Le industrie belliche, sempre più dipendenti dalle esportazioni per i
tagli alle spese militari di Stati Uniti ed Europa, ora guardano
all’Africa.
Dimentichiamo il Sud America, il Medio Oriente e il Sud Est asiatico:
il mercato delle armi ora guarda al Continente nero. Le compagnie
internazionali di difesa, sempre più dipendenti dalle esportazioni a
causa dei tagli alle spese militari in Occidente, si sono create un
nuovo orizzonte in una terra in cui, di guerra, non ce n’è mai
abbastanza. E dove nuove risorse vengono continuamente scoperte. Secondo
le proiezioni del settimanale statunitense Defense News, la spesa
militare in Africa nel prossimo decennio supererà i 20 miliardi di
dollari.
Le ragioni di un tale boom, secondo un approfondimento dell’UPI, sono
molteplici. In primis, il potenziamento degli eserciti del Continente
nero, che costituisce il 20 per cento delle terre emerse: dal processo
di decolonizzazione che ha avuto il suo culmine negli anni ’60, infatti,
l’Africa ha visto avvicendarsi sul suo territorio più ribellioni, colpi
di stato e guerre civili di ogni altra regione al mondo. Secondo il
programma di ricerca statunitense Correlates of War, negli ultimi 60
anni sono state contate circa 25 conflitti armati e 127 guerre civili,
per un totale di 20 milioni di morti, decine di milioni di feriti e un
numero incalcolabile di sfollati. Molti di questi conflitti, sconosciuti
ai più – e chiamati quindi “guerre dimenticate” – continua ad aver
luogo proprio in Africa.
La mano delle ex-potenze coloniali, per 60 anni, ha armato questa o
quella guerriglia a seconda del ritorno più fruttuoso garantito. La
situazione sembra aver subito una svolta dopo l’11 settembre: gli sforzi
occidentali si sono quindi concentrati sul potenziamento dei deboli
eserciti nazionali africani per contrastare il terrorismo internazionale
che, forte del caos nel continente più ricco di risorse al mondo, vi
trova terreno fertile per le proprie azioni. Le zone privilegiate da
Stati Uniti ed Europa di strategia antiterroristica sono il Corno
d’Africa e il Sahel, entrambi basi di al-Qaeda, entrambi in una zona
sensibile dove la presenza di gas e petrolio fa’ la differenza.
“Le Nazioni africane- spiega un analista di mercato citato da Defense
News – dicono di aver bisogno di potenza di fuoco, forze modernizzate e
migliore mobilità delle armi per combattere i militanti che sono
diventati il flagello degli stati da est a ovest”. In un articolo della
rivista Oxford Analytica si nota come questo sia un periodo di
straordinaria espansione per la maggior parte degli eserciti dell’Africa
sub-sahariana, nonostante una crescente diffusione della povertà.
Questo, secondo la rivista, è dovuto alle vaste operazioni di
mantenimento della pace finanziate dai donatori esteri: “Dal 2001 gli
eserciti africani hanno goduto di supporto esterno a livelli mai visti
dall’apice della Guerra Fredda”, con particolare riferimento a Uganda,
Etiopia, Kenya e Nigeria. “I programmi europei e statunitensi – si legge
ancora nell’analisi – hanno finanziato varie iniziative volte alla
‘stabilizzazione’ e ‘consolidazione democratica’: purtroppo questi
schemi sembrano aver avuto un successo molto limitato sul campo”.
Il bisogno delle nazioni africane di essere addestrate meglio e
armate fino ai denti nasce, secondo l’analisi, dalle “percezioni di alti
rischi per la sicurezza”. La ragione si trova soprattutto nelle risorse
recentemente scoperte. Somalia, Kenya, Mozambico, Sudafrica – ma anche
l’Uganda all’interno – devono ora fare i conti con i giacimenti di gas e
petrolio che punteggiano le loro coste. “La corsa africana al mercato
della difesa – spiega il colonnello Joseph Sibanda, un ufficiale
dell’esercito dello Zimbabwe in pensione e ora analista militare – è
appena cominciata, e continuerà per tutto il prossimo decennio”. Secondo
Sibanda, paesi come il Mozambico, un’ex colonia portoghese impoverita
che ora è il centro di un boom del gas africano assieme alla vicina
Tanzania, l’Uganda e il Kenya, hanno bisogno di ricalibrare le proprie
esigenze di difesa per proteggere i nuovi giacimenti. “Velivoli
militari, mezzi corazzati, sistemi d’artiglieria avanzati, assieme a
controllo marittimo aereo, droni e pattuglie navali saranno in cima alla
lista dal momento in cui gli eserciti dovranno modernizzarsi per
affrontare le nuove minacce alla sicurezza”.
In questo mercato così appetibile sguazza il Sudafrica, l’unico stato
del continente a possedere un’industria militare: la sua sopravvivenza e
la sua forza si devono a un “gemellaggio” di armi portato avanti con
Israele almeno fino al 1994, anno della fine del dominio dei bianchi.
Anche l’Egitto, un tempo partner militare privilegiato di Pretoria, dopo
gli accordi di pace del 1979 con Israele si è allontanato dal Sudafrica
orientandosi verso gli aiuti militari statunitensi. Pretoria ha quindi
guardato e agito a lungo all’interno del continente e, come conclude
Sibanda, cavalca ora l’onda del rinnovato interesse occidentale per la
difesa degli stati africani: “Le società sudafricane sono soprattutto in
una posizione migliore per trarre il meglio da questa opportunità di
business, data la loro eccellente esperienza nel soddisfare le esigenze
di difesa continentali”.
di Giorgia Grifoni per NenaNews
Fonte: http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=86691&typeb=0&Africa-sempre-piu-armata
http://www.losai.eu/africa-sempre-piu-armata/
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