.
Le agenzie immobiliari
non trovano più abbastanza clienti nel mercato cinese. Il calo delle
vendite non può aumentare gli investimenti. Di conseguenza, le aziende
impegnate nella produzione di materiali da costruzione (acciaio,
cemento, legno, vetro, ecc.) ne sono anche gravemente danneggiate, a
causa degli stretti legami con il settore immobiliare (9). Le azioni
della banca centrale per gestire il rallentamento dell’economia sono
molteplici e non limitate alla svalutazione della moneta. Durante
l’ultimo anno, la Banca popolare di Cina ha abbassato il tasso
d’interesse di riferimento e i requisiti patrimoniali del sistema
bancario in modo da rilanciare i prestiti alle attività produttive.
La
Cina ha anche lanciato un piano di stimolo fiscale i cui costi sono
stimati il 12% del PIL. Il governo cinese gioca con più palle (10). I
cinesi cercando di passare da un’economia focalizzata sui massicci
investimenti a una trainata dai consumi senza sacrificare la crescita
economica; cercano di frenare la speculazione nel settore immobiliare e
sui titoli azionari (azioni, materie prime, ecc), ma senza tagliare il
credito all’industria; aspirano alla leadership nel settore finanziario,
ma sono preoccupati dalla volatilità finanziaria imposta dal mercato
globale dei capitali. Il governo cinese saprà adempiere a questa
impresa?
Il rischio di deflazione globale
La sfida non è da poco. Le autorità di Pechino appaiono sempre più preoccupate dalle prospettive globali. L’economia mondiale accelera la transizione verso la deflazione (caduta dei prezzi). Non si tratta più solo della debolezza dei prezzi delle materie prime (‘commodities’) e della stagnazione economica deflazionistica in Paesi come il Giappone, che ne soffre dal 1990. La crisi deflazionistica in Grecia s’è consolidata e minaccia di diffondersi in gran parte delle economie della periferia europea. Secondo i dati pubblicati da ELSTAT, l’inflazione in Grecia è scesa al 2,2% annuo, il mese scorso. Così, la deflazione si è accumulata per 29 mesi consecutivi nella nazione ellenica (11).
La sfida non è da poco. Le autorità di Pechino appaiono sempre più preoccupate dalle prospettive globali. L’economia mondiale accelera la transizione verso la deflazione (caduta dei prezzi). Non si tratta più solo della debolezza dei prezzi delle materie prime (‘commodities’) e della stagnazione economica deflazionistica in Paesi come il Giappone, che ne soffre dal 1990. La crisi deflazionistica in Grecia s’è consolidata e minaccia di diffondersi in gran parte delle economie della periferia europea. Secondo i dati pubblicati da ELSTAT, l’inflazione in Grecia è scesa al 2,2% annuo, il mese scorso. Così, la deflazione si è accumulata per 29 mesi consecutivi nella nazione ellenica (11).
Dopo che
la troika (composta da Fondo monetario internazionale, Banca centrale
europea e Commissione europea) ha imposto ad Atene un nuovo piano di
salvataggio che promuove la politiche di austerità, è chiaro che la
deflazione avrà alla fine maggiore slancio e, quindi, diverrà una
minaccia letale per la Germania, il socio commerciale della Cina. In
breve, Pechino non risparmia sforzi per ricacciare le tendenze recessive
che si avvicinano poco a poco alla propria economia, e che tra l’altro
colgono di sorpresa sempre più Paesi: da Germania, Francia e Regno
Unito, a Canada, Messico e Sud America (Argentina, Brasile, Venezuela,
ecc).
Washington punta i missili su Pechino
Il contesto economico regionale non è esente da focolai deflazionistici (12). L’indebolimento dello yuan non è ben visto dai Paesi limitrofi della Cina (13). Le valute di Corea del Sud, Indonesia, Malesia, Singapore e Thailandia hanno toccato i minimi storici dopo la svalutazione del ‘renminbi’, e allo stesso tempo le borse hanno chiuso con perdite comprese tra 0,5 e 1,5%. Se le banche centrali dell’Asia-Pacifico sono tentate dall’intraprendere la corsa alla svalutazione, volta ad “impoverire il vicino” (“beggar-they-neighbor‘) (14), i riusciti appelli della Cina per attivare Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (‘Infrastrutture Asian Investment Bank‘), Fondo per la Via della Seta (‘Silk Road Fund’) e Zona di libero scambio del Pacifico (‘Area di libero scambio dell’Asia-Pacifico’) sarebbero gravemente minacciati. Al contrario, le società statunitensi non perdono occasione per cercare il sostegno da diversi leader asiatici per ampliare l’adozione dell’accordo di Partnership Trans-Pacifica (15).
Il contesto economico regionale non è esente da focolai deflazionistici (12). L’indebolimento dello yuan non è ben visto dai Paesi limitrofi della Cina (13). Le valute di Corea del Sud, Indonesia, Malesia, Singapore e Thailandia hanno toccato i minimi storici dopo la svalutazione del ‘renminbi’, e allo stesso tempo le borse hanno chiuso con perdite comprese tra 0,5 e 1,5%. Se le banche centrali dell’Asia-Pacifico sono tentate dall’intraprendere la corsa alla svalutazione, volta ad “impoverire il vicino” (“beggar-they-neighbor‘) (14), i riusciti appelli della Cina per attivare Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (‘Infrastrutture Asian Investment Bank‘), Fondo per la Via della Seta (‘Silk Road Fund’) e Zona di libero scambio del Pacifico (‘Area di libero scambio dell’Asia-Pacifico’) sarebbero gravemente minacciati. Al contrario, le società statunitensi non perdono occasione per cercare il sostegno da diversi leader asiatici per ampliare l’adozione dell’accordo di Partnership Trans-Pacifica (15).
Il Pentagono, nel frattempo, si propone
di rilanciare la dottrina del perno contro la Cina, con il sostegno
militare del Giappone. Non c’è dubbio che sia un piano astuto degli
Stati Uniti minare la crescente influenza della Cina nella regione
Asia-Pacifico. Nell’offensiva imperiale statunitense, il governo cinese
deve rimanere vigile e soprattutto tener conto delle lezioni del
Generale Sun Tzu (autore de “L’arte della guerra’): per sconfiggere il
nemico senza combattere. La svalutazione dello yuan ha evidenziato che i
prossimi mesi saranno decisivi nel consolidare la crescita della Cina a
potenza mondiale. Solo il tempo potrà infine rivelare se sia possibile
risolvere le contraddizioni economiche interne senza mettere a
repentaglio la coesione regionale. La moneta cinese è nell’aria…
Ariel Noyola Rodriguez* RussiaToday
*Laurea in Economia e Commercio presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico.
*Laurea in Economia e Commercio presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico.
Note
1 “Un mapa muestra el impacto global de la devaluación del yuan“, Russia Today, 18 agosto 2015
2 “El desafío de China ante el FMI: incorporar el yuan a los Derechos Especiales de Giro“, Ariel Noyola Rodríguez, Russia Today, 31 marzo 2015.
3 “Get ready for yuan in IMF basket“, Mike Bastin, China Daily, 17 agosto 2015
4 “China’s exchange-rate policy: Currency peace“, The Economist, 21 febbraio 2015.
5 “Five reasons to be worried about the Chinese economy“, Larry Elliott, The Guardian, 14 agosto 2015.
6 “World shipping slump deepens as China retreats“, Ambrose Evans-Pritchard, The Telegraph, 17 agosto 2015.
7 “Devaluación del yuan puede acelerar economía china, dice funcionario del BRICS“, Sputnik Mundo, 12 agosto 2015.
8 “China, the Fed and emerging markets: Yuan thing after another“, The Economist, 13 agosto 2015.
9 “Devaluation Hints at China’s Rising Distress Over Economy “, Neil Gough, The New York Times, 12 agosto 2015.
10 “Markets and economics: The curious case of China’s currency“, The Economist, 11 agosto 2015.
11 “Greek deflation steady in July, prices fall for 29th month“, Reuters, 7 agosto 2015.
12 “China’s currency devaluation could spark ‘tidal wave of deflation‘”, Heather Stewart, The Guardian, 12 agosto 2015.
13 “Renminbi fallout threatens Asian neighbours“, Steve Johnson, The Financial Times, 14 agosto 2015.
14 “China’s Renminbi Devaluation May Initiate New Phase in Global Currency War“, Peter Eavis, The New York Times, 13 agosto 2015.
15 “Currency Devaluation Shows the High Cost of China’s Soft Power“, David Francis, Foreign Policy, 11 agosto 2015.
1 “Un mapa muestra el impacto global de la devaluación del yuan“, Russia Today, 18 agosto 2015
2 “El desafío de China ante el FMI: incorporar el yuan a los Derechos Especiales de Giro“, Ariel Noyola Rodríguez, Russia Today, 31 marzo 2015.
3 “Get ready for yuan in IMF basket“, Mike Bastin, China Daily, 17 agosto 2015
4 “China’s exchange-rate policy: Currency peace“, The Economist, 21 febbraio 2015.
5 “Five reasons to be worried about the Chinese economy“, Larry Elliott, The Guardian, 14 agosto 2015.
6 “World shipping slump deepens as China retreats“, Ambrose Evans-Pritchard, The Telegraph, 17 agosto 2015.
7 “Devaluación del yuan puede acelerar economía china, dice funcionario del BRICS“, Sputnik Mundo, 12 agosto 2015.
8 “China, the Fed and emerging markets: Yuan thing after another“, The Economist, 13 agosto 2015.
9 “Devaluation Hints at China’s Rising Distress Over Economy “, Neil Gough, The New York Times, 12 agosto 2015.
10 “Markets and economics: The curious case of China’s currency“, The Economist, 11 agosto 2015.
11 “Greek deflation steady in July, prices fall for 29th month“, Reuters, 7 agosto 2015.
12 “China’s currency devaluation could spark ‘tidal wave of deflation‘”, Heather Stewart, The Guardian, 12 agosto 2015.
13 “Renminbi fallout threatens Asian neighbours“, Steve Johnson, The Financial Times, 14 agosto 2015.
14 “China’s Renminbi Devaluation May Initiate New Phase in Global Currency War“, Peter Eavis, The New York Times, 13 agosto 2015.
15 “Currency Devaluation Shows the High Cost of China’s Soft Power“, David Francis, Foreign Policy, 11 agosto 2015.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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