Grazie al regime fiscale imposto dai governi al servizio della grande
finanza, in Italia assistiamo da tempo alla morte lenta per salasso
fiscale di un esercito di piccoli imprenditori e delle ditte individuali
con partita IVA, commercianti, artigiani, laboratori conto terzisti,
agenti di commercio, ecc.. Questa categoria eterogenea che ha come
caratteristica quella di costituire la fascia sociale dei lavoratori
autonomi e di non essere in alcun modo rappresentata e tanto meno
considerata dai vari governi che si sono succeduti se non per essere
letteralmente spremuta da imposte e contributi con cui alimentare il
flusso di cassa dell’Agenzia delle Entrate, dell’INPS e delle Camere di
Commercio.
Nel corso del 2013 si è riscontrata la chiusura di circa mille aziende
al giorno, un dato impressionante che fa riflettere sulla moria delle
piccole imprese.
In base ai dati elaborati dalla Cgia di Mestre, risulta che la crisi, in
5 anni, ha fatto crollare il popolo delle partite Iva: dal 2008 al
Dicembre 2013 hanno infatti cessato l’attività 415 mila di queste
imprese e lo stesso ritmo si mantiene nei primi mesi dell’anno in
corso.. In controtendenza solo i liberi professionisti (+125 mila).
Vedi: crollo-delle-partite-iva-
«A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il segretario
della Cgia Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude l’attività
non dispone di nessuna misura di sostegno al reddito. Ad esclusione dei
collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una
tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di
disoccupazione, di nessuna forma di cassa integrazione o di mobilità
lunga o corta. Spesso si ritrovano solo con molti debiti da pagare e un
futuro tutto da inventare». Questo spiega anche l’alto numero di
suicidi riscontrato fra gli appartenenti a questa categoria.
L’impossibilità di sopravvivere deriva da una tassazione fuori misura
che corrisponde ad oltre il 61% del reddito, con i contributi INPS che
arrivano oggi al 28% ma che saliranno al 33% nel giro di poco tempo. A
queste imposte devono essere aggiunti una serie di adempimenti che
rappresentano ulteriori costi per chi fa un lavoro autonomo, dal
commercialista all’iscrizione alla Camera di Commercio, all’acquisto di
registri vari, ecc..
Vedi: allarme-popolo-partite-iva-piu-60percento-se-ne-va-tasse-contributi/
A questa situazione di difficoltà deve essere poi considerata
l’impossibilità di ottenere credito dalle banche e la lentezza nei
pagamenti per quelle piccole aziende che hanno avuto la sventura di
fornire beni o servizi alla Pubblica Amministrazione, alle ASL, ai
Comuni, ecc. I pagamenti non arrivano neppure dopo i 90/120 giorni dalla
fornitura e sulle fatture emesse bisogna pagare l’IVA come se fossero
state incassate.
Per non considerare poi gli accertamenti che vengono frequentemente
fatti dalle Agenzie dell’entrate su questi imprenditori, considerati
sempre evasori di fatto o potenziali e che sono nelle mire degli
ispettori. Accertamenti che il più delle volte si concludono con una
cartella esattoriale da pagare, visto che l’Agenzia delle entrate
presume sempre che vengano occultati dei guadagni anche se le aziende
sono in perdita. Questo avviene grazie all’incredibile sistema delle
medie statistiche derivanti dagli “studi di settore”, un meccanismo
diabolico per il quale si presume che il soggetto debba percepire dei
guadagni in base ad astratti calcoli statistici e di conseguenza si
inverte l’obbligo della prova a carico del disgraziato che non abbia
denunciato tali guadagni e che viene stretto in una morsa per cui deve
pagare in anticipo, salvo poi accollarsi i costi ed i tempi di un
ricorso dall’esito incerto. Superfluo aggiungere che il disgraziato
piccolo imprenditore si vedrà poi arrivare la cartella di Equitalia che,
in caso di mancato pagamento, provvederà a pignorare azienda,
capannone o macchinari dei quali il disgraziato contribuente non avrà
più la disponibilità e quindi non potrà più produrre reddito per pagare
le imposte.
Un vero sistema da “cappio al collo” per chi oggi in Italia ha la
sventura di gestire una piccola impresa, un artigiano, un commerciante e
si trova nella tenaglia del fisco, della burocrazia e della concorrenza
delle grandi imprese multinazionali che giocano sporco con produzioni
fatte all’estero con bassi costi e con manodopera sottopagata.
Si spiega quindi il panorama di desolazione che si vede in in quasi
tutte le città italiane con negozi che chiudono, piccole attività
artigianali che cessano di esistere, capannoni chiusi e messi in
vendita, altri anche volutamente danneggiati e resi inagibili per
sottrarli al pagamento della famigerata “Tasi”, la tassa che colpisce
gli immobili strumentali.
Bisogna porsi una domanda: può essere mai possibile che nessuno nei
governi e nei ministeri si sia mai chiesto se questo regime fiscale
sulle imprese poteva essere compatibile con le caratteristiche di questo
settore e con la possibilità di sopravvivenza di migliaia di piccole
imprese che costituiscono l’ossatura del sistema economico?
La risposta non può essere scontata e bisogna dedurre che loro, i
Tremonti, i Monti, i Letta, i Saccomanni sapevano ed erano consapevoli
degli effetti dei provvedimenti adottati ma dovevano comunque stringere
quel cappio perché così era stato deciso dall’esterno, un obiettivo
preciso quello dello strangolamento economico della piccola impresa e
della eliminazione delle attività indipendenti, le piccole imprese e gli
artigiani potranno sopravvivere solo e se diventeranno appendici delle
grandi aziende monopolistiche.
Tutto rientra in un piano economico discusso ed approvato a Bruxelles,
predisposto appositamente per l’Italia dove, riservatamente e senza
clamori, hanno apposto la loro firma i fiduciari della finanza
installati al governo in Italia per compiere l’opera: prima il prof.
Monti (ex Goldman Sachs) poi Enrrico Letta con Saccomanni , adesso il
fiorentino Matteo Renzi con suo tutor Pier Carlo Padoan (ex FMI).
Il mercato italiano deve essere omologato in breve tempo per permettere
alle grandi multinazionali di insediarsi e di poter disporre delle
risorse che servono come mano d’opera a basso costo, simile a quella
disponibile in paesi come la Serbia o la Bulgaria, con una rete di
piccole imprese che potranno sopravvivere soltanto se saranno fornitori
di servizio di queste grandi multinazionali alle condizioni che loro
stabiliranno. Questo l’assetto deciso dai signori del FMI, della Banca
Mondiae, della Commissione Europea, con il sostegno del WTO, della
Goldman Sachs e con l’assenso della BCE.
Aprire i mercati, privatizzare i servizi, vendere le aziende pubbliche,
rendere flessibile il lavoro, queste le direttive stabilite e non è
ammesso discuterle.
Anche per questo si insiste molto da Bruxelles a far entrare quanta
più immigrazione africana possibile, una forza di mano d’opera
potenziale disponibile per i bassi salari previsti e che farà sentire la
sua presenza sul mercato del lavoro. D’altra parte il governo Letta
aveva messo la Marina italiana a diposizione dei migranti, un servizio
impeccabile : le navi li vanno a prendere anche sottocosta libica, tanto
preziosa questa nuova manod’opera da non lasciarsela sfuggire.
Le medie imprese manifatturiere italiane erano eccessivamente fastidiose
per la loro concorrenza e capacità di innovazione, la stessa Germania
ci aveva chiesto in passato di limitarne l’attività. Con il sistema
dell’euro e le politiche di austerità conseguenti si è trovato il modo
di disfarsene. Nel giro di 4 anni il numero delle imprese manifatturiere
in Italia ha perso il 25% della sua consistenza, un risultato
apprezzato a Bruxelles e Francoforte. “Siete sulla buona strada”, ha
detto la Merkel al fiorentino andato in visita ad ossequiarla. Una lode
ed un apprezzamento di cui vantarsi.
Luciano Lago
fonte: http://www.controinformazione.info/piccole-imprese-e-partite-iva-si-intona-il-de-profundis/
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