La guerra
ambientale non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo:
si passa per pazzi.
Eppure, «negare l’informazione è già un atto di guerra
fondamentale», denuncia il generale Fabio Mini, che conferma tutto: la
“bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta
lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su
scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi.
Uno scenario che, purtroppo, non è più fantascienza. E da parecchi anni.
Era il lontano 1946 quando Thomas Leech, scienziato e professore
israeliano-neozelandese, lavorò in Australia per conto dell’Università
di Auckland con fondi americani e inglesi per provocare piccoli tsunami.
Il successo del “Progetto Seal” spaventò Leech spingendolo a fermarsi
dopo i primi test. Ma chi ci dice che la manipolazione del clima non sia
stata portata avanti? Oggi, con la robotizzazione, per molte
“operazioni” bastano poche persone. «Non ci sono vincoli, non ci sono
regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà». Non i
governi, ma ristrette élite.
Ne ha parlato di recente, in un convegno a Firenze largamente disertato dai media, l’ex comandante delle forze Nato in Kosovo. Mini rivendica la responsabilità di aver posto in Italia l’attenzione su questo tema quando nel 2007 scrisse l’articolo “Owning the weather: la guerra
ambientale è già cominciata”, ufficializzando uno scenario nuovo e
inquietante: le forze della natura sono adoperate e piegate come
strumento ed arma. Può accadere, sottolinea Mini, perché – come di
fronte a qualsiasi altra aberrazione di carattere mostruoso – l’opinione
pubblica è innanzitutto incredula: «La maggior parte delle persone
ritiene inconcepibili certi scenari, in quanto non è al corrente delle
progettazioni in materia di tecnologie militari e quindi delle
conseguenti implicazioni».
Da un lato c’è la rassicurante convenzione
Onu del 1977, che proibisce espressamente «l’uso militare, o di altra
ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a
larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità». In realtà,
al 90% le prescrizioni Onu vengono regolarmente disattese, in
particolare dai militari. I quali «hanno già la capacità di condizionare
l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o
addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta».
I militari, riassume Mini – citato nel report del blog “No Geoingegneria”
– prediligono la tecnologia. E le loro richieste alla scienza non sono
per programmi attuabili a breve termine, ma sono progetti con sviluppi
nel medio e lunghissimo termine. Attenzione: «Non esiste una moralità
che possa impedire di oltrepassare un certo punto. Basti pensare allo
sviluppo e le applicazioni degli ordigni atomici. Non esiste vincolo
morale, ciò che si può fare si fa». Inoltre, la nuova tecnologia viene
applicata anche a livello immaturo: «La voglia di conseguire un
vantaggio spinge ad usare le tecnologie senza fare test a sufficienza.
Una possibilità viene messa in atto per verificarne il funzionamento,
sperimentandone direttamente sul campo gli effetti». Già nel 1995, uno
studio dell’aeronautica militare statunitense (“Weather as a Force
Multiplier: Owning the Weather in 2025”) delineava i piani da sviluppare
per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del meteo a livello
globale. Secondo Mini, non si parlava ancora di “possedere il clima”, ma
di controllare il meteo e lo spazio atmosferico per condurre operazioni
belliche,
«per esempio irrorando le nubi con ioduro d’argento, altre sostanze
chimiche o polimeri, per dissolverle oppure spostarle».
Si tratta della possibilità di destabilizzare una regione o paese, in
qualsiasi parte del mondo. Oggi, a 17 anni dalla pubblicazione di
quello studio, secondo il generale Mini «siamo piuttosto vicini al
traguardo del 2025». Secondo il meteorologo statunitense Edward Norton
Lorenz, padre della “teoria del caos”, mai e poi mai avremo conoscenze
sufficienti a verificare le effettive conseguenze di una modificazione
climatica. Se qualcuno trae un vantaggio da una modificazione climatica,
dall’altra ci sarà qualcun altro che ne subisce un danno, e non è detto
che lo paghi in termini lineari, con conseguenze anche catastrofiche,
che Lorenz chiama “effetto farfalla”. Proprio in quegli anni si comincia
a pensare non solo di cambiare il meteo, ma di creare una situazione
permanente e quindi di trasformare il clima. «Così qualcuno inizia a
pensare: cosa rende l’Europa
prospera e le garantisce un clima favorevole? La corrente del Golfo del
Messico. Bene, allora qualcuno si è messo a studiare come modificare
questa corrente. Non solo, ma qualcuno ha iniziato a chiedersi: possiamo provocare un terremoto? Qualcuno ha risposto ‘si può fare’». Qualcuno chi?
La domanda, infatti, è particolarmente inquietante: da chi scaturisce quella volontà politica
che sta alla base della catena di comando? Brutte notizie, dice Mini:
gli Stati stanno perdendo il controllo della situazione, che è
monopolizzata da ristrettissimi gruppi di potere. Il generale le chiama “bande”. Sono costituite da «persone, associazioni e corporazioni, coaguli di potere
che non hanno nessun interesse istituzionale, ma conseguono solamente
il proprio interesse, e nel nome di esso sono disposte a mandare in crisi un sistema per modificarlo a proprio vantaggio, utilizzando mezzi illegali e legali». L’enorme potere
di questo super-clan è confermato dalla situazione mondiale di massima
emergenza, come confermato dalle analisi di carattere strategico a
livello militare. In sintesi: la demografia del pianeta è in aumento
esponenziale, le risorse della Terra sono in netta diminuzione, l’economia
globale è in recessione. Insomma, la coperta è sempre più corta. E il
ruolo degli Stati nella definizione della minaccia è ormai ridotto a
zero.
Non sono più gli Stati a decidere, a individuare o prevedere le
minacce, sottolinea Mini. Sono “altri” che fanno le analisi. E fare le
valutazioni della minaccia «vuol dire fornire le indicazioni per la politica». Bene, «questa prerogativa non è più nelle mani degli Stati, neanche di quelli forti». George W. Bush, quando ha avviato la “guerra
infinita” innescata dagli attentati dell’11 Settembre, non è stato
indirizzato da fonti istituzionali, ma da «qualcuno che lavora fuori
dalle istituzioni, contro le istituzioni». La situazione è veramente
critica: molti Stati hanno l’acqua alla gola, colpiti dalla crisi
e ricattati dalla cupola finanziaria mondiale. La criminalità è in
netto aumento, il contrasto verso le mafie si è indebolito e la
percezione dell’insicurezza è cresciuta. Ogni problema viene
estremizzato: la favola dello “scontro di civiltà” tra cultura
giudaico-cristiana e cultura musulmana resta «il faro politico di tutte
le relazioni internazionali». Così, non fa che cresce la
militarizzazione del pianeta: «Le cose che venivano fatte con strumenti
civili oggi vengono fatte quasi esclusivamente con strumenti militari,
inducendo gli ambienti militari ad essere sempre più proiettati verso il controllo e il possesso di strumenti tecnologici per attuarlo».
La dualità, lo scontro, si manifesta in maniera preponderante nello
spazio, con il controllo delle telecomunicazioni e dei sistemi di
difesa, e ora anche nell’ambiente, «che non è più il luogo ove la guerra
si manifesta, ma è l’arma», e negli agglomerati urbani, «che sono i
luoghi dove si prevede il maggior intervento in termini di
militarizzazione». Lo spazio è definito un “bene comune” e come tale
dovrebbe essere salvaguardato. «Ma non succede, e la percezione di
scarsa sicurezza alimenta un incremento della militarizzazione». Come si
sfrutta l’ambiente come arma? «Non solo con le modifiche
meteorologiche, ma anche tramite la negazione delle informazioni. Non
c’è solo la disinformazione
sull’ambiente, ma c’è una pratica militare che si chiama “denial of
service”». Ovvero: «Si stabilisce che è necessario non solo negare la
realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione». E questo, ribadisce
Mini, è già un vero e proprio atto di guerra.
«Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle
informazioni», anche se questo può causare catastrofi di proporzioni
bibliche, come il devastante tsunami abbattutosi sulle coste
dell’Indonesia. «Lo tsunami indonesiano è ancora uno scandalo:
l’informazione sul suo arrivo era disponibile, ma interruzioni nella
trasmissione dati a causa di anelli malfunzionanti, o volutamente non funzionanti, ne hanno impedito la comunicazione».
Un altro aspetto è emblematicamente rappresentato dal sistema Haarp.
Invece di influire sull’ambiente a carattere solo locale, dice Mini,
ormai si può incidere globalmente. Come? «Andando a creare,
artificialmente, dei punti più caldi o più freddi, e quindi modificando
il clima interferendo anche sulle correnti». Lo stesso dicasi per le
alterazioni che provocano i terremoti, anche se il generale nega che il
recente terremoto in Emilia sia stato “indotto”. Ma attenzione: «Nessuno
può negare che ci siano state più di 2.000 esplosioni nucleari nel
sottosuolo terrestre, nella profondità degli oceani e persino nello
spazio». Già negli anni ’90, per colpire obiettivi di interesse militare
in Cina, «fu pianificato di indurre un terremoto con delle esplosioni
dalla zona di Okinawa». La dismissione di migliaia di ordigni nucleari,
dopo la fine della guerra
fredda, ha creato un mercato dei materiali fissili da innesco. «Le
grandi compagnie petrolifere si offrirono di reimpiegarli e sappiamo che
è possibile agire sulle faglie inducendo terremoti tramite ordigni
nucleari o micro-nucleari».
fonte: http://www.libreidee.org/2014/01/il-generale-mini-la-guerra-climatica-e-gia-cominciata/
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