Come si esce da questa situazione? I nostri risparmi sono divorati da una tassazione brutale, realizzando uno stato totalitario di fatto in quanto è depressa ed inibita l’iniziativa privata. Leggi e regolamenti, in aggiunta, sono diventati così farraginosi da impedire o comunque inibire la libera impresa. La giustizia in tempi umanamente accettabili è solo un desiderio vano, la nostra salute è affidata all’adempimento di protocolli verticistici: siamo soli con cani affamati alle calcagna, che attendono pazientemente la nostra resa per consunzione.
In
un contesto come questo veniamo cullati da imbecilli litanie come
quelle dei
nauseanti teatrini delle religioni, dello sport meccanizzato e della
politica: i linguaggi universali del nulla. Dove c’è sistema c’è
inganno e finzione. Dove c’è propaganda, innaturalezza ed
ipocrisia. Dove esistono paraventi, qualcosa da nascondere.
Conduciamo
vite scisse e dissociate, immaginandole come ‘normali’ ed invece son
‘normate’! Navighiamo troppo lontani dai nostri più alti desideri.
Viviamo nei solchi delle arature dei campi, incapaci di liberarsene.
Dovremmo uscire dalla griglia, temo però che sia troppo
tardi: abbiamo consumato il nostro tempo in inutili andirivieni,
pettinando il vuoto, osservato la dissoluzione e scambiandola per
progresso.
E’
ora, immagino, di girarsi e tornare indietro, muovendo controcorrente,
impedendo al
nulla di inghiottirci. Ogni nostra azione va misurata, ogni gesto
dedicato alla nostra ed altrui dignità. Fermiamoci un attimo a ponderare
la situazione, ad osservare ed osservarci, con il nostro
passo incerto, i gesti compulsivi, le finalità posticce, non nostre
ma lasciateci aderire addosso. Tiriamo un lungo sospiro ed immaginiamoci
un mondo diverso, in lento e pieno
divenire.
Il
traffico è una mera illusione, gli orari ceppi per galeotti. Le nostre
lunghe
cravatte, un retaggio dei collari di ferro a catena. Il nostro
peggior nemico siamo noi o meglio, la parte di noi che non ci
appartiene. Quella parte che è stata costruita dentro di noi con
finalità nichiliste ed immorali, desolantemente vuote.
Ogni
giorno, magari senza rendercene conto, evochiamo i fantasmi della
dissoluzione.
Fermiamoci un attimo, proviamo ad invertire la rotta. Le strade che
percorriamo sembrano illuminate e ben lastricate, temo davvero che non
portino a nulla e che questo apparente comfort nasconda
invece la nostra peggiore insidia. Abituandoci al nulla, ne siamo
divenuti dipendenti.
Silenzio,
stasi, osservazione. Dedichiamo la nostra vita consacrandola a gesti
immoti.
Impediamoci di scivolare nel grottesco. Ogni passo va ponderato,
ogni parola sussurrata dapprima a noi stessi e poi a chi amiamo. Opporsi
alla dissoluzione vuol dire vivere l’unità. Viviamola con
ironia e con pienezza, solo noi conosciamo il segreto più nascosto.
Non le sette o le congreghe: quelle costruiscono solo cattedrali di
cartapesta, cupi scenari fragili come neve al
sole.
Vincerà il nostro silenzio assordante, le nostre azioni immote, la poderosa energia del
lume di una candela.
Per la ricostruzione dell'opera di Piero della
Francesca, qui sopra parzialmente mostrata, si veda QUI.
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