Lo schiavismo nell’era delle multinazionali. Quando i criminali non pagano perché comandano il mondo
21 milioni le vittime della schiavitù. Chi paga il conto di questo crimine? Nessuno. Quando comandi il mondo, come le multinazionali, oltre a decidere quale debba essere la linea politica ed economica della nazioni, puoi permetterti il lusso di non pagare per i crimini che commetti. Eppure sui libri di scuola abbiamo letto che la schiavitù è stata abolita. Certo, infatti oggi si chiama schiavismo. A questo ci ha portati il modello capitalistico che ci ha trasformati in una società consumistica in cui anche noi comuni cittadini abbiamo la nostra parte di colpe. Perché poco importa se per il diamante che desideriamo, non per necessità vitale ma per ostentare uno status-symbol, tanti schiavi vengono costretti a lavorare nelle miniere ed a condurre una vita indegna. E così via con tutti gli altri beni che provengono da Paesi poveri in cui le multinazionali pagano meno di un dollaro al giorno sfruttando spesso anche il lavoro minorile.
Alle multinazionali la loro colpa di criminali. A noi la nostra di collaboratori. Nessuno è innocente. Tornando alle multinazionali, l’obiettivo primario è massimizzare il profitto ed abbassare il costo di produzione.
Ne sa qualcosa la Coca Cola, venuta alla ribalta dopo il caso di Rosarno (Calabria) grazie ad un’inchiesta fatta da The Ecologist e poi ripresa da The Independent (da notare che nessuna testata è italiana, i nostri giornalisti avevano senz’altro di meglio da fare). L’inchiesta ha reso noto come nel mezzogiorno la raccolta delle arance destinata alla produzione delle bibite del noto marchio avvenisse in condizioni di schiavitù per mano di migranti provenienti dall’Africa.
Nel 2010 la multinazionale del tabacco Philip Morris ammise la presenza nelle proprie piantagioni di almeno 72 bambini dell’età di 10 anni, coinvolti nella raccolta del tabacco e a rischio di subire un avvelenamento da nicotina. L’azienda costringe lavoratori migranti ad operare in condizioni di schiavitù, dopo aver sequestrato loro i documenti. Attualmente, secondo delle ricerche, pare che vi siano intere famiglie e bambini costretti a lavorare in condizioni disumane nelle piantagioni.
Ma non da meno sono: Marlboro, Basic, Benson & Hedges, Cambridge, Chesterfield, Commander, Dave’s, English Ovals, Lark, L&M, Merit, Parliament, Players, Saratoga e Virginia Slims,Victoria’s Secret, Forever 21, Hershey’s, Nestlè, M&M,
Nella lista dei cattivi vi è anche la la manifattura cinese KYE, responsabile per la produzione di prodotti per aziende e marchi come Microsoft, XBox e HP. Qualche anno fa fu messa sotto accusa dal National Labor Committee per schiavismo per aver reclutato 1000 studenti lavoratori di età inferiore ai 15 anni, costretti a lavorare per 15 ore al giorno e per 7 giorni su 7. Per le donne di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, a cui anche venivano imposte condizioni simili la paga era di 65 centesimi all’ora.
Anche altre aziende come Apple e Nokia hanno recentemente ammesso di sfruttare i lavoratori cinesi per la loro produzione.
Pochi mesi fa, il crollo di una palazzina in Bangladesh, che ha causato la morte di centinaia di lavoratori sfruttati e sottopagati, ha messo in cattiva luce marchi come H&M, Benetton e Inditex (proprietario di Zara).
Basti pensare che più dell’80% del lavoro tessile e d’abbigliamento è stato spostato dagli Usa e dall’Ue in India e in altre regioni povere, dove i governi non hanno interesse a controllare che le aziende non esercitino schiavismo o sfruttamento minorile, e dove è la corruzione a farla da padrone.
La globalizzazione è anche questo.
Nessun commento:
Posta un commento