lunedì 11 novembre 2013

GRANO E LOGLIO DI CASA NOSTRA

 GRANO E LOGLIO DOMESTICI
 
“Chi è ribelle? L’uomo che dice no”. (Albert Camus)
 
“Il Presidente Napolitano esprime apprezzamento per i temi affrontati quest’anno, cultura e fratellanza, che testimoniano il costante e meritorio impegno del Grande Oriente d’Italia nel riaffermare quei principi di solidarietà e di contrasto a ogni forma di integralismo che sono alla base di un’etica civile fondata sul dialogo e sul rispetto reciproco”. (Giorgio Napolitano, 2013)
 
Tutta la propaganda per la guerra, tutte le bugie urlate e l’odio, vengono invariabilmente da gente che non combatte”. (George Orwell)
 
“Se si applicassero i giudizi di Norimberga, ogni presidente americano del dopoguerra sarebbe stato impiccato”. (Noam Chomsky)
 
“Sii gentile, poiché chiunque tu qui incontri sta combattendo una battaglia più dura”. (Platone, mentre si aggirava per la Val di Susa)
 
Dalla casa di Beppe che mi ospitava, l’alba vissuta dal grande finestrone era ogni giorno un abbagliante spettacolo pirotecnico: dai primissimi accenni di luce giallo-limone, a sbaffi giallo-ocra che s’inerpicavano sull’orizzonte sfondando la cancellata della bassa valle, a vampate carminio a sposare i monti da sud a nord, fino a un cielo celestino sfondato e striato a raggiera dall’epifania del sole. Sotto, una bruma dalla quale facevano capolino agglomerati di tetti, una striscia lucente di acqua, la Dora Riparia, capannoni ahinoi abbandonati, e quel fascio di infrastrutture (statali, autostrade, elettrodotti) che tagliano e opprimono la valle da cima a fondo. Infrastrutture che i bulimici di redditizie devastazioni vorrebbero coronare con una di quelle Grandi Opere che, riempiendone le tasche, ingrassano e tengono saldo in piedi il complesso politico-militar-affaristico incaricato dai padroni dell’Occidente di mettere le manette al resto dell’umanità.
 
Otto giorni in Val di Susa, sottoposto a una costante doccia scozzese. A entusiasmo, commozione, euforia, per ritrovarsi, ringiovaniti di quaranta-settant’anni, in un’Italia neo-giovane che fa rivivere quella che si seppe scrollare di dosso la camicia di forza del regime fascista, prima, e democristo-revisionista-mafioso poi, si alterna l’irata indignazione per come questa fioritura da un antico seme torni a essere minacciata dalle tronchesi di “spiriti animali” più feroci di prima. Di qua il popolo della Val di Susa, migliaia decorati da nomi come Nicoletta, Alberto, Lele, Giorgio, Gabriella, Paolo, Stefano, Beppe e i loro sostegni tecnico-scientifico-morali, Zucchetti, Cancelli, Vattimo, Mattei, Revelli e politici, quelli dei Cinque Stelle, e degli onesti di sinistra PRC; di là i cantieri dello stupro e un pretoriano di regime per ogni 120 abitanti a custodirli e a tenere a bada un popolo di insofferenti.
 
Ultimi arrivi, 400 alpini che, come i droni Usa formatisi nella polverizzazione di famiglie in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, stanno facendo la loro apparizione sulle teste delle decine di milioni di statunitensi incazzati e segnalati dallo spionaggio NSA, sono chiamati ad applicare in Valle (e poi chissà dove) la lezione imparata tra Kabul e Herat. Del resto, tutto questo fa parte di un altro insegnamento che Washington impartisce alla “Comunità Internazionale” per la bisogna in corso: militarizzare la polizia, polizizzare l’esercito. Non potevano far mancare, i No Tav, un bel presidio di denuncia di questa militarizzazione-laboratorio, davanti alla caserma degli Alpini di Rivoli. In difesa delle truppe addestrate alla sottomissione di territori e persone, donne, bambini e piante di indiscutibile matrice terroristica, si schierava un dispositivo carabinieri-polizia folto il doppio dei manifestanti armati di volantini, ovviamente anche questi a rischio di sfracelli terroristici.
 
Hanno spostato in Val Clarea il cantiere da Chiomonte, donde erano stati cacciati dal terrorismo collettivo del 90% degli abitanti, come espresso da insediamenti di presidi, campeggi, cortei e, a volte, ove occorreva difendere la ghirba dai discepoli di Diaz, Bolzaneto e piazze varie d’Italia, con mortaretti e fumogeni e, infine, corpi. Quelli sotto la Bastiglia erano molto più cattivi. Eppure oggi li si portano in palmo di mano e li si esibiscono al Louvre e nelle scuole. Succederà così anche ai bastigliesi della Val di Susa. In Val Clarea i feldmarescialli della Vandea hanno trovato un terreno più consono alla loro guerra. La fortezza, da cui parte lo scarafaggio gigante per mangiarsi la montagna (il tunnel detto geognostico) è collocata nel fondo di un imbuto. L’angustia della valle e la ripidità delle pareti che la stringono dovrebbero evitare l’accesso, l’assedio e un’altra fuga di occupanti nell’uragano della collera popolare. Ma ai valsusini le sfide piacciono. Sanno che dopo Austerlitz e Wagram, vengono la ritirata dalla Russia e Waterloo, tanto più che altro che Napoleone: qui scarafaggi e scarafaggini. E dopo i tanti presidi sparsi nella valle, altrettante sentinelle che, come la Sacra di San Michele svettante sulla valle, osservano e frenano l’invasore, ancora più in su della fortezza si è insediato un villaggetto di tende e capanne, come per una sagra di paese, con, a corona, il memoriale  di chi non ha ceduto, dal 1943 a oggi. Oggi ci si va in spedizione quotidiana, chi a far festa, chi a pregare, chi a far sentire e vedere, ancora e ancora, una rivolta che ha la giovanile maturità di un quarto di secolo. L’età delle migliori prestazioni. Fra un po,’ tutto finirà sotto neve e ghiaccio. Nella stagione buona il presidio si ripopolerà e gli immensi castagneti si rianimeranno e non perdoneranno lo sfregio dei loro arti recisi per lasciar posto a fango, aridità, frastuono di macchinari e di granate tossiche. 
 
La veduta dell’orrida lacerazione della valle, perpetrata con casematte e mezzi per le centinaia di militari, megacilindri di metallo, serbatoi di acquacce tossiche di risulta (che pare abbiano già causato una morìa di pesci nella Clarea), baracche per i quattro gatti di operai a cottimo precario, alla mercé da ditte ad alto tasso di sospetto criminale (spadroneggia la plurinquisita CMC, cooperativa “rossa” prescelta da Nato, Usa, e speculatori di regime) e la voragine del buco, è squadrettata da alte reti con sopra filo spinato a lame taglienti di stile israeliano. Non dissimili dal muro  eretto dagli Usa tra loro e il Messico, perforabile dal narcotraffico, ma chiuso ai migranti, o a quello con cui Israele squarcia la Palestina. Muri di una fortezza Bastiani, ma con fuori non il deserto, ma miliardi di tartari.  Non si vede un operaio. La Talpa, mostro divoratore, mangia da sola. Invece nugoli di militi in divisa, sostano qua e là, tutti con lo sguardo e i nervi fissi sulle nostre sagome al di qua del muro. Un plotoncino di nerboruti uniformati, con in testa una poliziotta fotografa che ci incamera nei souvenir della Digos, ci segue in parallelo dall’altro lato. Sembrano tante ombre di Banco. Esibisco, per temperarne la foga indagatrice, il tesserino di giornalista ed ecco che, di colpo, si materializzano dal nostro lato: “Documenti!”. Sulla pubblica via, noi inoffensivi, inermi, rabbiosamente allegri. 
 
Succede ininterrottamente, su e giù per la valle, da Venaus a Chiomonte, da Avigliana a Susa. La zona rossa è a geometria variabile, siamo all’arbitrio intimidatorio: tutti sospetti, da schedare a futura rappresaglia. Negli stessi giorni, nell’Aula Bunker di Torino – dove se no? – viene celebrata la rappresaglia contro chi in Valle e dintorni rivendica, e li difende, diritti elementari sanciti dalla Costituzione. Chissà se i venerandi maestri che si immolano in piazza, negli appelli e su eruditi giornali per la Costituzione in quanto Carta, i Rodotà, i don Ciotti, i Caselli, si vorranno calare nella pedestre realtà di quest’aula dove la Carta viene sminuzzata a colpi di condanne dei suoi militanti sul terreno, a confrontare la loro coscienza con quella limpida dei 52 “terroristi”. Forse no, sono troppo impegnati nella bisca a sceverare nel loro giochino Shanghai le bacchette buone da quelle cattive.
 
Già il Procuratore Capo di Torino, Gian Carlo Caselli, quello che pare condividere abbellimenti da solarium col presentatore Carlo Conti, su “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato la summa del suo pensiero di magistrato super partes. Vessilifero giudiziario della campagna di media, politici, faccendieri, che volgono in criminalizzazione dei valsusini la frustrazione per un quarto di secolo di discredito della Grande Opera Torino-Lione, tratta centrale di un Corridoio Cinque che vorrebbe tranciare l’Europa a fini Nato e business da Lisbona a Kiev, ma che ha già visto svaporare i segmenti iniziale e finale, l’augusto combattente anti-mafia e anti-terroristi ne ha fatta tanta fuori dal vaso da annegare l’intera Costituzione e il suo ordinamento in tre poteri suppostamente indipendenti. Sta vivendo una botta di gioventù, riscoprendo in Valsusa ben tre generazioni di terroristi, uno dei due nemici che lo cinsero di allori al tempo degli anni di luce, detti “di piombo”, probabilmente perché fecero da zavorra all’abbrivio della stagione del totalitarismo neoliberista. 
 
L’altro grande nemico pare essersi dissolto. Soggetti plurinquisiti, corrotti, concussi, esentati da certificati antimafia per quanto già indagati per mafia, che, in combutta si sa bene con chi, da anni delegano una guerra a bassa intensità a sicari che bucano le gomme ai No Tav, ne rigano le macchine, usano teste di coccio per avvertimenti brigatisti, spediscono pacchi-bomba ai sostenitori del buco, incendiano presidi, non sembrano meritare l’attenzione dell’occhiuto magistrato, così felicemente in sintonia con quella strabica parodia berlusconide di Fouché venuta in Valle a ribadire il concetto: alla faccia vostra, alla faccia dello scandalo di un’opera finalizzata a consolidare i pilastri affaristico-mafiosi di una classe politica allo sbando, il patibolo della Valle a forma di buco si erigerà. Nella notte del 1. Novembre è andata a fuoco la casetta del presidio No Tav di Vaie. Lì accanto hanno trovato una bombola di gas che, esplodendo, avrebbe incenerito i ragazzi di Teramo che avevano programmato di passarci la notte e che all’ultimo momento hanno rinunciato. La risposta della Valle è stata un’adunata davanti ai tizzoni, un corteo di migliaia la sera, la promessa che alla nuova grande manifestazione nazionale di Susa il 16 novembre, verrà programmata la ricostruzione del presidio, come già fatto in occasione dei due bruciati in precedenza. E nella “Credenza” di Bussoleno, fucina e santuario di resistenti, governata in robusta letizia da Nicoletta e Silvano, dopo il momento di sconcerto e dolore, torna a soffiare il vento e si aggiustano le scarpe, ché pur bisogna andar.
 
 
Da Caselli, il Grande Accusatore, su avvenimenti come quello di Vaie ancora nessun annuncio di intervento giudiziario. E figuratevi se un’alito di solidarietà fosse uscito da un Rodotà prontissimo a riferirsi ai No Tav con espressioni di ribrezzo. Il lugubre bancomane Fassino ne ha tratto l’ispirazione per omaggiare a New York la locale Cupola dell’aggressione al mondo con anatemi contro i valsusini, tutti “violenti ed estremisti”, come insegnano i False Flag dell’11 settembre. Del resto i terrorizzatori che dividono i valsusini in “perbene”, pochi, e “permale”, tutti gli altri, su inquinamenti mafiosi e attentati surrogati ai costruttori, sospensione militare della democrazia e metodi Boffo contro i protagonisti della difesa della Valle, non sembrano aver fatto una piega. E neppure hanno elargito quella solidarietà, pelosa e nauseabonda, di certi parlamentari che fino a un minuto prima non vedevano che valligiani criminogeni, sabotatori di sviluppo e modernità. Foglie di fico umanitarie.
 
Un silenzio rotto con impeto umanitario dal Procuratore Capo quando si è presentata l’emergenza Cancellieri. Avendo a fianco compagni di strada come il famigerato Sofri, mezzo PD e l’intero cocuzzaro pidiellino impegnato a riscattare con la figlia di Ligresti la nipote di Mubaraq. Uscire dalla Valsusa e rientrare nell’Italia della Cancellieri, ministro della Giustizia a un tanto di intimità con pregiudicati e faccendieri, è come passare da un benefico e ristoratore shampoo alla Gaber in un pantano brulicante di pantegane e scarafaggi. 
 
Pare brutto prendersela con chi da madre natura non è stato beneficato di prestanza e avvenenza. Ma quando un corpo e una faccia sono il risultato di decenni di bulimia di consumi, decadenza morale e incistamento con la peggiore feccia paramafiosa della società, a partire dai primatisti della corruzione e della devastazione craxista-berlusconide a Milano, quando quella faccia dagli occhi di varano troneggia su quanto di più equo e limpido dovrebbe esistere nelle istituzioni, ogni riferimento ad apparenze repellenti è quasi dovuto.
 
Intervento umanitario della compare del fetido Ligrestume, con un figlio compensato con 5,5 milioni di buonuscita per aver rovinato il gioco d’azzardo Fonsai di spolpamento degli assicurati e di ingordigia degli assicuratori? Con i suoi effetti sulla giustizia, sull’eguaglianza dei cittadini, sulla terzietà dell’apparato giudiziario, richiama quelli delle bombe umanitarie di D’Alema su Belgrado e tutte le successive carneficine di popoli arrivate a cavallo di missili umanitari. La povera Giulia Ligresti non mangiava più. Affare ben più preoccupante dei 60 suicidi in carcere, delle botte e dell’anoressia di uno Stefano Cucchi moribondo, dei quasi 70mila detenuti in stile libico post-Gheddafi, quisquilie sui cui non valeva la pena esercitare interventi umanitari. Mica avevano avuto frequentazioni con la prefetto, prima, e guardasigilli, dopo, fondate sulla corrispondenza di amorosi sensi con chi delinqueva  con eleganza Gucci, da loft, ville e salotto buono della finanza.
 
Su questo verminaio regna un proconsole imperiale che ha colto l’attimo per esternare, non solenni moniti a piromani, devastatori e ladri, ma, con significativa simultaneità, un solennissimo augurio ai fratelli del Grande Oriente, apprezzata cosca generatrice di stragisti a fini di “Piani di Rinascita”, insieme a un arcigno monito a chi non condivide che ospedali e scuole si trasformino in F35 e che la sopravvivenza tolta a pensionati e poveri (quest’ultimi il 15% del popolo) diventi il “pasto nudo” delle armate di mercenari che proiettano nel mondo (e in Val di Susa) sfracelli a difesa dei “sacri confini della patria”. Con perfetto senso delle analogie, i pronunciamenti bellici del comandante in capo sono risuonati alle celebrazioni della “Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale”. Quella, come le altre in atto o vaticinate, del tutto inutile (l’Austria ci aveva promesso Trentino e Trieste se solo ne fossimo rimasti fuori), ma estremamente proficua per chi traeva profitto da cannoni e salti tecnologici, sfoltendo di pari passo un eccesso di popolazione: 600mila contadini ridondanti in una nazione avviata al capitalismo industriale.
 
Come è opportuno che fosse, gli squilli di guerra sono suonati da un condottiero rintanato in una marziale casamatta che costa 350 milioni di euro e fa sprofondare di invidia i parvenue di Buckingham Palace e Casa Bianca. Sotto di lui, larghe intese si scannano per il bottino della colonia..Si turbano in TV (ricordate le lacrime della Fornero?) per 15 milioni di italiani poveri e un giovane su due disoccupato ad libitum, mentre da mane a sera ogni loro pensiero e azione è mirata a incrementare il numero di quelli. Ha risposto, per tutti noi, quel fenomenale eccentrico (nel senso geometrico della parola) di Renato Accorinti, sindaco antagonista di Messina, che, alla celebrazione del massacro italiota del ’15-’18, facendo fuggire due generaloni italiani, caporalmaggiori Nato, ha manifestato contro la guerra e i nostri scalzacani (peccato, però, per quella maglietta “Free Tibet”: nessuno è perfetto). 
 
Eccoli, dunque, dopo lieve rettifica, i ”perbene” e i “permale”di questo Non-Stato Canaglia. “Permale” che in 23 anni, quando tutto andava a catafascio e l’unica specialità sportiva in cui il paese primeggiava era il saltafosso, con una classe politica che per trasformismo metteva nell’angolo Arturo Brachetti, hanno eretto un NO più grande e luminoso del Faro di Alessandria. Un NO a seppellire un mezzo secolo di sì alla mala vita politica, sociale, economica, mafiosa. Un NO che si vede da un capo all’altro d’Europa, che attraverso gli occhi è penetrato nelle menti, che è proliferato in quei germogli di NO che stanno rimboscando il deserto occidentale. Parafrasando De Andrè, dal No al letame nasce il diamante del Sì al suo opposto.
 
 Non posso privarvi di una notiziona lieta. Il noto ruotino di scorta del PD(L), Nichi Vendola, come da qui ripetutamente preannunciato, ha trovato finalmente chi gli ha messo il sale sulla coda di muselide. Il PM di Taranto lo indaga per concussione per aver esercitato, con altri, pressioni sull’ARPA pugliese affinchè esentasse i padroni  dell’ILVA dalle accuse di attività criminale che si è poi meritate. Con lui, anche il suo vice Nicola Fratoianni. Se non bastasse, l’intera SEL ha colmato la misura della sua innata degenerazione votando contro la sfiducia M5S della Cancellieri. Unico che si salva, Claudio Fava, che l’ha sfiduciata. Sic transit…verecundia mundi.
 
 
 - GRANO E LOGLIO ESTERI -  
 
Trascuro e trascurerò un po’ nei prossimi tempi le vicende della mia abituale occupazione. Per la prima volta da quando ho lasciato la RAI, dopo una serie di guerre e rivoluzioni nel mondo, mi sto occupando delle cose nostre. Fra qualche tempo dovrebbe uscire il nuovo docufilm sui simboli della Resistenza in Italia, a partire dai NO TAV e dai NO MUOS. Dalle guerre ai popoli del Medioriente alla guerra contro l’Italia. Dalla resistenza dei siriani a quella dei valsusini, niscemini,  sigonelliani e affini. Siamo nella stessa barca e ci minaccia lo stesso uragano.
 
Alto rifulge il grano sui campi della Siria, dove ormai da molti mesi i patrioti spazzano via il loglio del mercenariato Nato-Al Qaida. Ma al di là dei successi militari, conseguiti insieme a Hezbollah e ai curdi che al Nord sbaragliano la marmaglia salafita di Al Nusrah e di Al Qaida in Iraq e nel Levante, c’è il marasma politico e diplomatico del nemico. Una trentina di formazioni di terroristi si è rivoltata alla Coalizione Nazionale dei pupazzi nel covo di Istanbul, creati in provette Nato, e procede per conto suo, concentrandosi nell’immediato a farsi a pezzi tra di loro. Rifiutano, queste bande di tagliagole sfuggite al controllo del capo stregone, di partecipare a una conferenza di Ginevra 2, che, grazie alla Russia e all’opposizione a un’altra guerra da parte della maggioranza degli statunitensi e dei paesi del mondo, non garantisce più la liquidazione di Assad e lo squartamento della Siria. Il quadro è mutato e si intravvedono armate Nato che risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
 
Lo scazzo interno ai briganti d’importazione si riflette nello scomponimento della Santa Alleanza della restaurazione coloniale nel Grande Medioriente. Azzoppati dallo scandalo dello spionaggio, spionaggio considerato non tanto scostumato di per sé (s’é poi visto che tutti sapevano e tutti spiavano), quanto per la dote di ricatti e prevaricazioni economiche che portava agli spioni-capo, deprivati dei surrogati islamisti alla guida dell’Egitto, principale Stato arabo che torna a occhieggiare verso la Russia, confrontati militarmente da Mosca in Siria, gli Obersturmbannfuehrer di Washington si sono visti costretti a frenare i tank. Dunque, aperture più o meno sincere a Tehran e conferenza di Ginevra sulla Siria, magari solo per guadagnare tempo e, in attesa di minchionare l’opinione pubblica interna e della “comunità internazionale” con un’ ennesima invenzione tipo “armi chimiche di Assad”, o 11 settembre, per riproporsi all’offensiva. Sospensioni ed esitazioni che, oltre all’ambaradan degli ascari in Siria, hanno logorato il cordone ombelicale che legava a Washington i satrapi del Golfo.
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Alla diatriba tra Qatar e Arabia Saudita per la primazia sulla guerra alla Siria e sul mondo arabo tutto, già una bella incrinatura della “coalizione dei volenterosi Nato per la Sharìa”, si aggiunge ora quella, senza precedenti dall’embargo petrolifero degli anni’70, tra Riad e Washington. Seguita, in termini meno appariscenti, da quella tra Usa e Turchia, con il regime di Erdogan che si risente perché Washington non ha mantenuto sul trono il compare egiziano, fratello musulmano Morsi, ma, essendo bastione Nato in zona, si barcamena tra gli ectoplasmi della Coalizione Nazionale, sorretta dai ponteggi occidentali  e i sempre più indisciplinati ruba-bandiera in Siria, carburati dal Golfo. Segno del disorientamento è stato nei giorni scorsi il sequestro, da parte della polizia turca, di ben 200 tonnellate di sostanze chimiche dirette ai “ribelli” in Siria. In passato erano state lasciate passare e se ne sono visti i risultati a Est Ghuta. I sauditi che non vogliono vedere allontanarsi il progetto di espandere la loro dittatura dinastica alla Siria e oltre, insistono nel totale sostegno ai correligionari rastrellati nei paesi dove erano stati allevati per fornire pretesti alla “guerra al terrorismo”. In simbiosi, neanche più tanto occulta, con Israele (che ha ribadito il punto bombardando di nuovo la Siria a Latakia), ne condividono in pieno anche la volontà di obliterare l’Iran, visto come referente dell’insubordinazione dei propri popoli schiavizzati. Le carte si sono tutte rimescolate e il grande disordine sotto il cielo fa intravvedere una situazione poco favorevole ai disorientati antropofagi d’Occidente. Ci vuole altro che un Napolitano con l’elmetto da Kaiser e un Mauro che vuole “armare la pace”, concetto non dissimile da chi dice di pacificare la Valsusa a forza di mazzate, reticolati, gas tossici e alpini dell’Afghanistan.
 
E’ fisiologico fin dall’11 settembre che a difficoltà strategiche si reagisca con orrori tattici. Sulla difensiva, se non in rotta, sul campo di battaglia, i jihadisti ricorrono all’arma del terrorismo. Respinti ad Aleppo, Latakia, Hama, Homs, Damasco, disseminano colpi da mortaio e autobombe nei quartieri dei civili, dove capita capita, ormai, visto il fallimento dell’effetto demoralizzazione sulla popolazione, solo a titolo di punizione.Tale è anche la pirateria Usa che sopperisce al blocco dell’opzione militare diretta. Così nella Libia, in cui ex-mercenari in rivolta impediscono l’uscita anche di una goccia dell’ambito petrolio, si rapisce e trasferisce su navi della tortura qualche capo alqaidista fattosi riottoso. Nel Beluchistan iraniano si lanciano secessionisti sunniti contro le forze dell’ordine. In Pakistan gli Hellfire dei droni, liberato il campo da qualche migliaio di civili, beccano finalmente Hakimullah Meshud, capo dei taliban pachistani. Lo polverizzano nel preciso momento in cui il governo di Islamabad lo aveva agganciato per negoziati di pace. In Somalia gli è andata buca un’incursione della Delta Force contro un dirigente degli Shabaab: hanno dovuto ritirarsi con perdite. Il che non impedisce ad Obama, privato momentaneamente dell’opzione guerra infinita, di far manovrare a decerebrati in caserme del Nevada i joy stick che determinano la disintegrazione di “sospetti” a 360 gradi in giro per il mondo.
 
Visto che l’operazione “Assassinii mirati”, affidato al Joint Special Operations Command (JSOC) e agevolato dall’ intelligence degli spioni NSA, non sollecita eccessive obiezioni né tra gli alleati, né in casa, per il momento Obama  intensifica quello. Chi si accontenta gode.    
 
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COMUNICATO Cinque Stelle
 
La scorsa notte un incendio ha devastato il presidio Picapera, a Vaie, simbolo della lotta No TAV dal 2010: solo per un caso fortuito non ci sono state vittime. Ancora una volta il movimento è vittima di gesti intimidatori in puro stile mafioso: tre presidi bruciati in questi anni e numerosi atti vandalici nei confronti degli attivisti (gomme tagliate, carrozzerie sfregiate…cani avvelenati!). E fino ad ora le indagini delle FF.OO non hanno mai dato un nome e un volto ai colpevoli, mentre i mezzi di informazione lasciano calare immediatamente un velo di silenzio, dirottando l’attenzione dell’opinione pubblica sulle cronache dalle aule giudiziarie in cui si processano, invece, i numerosi inquisiti No TAV.
Pesantissime le responsabilità della politica in questa situazione.
 
Siamo ormai abituati alle passerelle di ministri e politici di ogni livello che salgono in valle per portare solidarietà agli imprenditori impegnati nel cantiere, vittime (a loro dire) di attentati da parte dei No TAV, ignorando tutte le altre realtà presenti sul territorio, quelle che non hanno mai creduto alla favola delle “ricadute positive” della grande opera sull’economia locale, e che, orgogliosamente e con fatica, stanno creando delle realtà economiche alternative, per cercare di sopravvivere alla crisi che le sta travolgendo.
 
Nessuna solidarietà nei confronti dei No TAV, se portata da coloro che sono i primi responsabili del clima di tensione e della criminalizzazione del movimento, sarebbe a questo punto credibile. La democrazia in Valsusa è stata uccisa da tempo e i mandanti sono proprio coloro che hanno imposto l’opera con la forza, militarizzando il territorio.
 
La valle sta diventando una sorta di campo d’addestramento per l’esercito, un luogo in cui si sperimentano rivoluzionari gilet ignifughi, in cui è lecito lanciare lacrimogeni al CS ad altezza d’uomo contro i manifestanti, in cui si possono imporre limiti e restrizioni alla libertà personale.
Ma fuori da quel cantiere blindato e militarizzato, fulcro degli interessi di lobby potentissime, ci sono dei cittadini che vivono sulla loro pelle la mancanza di democrazia di questo Paese. Questi cittadini chiedono giustizia, chiedono rispetto, chiedono risposte. Al momento ancora non si è trovato nessun innesco nei pressi del presidio di Vaie (è di poco fa la notizia della presenza di una bombola del gas in più) ma auspichiamo che approfonditi controlli successivi portino rapidamente alla luce elementi utili ad individuare i responsabili di questo gesto.

Dopodichè pretendiamo che la magistratura svolga il suo compito con rapidità e fermezza, dimostrando che la giustizia è veramente uguale per tutti.
 
Nel frattempo il presidio rinascerà dalle sue ceneri, e il movimento riprenderà la sua ferma opposizione all’opera. Noi del MoVimento 5 Stelle intanto continueremo la nostra attività nelle sedi istituzionali: il 14 a Roma ci sarà un convegno per i parlamentari di ogni schieramento per cercare di portare, anche nelle aule parlamentari, quelle informazioni che mancano per poter avere un quadro tale da consentire un giudizio oggettivo sull’opera.
 
E saremo presenti anche alla manifestazione del 16 novembre a Susa, come sempre senza bandiere e senza simboli, convinti che quel treno crociato rappresenti oggi più che mai il simbolo della riconquista della democrazia nel nostro Paese.
 
Marco Scibona – Senatore M5S Piemonte
Alberto Airola  – Senatore M5S Piemonte
Laura Castelli – Deputata M5S Piemonte
Ivan Della Valle – Deputato M5S Piemonte
Davide Bono – Consigliere regionale M5S Piemonte
MoVimento 5 Stelle Valsusa
 

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