sabato 18 gennaio 2014

Discrimine e crimine

Gli esseri umani si trovano impegnati in un cammino di consapevolezza momentaneamente interrotto da forze estranee. (C. Castañeda)


Alcuni pensano che tutto sia perfetto così com’è. Costoro da un lato affermano una libertà senza limiti, dall’altro accettano l’esistente in modo fatalistico, incorrendo in una contraddizione insanabile: tale incongruenza, più di molte altre fallacie, rischia di minare codesta idilliaca visione del mondo. Infatti, se veramente l’universo forse perfetto, esso coinciderebbe con Dio oppure non esisterebbe, poiché solo ciò che non esiste nello spazio-tempo è sottratto alla caducità ed all’insufficienza per quanto lieve.

Gli gnostici la pensavano diversamente. Nel Vangelo di Filippo addirittura leggiamo: “Il sistema mondo in cui viviamo è nato da un errore”. In che cosa consista questo sbaglio e da che cosa sia dipeso nessuno sa. Si può soltanto speculare: si può credere che il cedimento primigenio sia connaturato all’essere stesso o che il buio ed il freddo abbiano invaso un cosmo luminoso. Qualcuno evoca un’interferenza, altri una caduta repentina nell’abisso della materia, altri ancora uno sdrucciolare lento ma incessante. Taluno vede la necessità della catabasi decretata ab aeterno.

Quale sia l’origine dell’origine non ci è dato comprendere. Fatto sta che portiamo sulle nostre deboli spalle tutto il peso insostenibile della realtà. La mortalità ci pone innanzi alla nostra condizione di inadeguatezza. Ogni svolta è un’occasione ma anche un rischio. L’esistenza è un rapido morso ed una morsa.

Qual è stato il passo falso? Dove si è inciampato? Accadde ad un certo punto che gli atomi, privi affatto di coscienza, cominciarono ad essere senzienti (o, al contrario, la coscienza si insinuò nella materia inerte). Dalle infinite non possibilità che escludevano la possibilità della vita e della consapevolezza emerse proprio quella meno probabile. E’ lì il discrimine e forse pure il crimine: nella coscienza che tenta di staccarsi dal substrato materiale, ma, appunto non riuscendovi, resta con le radici spezzate e mezzo scoperte, dunque esposte all’aria ed alle intemperie. Così il nutrimento contenuto nell’humus non attraversa più come prima il tronco e, attraverso il tronco, i rami e le foglie. L’albero si indebolisce e si ammala.

Perciò più la coscienza è elevata, cosciente di sé, più è vulnerabile, fragile. Essa si specchia in sé stessa, condannata a non riconoscersi.


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