La svalutazione dello yuan, resa possibile dalla decisione del Governo cinese di incrementare il possibile tasso di oscillazione della propria valuta nei confronti del dollaro statunitense, ha suscitato forti preoccupazioni a Washington, Tokio e Bruxelles con conseguenza sulle rispettive Borse.
La
svalutazione dello yuan, resa possibile dalla decisione del Governo
cinese di incrementare il possibile tasso di oscillazione della propria
valuta nei confronti del dollaro statunitense, ha suscitato forti
preoccupazioni a Washington, Tokio e Bruxelles con conseguenza sulle
rispettive Borse. I commenti immediati di quasi tutti gli osservatori ne
hanno identificata la causa nella volontà di favorire le proprie
esportazioni. Qualcuno è arrivato a sostenere che questo potrebbe essere
l'inizio di una guerra valutaria basata su svalutazioni competitive
miranti a proteggere le esportazioni di ciascun Paese coinvolto.
Ciò che non è stato tuttavia considerato, per quanto ho potuto leggere, è che, essendo lo yuan volutamente legato per molti anni al dollaro americano con soltanto piccolissime oscillazioni, aveva gia' subito queste " svalutazioni competitive" da parte di euro e yen in particolare. Se pensiamo che negli ultimi mesi il dollaro si è rafforzato molto contro entrambe le due valute a causa dei rispettivi "quantitative easing", ne consegue che anche la moneta cinese ha subito lo stesso andamento. Più esattamente, lo yen giapponese, dalla fine del 2012 a oggi, si è svalutato di un terzo contro il dollaro mentre l'euro, dall'inizio di quest'anno, si è svalutato di un quinto. In altre parole, nell'ultimo anno la moneta cinese si è sopravvalutata di almeno il 13,5% nei confronti di entrambe le monete.
Dal punto di vista di Pechino, consentire oggi una maggiore fluttuazione nei confronti del dollaro (e quindi lasciare che il mercato portasse autonomamente alla diminuzione del suo valore) è stata, in realtà, una risposta minima per correggere, almeno in parte, lo squilibrio creatisi. Non dimentichiamo che la Germania, che pur concorre con la Cina al titolo di maggiore esportatore mondiale e ha un forte surplus di bilancio, proprio grazie ai Paesi "deboli" dell'eurozona, ha goduto il vantaggio di una svalutazione anziché la penalizzazione, secondo le regole macro-economiche, di una rivalutazione della propria moneta.
Detto ciò, anche se la diminuzione di valore dello yuan (per ora ancora assai contenuta) potrebbe dare un leggerissimo aiuto alle esportazioni del "dragone", è difficile, a mio giudizio, immaginare che questo sia stato il vero o l'unico scopo delle decisioni assunte negli ultimi giorni. Se, infatti, tutti gli indicatori ci confermano l'intenzione di Pechino di trasformare la propria economia da totalmente orientata verso l'estero a uno sviluppo dei consumi interni, il risultato che scaturisce da una svalutazione è ben poco in sintonia con questa volontà. Anzi!
Dobbiamo dunque considerare l'altra ipotesi: quella di una futura guerra valutaria. Non bisogna però pensare a essa immaginando soltanto gli effetti e gli obiettivi commerciali. Nonostante la crisi in atto e la riduzione delle esportazioni cinesi Pechino è ancora sufficientemente competitiva per non avere interesse a suscitare conflitti che non si sa dove porterebbero. E, comunque, se quella fosse stata la vera intenzione, allora la svalutazione avrebbe ottenuto un maggiore risultato se si fosse trattato almeno di un dieci per cento, cosa che avrebbe messo in ginocchio qualunque concorrente.
Lo sguardo va piuttosto puntato in un'altra direzione e, più esattamente, verso una strategia d'internazionalizzazione dello yuan cominciato ben prima di oggi. Già nel marzo 2014 la Banca di Cina aveva aumentato la possibile oscillazione nei confronti del dollaro dall'uno al 2% e allargarla oggi ulteriormente significa avvicinarsi ancora di più all'obiettivo di rendere la propria moneta totalmente negoziabile.
D'altra parte, per consentire allo yuan di diventare una moneta che potrebbe potenzialmente far parte delle riserve valutarie di altri Paesi e competere con dollaro, euro, yen, sterlina e franco svizzero è necessario che essa sia liberamente trattabile sul mercato libero e non più soggetta a un cambio arbitrariamente fissato in modo più o meno rigido dal governo. Questa ipotesi si sposa perfettamente con altri fatti accaduti recentemente, quali la creazione di una Banca Asiatica di sviluppo e la concorrenza diretta con il Fondo Monetario Internazionale dominato dagli americani. Anche gli accordi sottoscritti nell'ultimo incontro dei BRICS, quando si decise che gli scambi interni sarebbero potuti avvenire nelle rispettive valute costituiscono un perfetto preludio alla strategia sopra menzionata.
Se queste considerazioni sono esatte e se proprio questa è la vera spiegazione di quanto accaduto, lo potremo arguire dalle mosse del Governo di Pechino e della sua Banca Centrale nei prossimi mesi. Sta di fatto che tutto ciò si sposa perfettamente anche con la politica estera cinese più assertiva, così come si sta manifestando in modo sempre più evidente.
Ciò che non è stato tuttavia considerato, per quanto ho potuto leggere, è che, essendo lo yuan volutamente legato per molti anni al dollaro americano con soltanto piccolissime oscillazioni, aveva gia' subito queste " svalutazioni competitive" da parte di euro e yen in particolare. Se pensiamo che negli ultimi mesi il dollaro si è rafforzato molto contro entrambe le due valute a causa dei rispettivi "quantitative easing", ne consegue che anche la moneta cinese ha subito lo stesso andamento. Più esattamente, lo yen giapponese, dalla fine del 2012 a oggi, si è svalutato di un terzo contro il dollaro mentre l'euro, dall'inizio di quest'anno, si è svalutato di un quinto. In altre parole, nell'ultimo anno la moneta cinese si è sopravvalutata di almeno il 13,5% nei confronti di entrambe le monete.
Dal punto di vista di Pechino, consentire oggi una maggiore fluttuazione nei confronti del dollaro (e quindi lasciare che il mercato portasse autonomamente alla diminuzione del suo valore) è stata, in realtà, una risposta minima per correggere, almeno in parte, lo squilibrio creatisi. Non dimentichiamo che la Germania, che pur concorre con la Cina al titolo di maggiore esportatore mondiale e ha un forte surplus di bilancio, proprio grazie ai Paesi "deboli" dell'eurozona, ha goduto il vantaggio di una svalutazione anziché la penalizzazione, secondo le regole macro-economiche, di una rivalutazione della propria moneta.
Detto ciò, anche se la diminuzione di valore dello yuan (per ora ancora assai contenuta) potrebbe dare un leggerissimo aiuto alle esportazioni del "dragone", è difficile, a mio giudizio, immaginare che questo sia stato il vero o l'unico scopo delle decisioni assunte negli ultimi giorni. Se, infatti, tutti gli indicatori ci confermano l'intenzione di Pechino di trasformare la propria economia da totalmente orientata verso l'estero a uno sviluppo dei consumi interni, il risultato che scaturisce da una svalutazione è ben poco in sintonia con questa volontà. Anzi!
Dobbiamo dunque considerare l'altra ipotesi: quella di una futura guerra valutaria. Non bisogna però pensare a essa immaginando soltanto gli effetti e gli obiettivi commerciali. Nonostante la crisi in atto e la riduzione delle esportazioni cinesi Pechino è ancora sufficientemente competitiva per non avere interesse a suscitare conflitti che non si sa dove porterebbero. E, comunque, se quella fosse stata la vera intenzione, allora la svalutazione avrebbe ottenuto un maggiore risultato se si fosse trattato almeno di un dieci per cento, cosa che avrebbe messo in ginocchio qualunque concorrente.
Lo sguardo va piuttosto puntato in un'altra direzione e, più esattamente, verso una strategia d'internazionalizzazione dello yuan cominciato ben prima di oggi. Già nel marzo 2014 la Banca di Cina aveva aumentato la possibile oscillazione nei confronti del dollaro dall'uno al 2% e allargarla oggi ulteriormente significa avvicinarsi ancora di più all'obiettivo di rendere la propria moneta totalmente negoziabile.
D'altra parte, per consentire allo yuan di diventare una moneta che potrebbe potenzialmente far parte delle riserve valutarie di altri Paesi e competere con dollaro, euro, yen, sterlina e franco svizzero è necessario che essa sia liberamente trattabile sul mercato libero e non più soggetta a un cambio arbitrariamente fissato in modo più o meno rigido dal governo. Questa ipotesi si sposa perfettamente con altri fatti accaduti recentemente, quali la creazione di una Banca Asiatica di sviluppo e la concorrenza diretta con il Fondo Monetario Internazionale dominato dagli americani. Anche gli accordi sottoscritti nell'ultimo incontro dei BRICS, quando si decise che gli scambi interni sarebbero potuti avvenire nelle rispettive valute costituiscono un perfetto preludio alla strategia sopra menzionata.
Se queste considerazioni sono esatte e se proprio questa è la vera spiegazione di quanto accaduto, lo potremo arguire dalle mosse del Governo di Pechino e della sua Banca Centrale nei prossimi mesi. Sta di fatto che tutto ciò si sposa perfettamente anche con la politica estera cinese più assertiva, così come si sta manifestando in modo sempre più evidente.
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