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Dalla pratica della Disciplina, non ci si deve aspettare altro che la Disciplina
stessa. La Grazia salvifica infatti, individua il
predestinato nonostante tutto. La consuetudine con le discipline non
implica un obiettivo salvifico ma solo un’attitudine personale, un
modo d’essere, utile per fronteggiare la vita e le sue asperità.
Non
dovremmo aspettarci altro quindi da qualsiasi ‘corpus’ organizzato che
non se stesso, sia da quello cattolico e giudaico dei
sacramenti e dei dogmi, che da quello attivo dello yoga e della
spiritualità orientale, dai rituali marziali (occidentali ed orientali)
all’esoterismo d’accatto delle mafie e delle massonerie.
La Grazia è felicemente indipendente da tutto ciò.
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Chinare quindi il capo a consuetudini e rituali non servirà a garantirci null’altro che
un benessere immediato ed intrinseco, se poi tale benessere non dovesse neppure esistere, le ritualità rischiano addirittura di straripare nella maniacalità
ossessiva, sterile e programmata. La Disciplina quindi deve
costituire un cammino personalissimo alla ricerca del benessere, perché
il ‘condirla’ con finalità metafisiche rischia di
rappresentare uno sviamento delle proprie energie dall’osservazione
incantata dell’insondabile, attività che davvero sfugge a qualsiasi
definizione materiale, essendo solo costituito da
stupore e pienezza inattesa. Ogni tanto la piena luce della verità appare e non sappiamo perché. Forse nell’albero della vita e le sue virtù risiede ‘il mistero’
ma anche in questo caso si tratta di stereotipi che rendono la predisposizione artefatta. Sarà poi follia ricercare la grazia nelle bassissime lusinghe della tecnologia di
apparente lunga vita che i transumanesimi diabolici propagandano a piene mani. Gli acidi lisergici dei chip cerebrali serviranno solo ai parassiti animici di cibarsi dell’energia
altrui. La Grazia quindi appare solo come un felice dono inatteso. E' questo il semplice concetto che urlava il Merisi?
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