La
Cina ha recentemente compiuto un passo importante nel regolare più
strettamente le organizzazioni non governative (ONG) straniere nel
Paese. Nonostante la condanna dai cosiddetti gruppi per i diritti umani
occidentali, la mossa della Cina va intesa come decisione cruciale per
affermare la sovranità sul proprio spazio politico. Naturalmente, le
grida stridule su “repressione” e “ostilità verso la società civile”
delle ONG occidentali hanno avuto scarso effetto sulla determinazione di
Pechino avendo il governo riconosciuto l’importanza cruciale di
spezzare le vie per la destabilizzazione politica e sociale.
L’argomento
prevedibile, ancora una volta agitato contro la legge sulla gestione
delle ONG straniere in Cina, è che sia una restrizione alla libertà di
associazione e di espressione, per soffocare settori della fiorente
società civile della Cina. I sostenitori delle ONG ritraggono questa
proposta di legge come altro esempio di violazione dei diritti umani in
Cina e ulteriore prova di mancato adempimento di Pechino. Ipotizzano che
la Cina rafforzi ulteriormente il governo autoritario chiudendo lo
spazio democratico emerso negli ultimi anni. Tuttavia, tra tali strette
di mano su diritti umani e democrazia, viene convenientemente ignorato
il semplice fatto che le ONG straniere e nazionali finanziate
dall’estero siano in larga misura agenti di interessi stranieri, assai
usate come armi del soft power per la destabilizzazione.
Non è mera
teoria della cospirazione come testimonia la voluminosa documentazione
sul ruolo delle ONG nei recenti disordini politici in Cina. Non è una
forzatura dire che Pechino ha finalmente riconosciuto, così come la
Russia prima, che per mantenere la stabilità politica e la vera
sovranità, deve controllare lo spazio della società civile, altrimenti
manipolabile da Stati Uniti e alleati.
‘Soft Power’ e destabilizzazione della Cina
Joseph Nye ha notoriamente definito il ‘soft power’ come la capacità di un Paese di persuadere gli altri e/o di manipolare gli eventi senza forza o coercizione per avere risultati politicamente desiderabili. Uno dei principali strumenti del soft power moderno sono la società civile e le ONG che la dominano. Con il sostegno finanziario di singoli od istituzioni potenti, tali ONG utilizzano la coperture della “promozione della democrazia” e dei diritti umani per promuovere l’agenda dei loro finanziatori. E la Cina fu particolarmente vittima di tale strategia. Human Rights Watch e il complesso delle ONG in generale hanno condannato la legge sulla gestione delle ONG straniere in Cina perché giustamente credono che ostacolerà gravemente gli sforzi per agire in modo indipendente da Pechino.
Joseph Nye ha notoriamente definito il ‘soft power’ come la capacità di un Paese di persuadere gli altri e/o di manipolare gli eventi senza forza o coercizione per avere risultati politicamente desiderabili. Uno dei principali strumenti del soft power moderno sono la società civile e le ONG che la dominano. Con il sostegno finanziario di singoli od istituzioni potenti, tali ONG utilizzano la coperture della “promozione della democrazia” e dei diritti umani per promuovere l’agenda dei loro finanziatori. E la Cina fu particolarmente vittima di tale strategia. Human Rights Watch e il complesso delle ONG in generale hanno condannato la legge sulla gestione delle ONG straniere in Cina perché giustamente credono che ostacolerà gravemente gli sforzi per agire in modo indipendente da Pechino.
Tuttavia, contrariamente all’ineccepibile
espressione di innocenza che tali organizzazioni usano per mascherarsi,
la realtà è che agiscono come braccio delle agenzie d’intelligence e dei
governi occidentali, svolgendo un ruolo centrale nella
destabilizzazione della Cina negli ultimi anni.
Senza dubbio l’esempio
più pubblicizzato di tale ingerenza politica si ebbe nel 2014 con il
molto pubblicizzato movimento “Occupy Central” di Hong Kong, noto anche
come movimento degli ombrelli. I media occidentali rifilarono al loro
pubblico disinformato continue storie su un movimento “pro-democrazia”
che cercava di dare voce a ciò che il portavoce della Casa Bianca Josh
Earnest aveva cinicamente definito, “… le aspirazioni del popolo di Hong
Kong”. Ma tale retorica vuota fu solo parte della storia. Ciò che i
media aziendali occidentali non dissero erano i collegamenti
profondamente radicati tra movimento Occupy Central e i principali
organi del soft power USA.
Il capo spesso propagandato di Occupy Central
era l’accademico filo-occidentale Benny Tai, professore di diritto
presso l’Università di Hong Kong. Anche se si presentava come il capo di
un movimento di massa, Tai per anni ha collaborato con oò National
Democratic Institute (NDI), una ONG di nome ma direttamente finanziata
dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti attraverso il National
Endowment for Democracy (NED). In realtà, NDI fu uno dei principali
sostenitori e finanziatori del Centro di diritto comparato e pubblico
presso l’Università di Hong Kong, un programma con cui Benny Tai era
intimamente connesso, essendone anche un membro del consiglio dal 2006.
Quindi, lungi dall’essere semplicemente un capo emergente, Tai era una
persona accuratamente scelta per un movimento da rivoluzione colorata
sponsorizzato dagli USA. Altre due figure di alto profilo coinvolte in
Occupy Central erano Audrey Eu, fondatrice del Partito civico di Hong
Kong, e Martin Lee, fondatore e presidente del Partito democratico di
Hong Kong. Eu e Lee hanno vecchi legami con il governo degli Stati Uniti
attraverso NED e NDI, essendo stata Eu frequente ospite dei programmi
sponsorizzati dal NDI, ed essendo Lee un glorioso destinatario dei
riconoscimenti di NED e NDI, oltre ad aver incontro il vicepresidente
degli USA Joe Biden nel 2014 insieme all’avvocato anti-cinese Anson
Chan.
Non ci vogliono poteri eccezionali di deduzione per vedere che, in
misura diversa, Tai, Eu, Lee e Chan sono il volto pubblico di
un’iniziativa del governo statunitense volta destabilizzare Hong Kong,
una delle più economicamente e politicamente importanti regioni della
Cina. Tramite le ONG, Washington promuove una linea anti-Pechino sotto
l’egida della “promozione della democrazia”, proprio come ha fatto
dall’Ucraina al Venezuela. Fortunatamente per la Cina, il movimento non è
stato supportato dalla classe operaia di Hong Kong e Cina, e neanche
dalla classe media che vi ha visto poco più di un inconveniente, al
meglio. Tuttavia, ciò richiese l’azione rapida del governo per contenere
il fiasco nelle relazioni pubbliche e nei media che avrebbe comportato
il movimento, un fatto di cui Pechino, senza dubbio, ha preso atto.
Come
il portavoce per il Congresso nazionale del popolo ha spiegato ad
aprile, la legge sulle ONG è necessaria per “la salvaguardia della
sicurezza nazionale e il mantenimento della stabilità sociale”. In
effetti, alla fine del 2014, sulla scia di Occupy Central, il presidente
cinese Xi Jinping s’è recato a Macao parlando della necessità di
garantirne la “retta via”. Con velato riferimento a Hong Kong, Xi ha
elogiato Macao che continua a seguire il principio “un Paese, due
sistemi”, la politica con cui le regioni amministrative speciali di
Macao e Hong Kong hanno autonomia, ma sono soggette alla legge cinese.
In sostanza, Xi ha chiarito che nonostante il movimento delle ONG
straniere, fabbricato a Hong Kong, Pechino aveva saldamente il
controllo. Ed è proprio questo il problema: il controllo.
L’arma del ‘Soft power’,
l’ONG, non è relegata solo ad Hong Kong. In realtà, la provincia
occidentale cinese del Xinjiang, una delle regioni più instabili del
Paese, ha visto costante destabilizzazione e sovversione attiva da parte
del soft power negli ultimi anni. Sede dell’etnia a maggioranza
musulmana uigura, il Xinjiang è stato ripetutamente attaccato dal
terrorismo e dalla propaganda vile che cerca di dipingere la Cina
oppressiva e nemica degli uiguri e dei musulmani in generale.
Il
Xinjiang è stato vittima di una serie di attacchi terroristici mortali
negli ultimi anni, tra cui l’odioso attentato con autobombe che uccise e
ferì oltre 100 persone nel maggio 2014, accoltellamenti di massa e
bombardamenti del novembre 2014, e il mortale attacco dei terroristi
uiguri a un posto di blocco il mese scorso, che ha lasciato 18 morti. Se
tali attacchi, che hanno causato la morte di decine di inermi cittadini
cinesi, fossero stati effettuati contro, per esempio, gli statunitensi,
i media occidentali avrebbero parlato di jihad contro il mondo intero.
Tuttavia, dato che sono accaduti in Cina, questi diventano incidenti
isolati causati da “marginalizzazione” e “oppressione” del popolo uiguro
dalle parte delle cattive grandi autorità cinesi.
Tale racconto
disgustosamente parziale è in gran parte dovuto alla penetrazione delle
ONG nella comunità uigura e a una vasta rete di relazioni pubbliche
finanziate dal governo degli Stati Uniti. Lo stesso National Endowment for Democracy
(NED), che ha erogato fondi al NDI e altre organizzazioni coinvolte
nella destabilizzazione di Hong Kong, è il primo finanziatore del
complesso delle ONG uigure. Le seguenti organizzazioni hanno ricevuto un
significativo sostegno finanziario dalla NED: Congresso Mondiale
Uiguro, Associazione americana uigura, Fondazione internazionale per la
democrazia e i diritti dell’uomo uigura e l’International Uighur PEN
Club.
Tali ONG sono spesso le fonti citate dai media occidentali per
commentare ciò che riguarda lo Xinjiang, sempre pronte a demonizzare
Pechino per ogni problema nella regione, compreso il terrorismo. Forse
il miglior esempio di tale propaganda e disonestà s’è avuto nelle ultime
settimane quando i media occidentali hanno diffuso storie che
accusavano la Cina di aver vietato l’osservanza del Ramadan nello
Xinjiang. In effetti, ci furono letteralmente centinaia di articoli che
condannavano la Cina per tale “restrizione della libertà religiosa”
raffigurante il governo cinese come repressivo e violatore dei diritti
umani.
È interessante notare che la fonte non era altro che il Congresso
mondiale uiguro finanziato dalla NED. Inoltre, a metà luglio, il giorno
della Ayd al-Fitr (l’ultimo giorno del Ramadan), il Wall Street Journal
pubblicò una storia per sminuire i media cinesi che, nelle ultime
settimane, pubblicizzavano come nel Xinjiang e in Cina si celebri
apertamente il Ramadan. E, come ci si aspettava, la fonte anti-cinese
era come al solito un rappresentante del Congresso mondiale degli
uiguri. Sembra che tale organizzazione, lungi dal difendere i diritti
umani, sia portavoce della propaganda statunitense contro la Cina. E
quando la propaganda è sfidata e screditata dalla Cina, ciò non suscita
che altra propaganda ancor più dozzinale.
Impronte geopolitiche
Tale demonizzazione ha assunto un chiaro significato geopolitico e strategico quando la Turchia s’è immischiata condannando la Cina per la sua presunta “persecuzione” degli uiguri, che Ankara vede come turchi nella sua prospettiva revanscista neo-ottomana. Il ministero degli Esteri turco ha detto in un comunicato che
Tale demonizzazione ha assunto un chiaro significato geopolitico e strategico quando la Turchia s’è immischiata condannando la Cina per la sua presunta “persecuzione” degli uiguri, che Ankara vede come turchi nella sua prospettiva revanscista neo-ottomana. Il ministero degli Esteri turco ha detto in un comunicato che
“Il nostro popolo è rattristato dalla notizia che agli uiguri turchi è vietato il digiuno o effettuare altri compiti religiosi nella regione dello Xinjiang… La nostra profonda preoccupazione per questi rapporti sono stati trasmessi all’ambasciatore della Cina ad Ankara“.
La Cina ha risposto
considerando inappropriati i commenti dal ministero degli Esteri della
Turchia, specialmente alla luce della definizione assurda degli uiguri
(cittadini cinesi) come “turchi.” Il portavoce del Ministero degli
Esteri della Cina Hua Chunying ha dichiarato,
“La Cina ha già chiesto alla Turchia di chiarire questi rapporti ed abbiamo espresso preoccupazione per la dichiarazione del ministero degli Esteri turco… Dovete sapere che tutti nello Xinjiang godono della libertà religiosa accordatagli dalla Costituzione cinese“.
Mentre il governo cinese,
come fa quasi sempre, ha usato un linguaggio decisamente moderato per
esprimere dispiacere, le implicazioni della dichiarazione non sono state
ignorate dagli osservatori politici più acuti e con una qualche
comprensione del rapporto tra Cina e Turchia.
Anche se i due Paesi hanno
molti interessi allineati, come dimostra il ripetuto desiderio della
Turchia di aderire alla Shanghai Cooperation Organization (SCO), il
fatto poco noto è che la Turchia è uno dei principali animatori del
terrorismo in Cina. Anche se non c’è stata alcuna fanfara dai media
internazionali, nel gennaio 2015 le autorità cinesi arrestarono almeno
dieci turchi accusati di aver organizzato e facilitato l’attraversamento
illegale delle frontiere di numerosi estremisti uiguri.
Fu inoltre
rivelato che tali estremisti progettavano di recarsi in Siria,
Afghanistan e Pakistan per addestrarsi e combattere con gli altri
jihadisti. La storia è ancora una prova ulteriore della ben finanziata
rete del terrore internazionale gestita e/o supportata dai servizi
segreti turchi. Secondo il ministero degli Esteri turco, i dieci
cittadini turchi furono arrestati a Shanghai il 17 novembre 2014 per
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Mentre le accuse formali
contro di loro vanno dalla falsificazione dei documenti all’emigrazione
illegale, la maggiore questione è il terrorismo internazionale che si
cela sotto la superficie. Perché naturalmente, come le prove sembrano
indicano, tali immigrati uiguri non viaggiavano per vedere i propri cari
all’estero. Al contrario, erano probabilmente parte di un flusso di
estremisti uiguri che si recava in Medio Oriente per combattere con lo
Stato islamico e altri gruppi terroristici.
Tali reti estremiste hanno
eseguito l’attentato mortale ad Urumqi, capitale dello Xinjiang. In
realtà, proprio tale tendenza fu denunciata due mesi prima, nel
settembre 2014, quando la Reuters riferì che Pechino aveva formalmente
accusato i militanti uiguri dello Xinjiang di essersi recati nel
territorio controllato dallo Stato islamico per addestrarsi. A ulteriore
conferma di tali accuse, il Jakarta Post indonesiano riferiva che
quattro jihadisti uiguri cinesi erano stati arrestati in Indonesia dopo
esser giunti dalla Malesia. Altri articoli simili sono emersi negli
ultimi mesi, dipingendo il quadro di una campagna concertata per aiutare
gli estremisti uiguri a collaborare in tutta l’Asia con i gruppi
terroristici transnazionali come lo Stato islamico.
Così, i terroristi
uiguri con documenti falsi forniti dalla Turchia sono implicati nella
stessa rete del terrore che ha effettuato una serie di attentati mortali
contro cittadini e poliziotti cinesi. Non c’è da stupirsi che la Cina
non faccia molto per asciugare le lacrime di coccodrillo di Erdogan e
del governo turco. Tuttavia, nonostante la guerra del terrore, le ONG
uigure finanziate dagli USA continuano a rappresentare la Cina come
responsabile del terrorismo.
La destabilizzazione della Cina prende
molte forme. Da movimento di protesta prodotto a Hong Kong e promosso
dalle ONG collegate al governo degli Stati Uniti, alla guerra di
propaganda fabbricata e spacciata da altre ONG promosse dal governo
degli Stati Uniti, alla guerra terroristica fomentata da un membro della
NATO; la Cina è una nazione sotto attacco del soft e hard power. Che
Pechino finalmente prenda misure per frenare la perniciosa influenza di
tali ONG e delle forze che rappresentano, non è solo un passo positivo, è
assolutamente necessario. La sicurezza nazionale e la sovranità
nazionale della Repubblica Popolare Cinese non richiedono nulla di meno.
Eric Draitser New Eastern Outlook 25.07.2015
Eric Draitser è analista geopolitico indipendente di New York City, fondatore di StopImperialism.org ed editorialista di RT, in esclusiva per la rivista online New Eastern Outlook.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2015/07/26/legge-sulle-ong-cinese-contrastare-soft-power-e-sovversione-occidentali/
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