Come previsto diplomazia e avvertimenti dei cinesi hanno costretto
Washington e Pyongyang a fermare la “guerra delle parole” che accelerava
la crisi nel Pacifico settentrionale. Quattro giorni prima, dopo
l’avvertimento della Cina agli Stati Uniti che avrebbe difeso la Corea
democratica se l’avessero attaccata e cercato di cambiarne regime, e
dopo la chiamata del Presidente Xi Jinping al presidente degli Stati
Uniti Trump, dicendogli si smetterla, scrissi che pensavo che la
diplomazia cinese avrebbe avuto successo e che la guerra verbale tra
Stati Uniti e Corea democratica sarebbe finita.
“Quando si ha che fare con la Corea democratica e un leader orgoglioso, inesperto e volubile come Donald Trump, non è mai facile essere sicuri, ma la mia ipotesi è che la diplomazia cinese negli ultimi due giorni sia stata efficace e che il grosso della crisi sia finita. In caso affermativo mi aspetto che lo scontro verbale tra Washington e Pyongyang inspiegabilmente e misteriosamente esploso negli ultimi giorni, si affievolisca”.
Nello stesso articolo osservai che il presidente
degli Stati Uniti Trump non era sicuramente l’unico capo straniero che i
cinesi avrebbero contattato nel corso della crisi. I cinesi senza
dubbio avranno parlato anche con i nordcoreani, probabilmente coi
sudcoreani, e naturalmente erano a stretto contatto con l’alleato russo.
Oggi è chiaro che la diplomazia cinese ha effettivamente avuto
successo.
Kim Jong-un ha mollato il piano provocatorio di lanciare
missili Hwasong-12 presso Guam (dove gli Stati Uniti hanno una
grande base aeronavale) e Donald Trump si congratulava con Kim Jong-un
per aver preso una “saggia e ben motivata decisione”. Sebbene i cinesi
abbiano ottenuto ciò che volevano, la fine della fastidiosa guerra
verbale tra Washington e Pyongyang delle ultime due settimane, sarebbe
sbagliato dire che Washington e Pyongyang abbiano ceduto.
Ciò
significherebbe che i due governi si minacciassero sul serio, cosa di
cui dubito fortemente. Sono sicuro che non c’è mai stata la minima
intenzione degli Stati Uniti di attaccare la Corea democratica o che Kim
Jong-un e leadership nordcoreana volessero la dimostrazione
missilistica assai provocatoria e inutile su Guam di cui si parlava.
L’esercito statunitense s’è opposto con assoluta nettezza all’attacco
militare alla Corea democratica, e nessun presidente statunitense,
certamente non uno dalla posizione politica debole come Donald Trump,
andrà mai andato contro l’esercito statunitense su cose del genere. Il
modello coerente del comportamento militare statunitense è che, sebbene
le forze armate statunitensi eseguano senza esitazione l’ordine
presidenziale di attaccare un avversario debole giudicato incapace di
combattere (esempio la Jugoslavia nel 1999, i taliban nel 2001, l’Iraq
nel 2003 e la Libia nel 2011) si sforza sempre di evitare un nemico che
possa rispondere e causare seri danni ai militari statunitensi.
Perciò
l’esercito statunitense si è sempre opposto a un confronto con
l’esercito russo in Siria, nonostante la superiorità militare
statunitense rispetto alle forze russe nella zona. Contro la Corea
democratica, armata di armi nucleari e missili balistici che possono
raggiungere il territorio degli USA e sostenuta pubblicamente dalla
Cina, non ci fu mai la minima possibilità di un attacco statunitense.
Per la Corea democratica, la proposta di lanciare missili Hwasong-12
verso Guam ha sempre avuto un aspetto melodrammatico. Dubito che ci
abbiano mai pensato seriamente.
Se non si può affermare che nessuno dei due abbia ceduto, gli Stati Uniti sembrano comunque i perdenti della vicenda. Come rilevava il quotidiano cinese Global Times, gli Stati Uniti sono sempre in svantaggio quando ingaggiano con la Corea democratica una guerra verbale.
“Gli Stati Uniti di solito non possono vincere in queste guerre verbali, dato che Pyongyang sceglie la forma che preferisce e ciò che Washington dice non può essere sentito dalla società nordcoreana. Ma l’opinione statunitense presta grande attenzione a tutto ciò che dice la Corea democratica”.
L’amministrazione Trump ha comunque scelto
d’ingaggiare la Corea democratica in tale guerra. Il risultato è stato
rafforzare il sostegno della Cina alla Corea democratica, offrendole ciò
che appare la garanzia pubblica della sua sicurezza, mentre sconvolge
gli alleati statunitensi come la Corea del Sud sempre più preoccupata da
intenzioni e azioni degli Stati Uniti; e la Germania che sulla
questione coreana va contro gli Stati Uniti affiancando Cina e Russia.
Peggio ancora, Kim Jong-un, secondo il presidente Trump, esce da tale
confronto in questa lunga crisi, apparendo “saggio e ben motivato”.
Difficilmente un risultato che piacerà a Washington.
Alexander Mercouris, The Duran 16/08/2017
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2017/08/17/la-cina-costringe-gli-usa-a-porre-fine-alla-guerra-delle-parole/
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