Premetto che a
Charlottesville, durante le recenti violente dimostrazioni, non c’ero.
Ma conosco gente che vi ha partecipato, e da loro ho ricevuto videos,
audio, foto e testimonianze – per cui mi son fatto una certa idea di
quel che è successo. E, forse più importante, di quel che l’evento
significa, simboleggia, suggerisce e preconizza.
Charlottesville è
cittadina dal sapore e dall’aria del Sud (degli Stati Uniti), nonché
patria di Thomas Jefferson, proto e massimo redattore della
Dichiarazione di Indipendenza. Si trova all’orlo delle famose Blue
Mountains e dell’altrettanto famoso Parco Nazionale di Shenandoa,
geografie che tante canzoni hanno ispirato alla musica folkloristica,
‘blue grass’ e ‘country’ degli Stati Uniti.
Si chiama Charlottesville in onore della consorte di re Giorgio III, la tedeschissima Charlotte di Mecklenburg-Strelitz [in inglese].
Niente da meravigliarsi, perché dalla “gloriosa rivoluzione” inglese
del 1688 in poi, tutti i regnanti inglesi sono stati più o meno
tedeschi.
Gli stessi Windsor
erano in realtà Saxe-Coburg. Il cambio avvenne nel 1917, regnante il
nonno di Elisabetta II, durante la Prima Guerra Mondiale. A quei tempi,
per persuadere i soliti innocenti ingenui a lasciare la pelle al fronte,
la propaganda chiamava i tedeschi ‘Huns’ (Unni,) efferati e
sadici barbari che sgozzavano persino i bambini, insieme ad altre
innominabili atrocità. Naturalmente erano palle più grosse di una casa,
ma anche l’acqua sporca serve al mulino imbiancato. Avere un re col nome
di un unno era inconciliabile con la propaganda.
Jefferson ha lasciato notevoli e nobili impronte a Charlottesville. Vi sorge Monticello,
residenza che lui stesso progettò e a cui contribuì direttamente nella
costruzione. Gentiluomo, ateo, illuminista, scrittore, architetto,
amante di aggeggi e innovazioni tecnologiche, Jefferson era anche un
grande ammiratore della cultura e arte italiana. “Monticello” è
nome di sua scelta. La struttura e l’edificio si ispirano direttamente
alle ville del Palladio. A Monticello le porte si aprivano da sole,
l’orologio indicava le ore e i giorni della settimana, e il letto era
stato progettato in modo che alzandosi, l’illustre dormiente potesse
scegliere in quale di due stanze dirigersi.
Jefferson morì il 4
Luglio del 1826, esattamente 50 anni dopo la Dichiarazione di
Indipendenza. Sulla sua tomba volle scritto, “Stilò la Dichiarazione di
Indipendenza, promulgò in Virginia la legge sulla libertà di culto e
religione, e fondò l’Università della Virginia” (appunto a
Charlottesville).
Peraltro, era anche
quello che scrisse, “L’albero della libertà deve essere rinverdito e
annaffiato ogni tanto, col sangue di patrioti e tiranni.”
Con la recente
sommossa di Charlottesville, Jefferson non c’entra, ma c’entra il suo
spirito, e forse la più importante clausola della Costituzione
americana, l’articolo numero uno, “the First Amendment”
che dice, “Il Congresso non promulgherà alcuna legge a riguardo della
religione, o del suo libero esercizio; o che limiti la libertà di
parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi
pacificamente, e di presentare petizioni al Governo per correggere
ingiustizie.”
[ “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances.”]
Perchè, come cercherò di documentare, la libertà di espressione è sotto pesante attacco, negli Stati Uniti.
Per motivi troppo
lunghi per essere qui adeguatamente documentati, si è formato un
movimento globale, espressione di un progetto inteso non solo a
riscrivere la storia degli Stati Uniti, ma a sostituire
la civiltà corrente con un altra, unisesso, LGBT, unirazza,
miscegenata, senza religione o valori che non siano quelli del
neo-liberismo più sfrenato e – aggiungo con amarezza – della più
degradante e orripilante pornografia di Hollywood.
In Italia e in
Europa, la transumanza biblica dall’Africa è espressione inconfutabile e
lampante del fenomeno. Il piano dell’immigrazione era, del resto, stato
stilato dal fondatore dell’Unione Europea, Coudeneuve-Kalergi, nel suo
libro in tedesco “Praktischer Idealismus,” mai tradotto in altre lingue
per volontà occulte. Ma di cui si possono adesso leggere stralci in
inglese al seguente link.
Ritengo peraltro significativo che il Premio Kalergi per il 2016 sia andato a Papa Bergoglio.
Il casus belli della
sommossa di Charlottesville è stata la revisione in corso della storia
degli Stati Uniti – nella fattispecie, la rimozione della statua del
generale sudista Robert Lee, dal parco che ne porta(va) il suo nome.
Tuttavia il
recentissimo revisionismo storico è un curioso corollario, paradossale,
ma solo in apparenza, come vedremo, del movimento di cui sopra.
Nel bailamme e nei
rivolgimenti della politica, del potere occulto e della cultura
americana corrente, i cosiddetti liberali portano l’etichetta di
sinistra. In realtà sono davvero sinistri e micidiali, ma con la
sinistra storica ormai c’entrano come i cavoli a merenda. Per semplicità
li chiamerò liberaloidi, anche perché di liberale hanno poco, per non
dire niente. I liberaloidi sono diventati, o meglio, sono stati pilotati
a diventare servi, camerieri, lacchè e maggiordomi della più bieca
reazione.
Reazione rappresentata, a sua volta, dai cosiddetti neo-con(servatives),
un eufemismo per sionisti rampanti, guerrafondai, camice nere
dell’“Israele-uber-alles” e spina dorsale politica del militarismo,
della finanziarizzazione dell’economia, Wall Street, decurtazione dei
servizi sociali, immigrazione, lotta alla Storia e ai valori
tradizionali di famiglia, nazionalità e tradizioni, abolizione dei
confini, eliminazione della classe media e guerra di classe al
contrario.
Figura emblematica
dei liberaloidi è Hillary Clinton, epigone e rappresentante di una
corruzione individuale, familiare e politica, da far cadere persino
Berlusconi al fondo alla serie B. Chi è interessato può leggere
l’articolo “The Clintons’ War on Women” [in inglese].
Ma come si fa a
convertire un’intera classe di attivisti e dimostranti che non molto
tempo fa si agitava in movimenti come “Occupy Wall Street,” o “99%” (per
sottolineare la differenza con l’1% che possiede e controlla il 50%
dell’economia USA) – come si fa a convertirli in paladini del nemico di
solo qualche mese prima?
Elementare,
scomodando Conan Doyle. Con magistrale abilità, degna di George Bernays,
capostipite moderno dell’acchiappacitrullismo organizzato (1), si cambiano le carte in tavola. Invece del calo dei salari, della disoccupazione, dei lavori
da terziario malpagato, dell’ormai intrattabile problema della
cosiddetta salute pubblica, della privatizzazione e industrializzazione
delle prigioni, degli impossibili costi dell’educazione, dell’abisso di
classe creato dalla finanziarizzazione dell’economia, etc. – invece di
tutto questo, in brevissimo tempo ci si agita per i diritti degli
omosessuali a sposarsi, dei gabinetti transgender, ci si lamenta della
brutalità della polizia, si protesta contro le pattuglie che controllano
il confine col Messico per ridurre l’immigrazione incontrollata e il
traffico di droghe, ci si lamenta contro il razzismo ‘storico,’ e si
abbattono le statue che commemorano eventi della guerra civile o
personaggi storici del Sud degli Stati Uniti, specialmente quelli
coinvolti nella guerra civile 1861-1865.
Ed è così che gruppi,
manipoli e plotoni di giovani, ignorando ed ignoranti di essere
manipolati, diventano vittime di oscuri schemi mentali e diaboliche
macchine socio-culturali, di cui sono itineranti ed inconsapevoli
ingranaggi.
Un lungo preludio alla cronaca del sabato di Charlottesville, ma chiedo al lettore ancora un pizzico di pazienza.
Ritengo che a nessuno
piaccia avere a che fare con la polizia. Negli Stati Uniti il problema è
aggravato dal fatto che il poliziotto, quando ferma un cittadino,
bianco, nero, rosso o giallo che sia, non sa se questo abbia un’arma con
sè o no.
E’ un lavoro improbo e
certi poliziotti, fortunatamente e statisticamente molto pochi, son
loro stessi dei pezzi da galera. Tuttavia, nei confronti armati con la
polizia, sono più i bianchi che i neri a lasciarci la pelle. Per
esempio, nel 2016, 963 persone sono state uccise in un confronto con la
polizia.
Di queste,
465 erano bianchi233 afroamericani160 latinos
il resto appartenente ad altre etnie o non identificati.
Ho tralasciato per brevità il numero di poliziotti uccisi mentre compiono il loro dovere.
Certo, ci sono meno
neri che bianchi negli USA, e quindi la percentuale non riflette le
differenze numeriche di popolazione. Ma per motivi che esulano dal tema,
gli afroamericani sono anche più esposti o partecipi al tipo di
criminalità che finisce in uno scontro con la polizia. Tuttavia,
nell’immaginario collettivo, abilmente costruito dalla macchina
mediatica liberaloide, si ha l’impressione che la polizia USA ammazzi
soltanto gli afroamericani.
Impressione diventata
messaggio portante del movimento “Black Lives Matter,” ben presente tra
i contro-dimostranti di Charlottesville. Per carità, certo che la vita
degli afroamericani conta, come quella di tutti. A renderlo sospetto,
tuttavia, è l’affiliazione economica del movimento “Black Lives Matter” a
fonti controllate dal super-sionista Soros, finanziatore occulto
ma-non-troppo di ‘rivoluzioni colorate,’ di navi e ONGs che vanno a
prendere i ‘profughi’ dall’Africa, nonché manipolatore par excellence di
valute a livello planetario.
In reazione al
processo liberaloide globalista si è formato un movimento, sia pure
diluito e disperso, senza rappresentanza politica, ma abbastanza
sentito, di un certo gruppo di bianchi, che non sono nazisti o razzisti,
ma sono definiti tali dai mass-media liberaloidi.
Il movimento chiede
un trattamento equo di tutti e si oppone al fatto che tra non molto,
tramite massiccia immigrazione, i bianchi negli USA saranno una
minoranza. A sua volta, quando i bianchi saranno una minoranza, il piano
Kalergi non sarà più reversibile – dato e non concesso che oggi sia
ancora possibile.
L’aggettivo ‘bianco’
ha connotati razzisti, ma nel caso, come ho detto, è un’associazione
ingiustificata. E’ come se in Italia, gli italiani che vogliono
mantenere l’Italia italiana e limitare o interrompere la transumanza
dall’Africa, fossero per questo ‘fascisti’, nazisti’ o ‘razzisti’, nel
senso di voler colonizzare, disprezzare o dominare presunte razze
‘inferiori.’
La sera prima della sommossa a Charottesville, un gruppo di studenti dell’Università della Virginia, aveva fatto una processione [in inglese] con fiaccole all’interno dell’Università.
Alcuni studenti portavano dei cartelli con la scritta, “White Lives Matter” [“le vite dei bianchi contano”]. E’
bastato questo ai mass-media TV liberaloidi, coadiuvati dal sindaco di
Charlottesville, il talmudista Signer, per dichiarare gli studenti
‘suprematisti bianchi’ e ‘membri del Ku Klux Klan’ – rappresentazione
balzana e fuorviante.
E veniamo agli
scontri. Ad organizzare la manifestazione era stata la “Lega del Sud.”
L’attuale organizzatore era Jason Kessler, leader di un movimento dal
nome di ‘Unite-the-Right’ [‘Unire la Destra’].
Premetto che non ho alcun interesse personale o affiliazione con
entrambi i movimenti. A stimolare la mia curiosità è stata proprio la
campagna, lanciata qualche mese fa, quasi dall’oggi al domani, per la
rimozione e distruzione di tutti i ricordi, emblemi e monumenti nel Sud,
connessi alla Guerra Civile e alla Confederazione.
Kessler aveva chiesto
il permesso per condurre la manifestazione al sindaco Signer e alle
autorità competenti di Charlottesville, che lo negarono. Dopodiché,
Kessler è andato al tribunale della contea, che ha annullato la
decisione del comune di Charlottesville e concesso il permesso per la
manifestazione.
Nei giorni
precedenti, tramite Internet, i manifestanti avevano invitato più gente
possibile a partecipare, persino famiglie e bambini, promettendo e
assicurando che la manifestazione programmata sarebbe stata
assolutamente pacifica – con l’unico scopo di non distruggere e non
riscrivere ex novo la Storia degli USA.
Nel giorno
prescritto, tanto per cominciare, i contro-dimostranti non avevano il
permesso, il che dava teoricamente il diritto (e il dovere) alla polizia
di disperderli, specialmente se violenti. Il luogo d’incontro dei
manifestanti era un piazzale nel “Lee Park”, dove sorge la statua del
Generale Lee, parco recentemente rinominato “Emancipation Park”.
Erano previsti discorsi di vari rappresentanti, ma prima ancora
dell’inizio della dimostrazione, la polizia decise che i dimostranti non
potevano usare gli altoparlanti che avevano portato in loco. Quindi
nessun discorso, il che equivale ad evirare la dimostrazione di buona
parte del suo contenuto.
Inoltre, per motivi
ancora ignoti, la polizia aveva disposto le transenne in modo che i
manifestanti autorizzati dovevano passare attraverso una specie di forca
caudina, esposti all’attacco dei contro-dimostranti, arrivati ancora
prima dei manifestanti “sudisti.” Chiaramente programmati alla violenza,
i contro-dimostranti, armati di mazze da baseball, lattine di birra
riempite con cemento, spray irritanti, sacchi d’urina e feci, si son
messi ad attaccare i manifestanti. In tutto, i manifestanti autorizzati
erano circa cinquemila.
A quel punto, la
polizia dichiarò la dimostrazione (quella autorizzata), immediatamente
terminata. I manifestanti, non sapendo lì per lì cosa fare, si sono
trattenuti un po’ nel parco, proteggendosi come potevano dai lanci e
dagli attacchi dell’opposizione. Per fedeltà di cronaca, come
precauzione contro possibili attacchi, gli organizzatori della
manifestazione avevano portato con se’ un certo numero di scudi di
plastica, amatoriali ma simili a quelli usati dalla polizia per
protezione.
Finita o cancellata
la dimostrazione, i manifestanti uscirono, di nuovo attraverso la ‘forca
caudina’, e a sentir loro, con notevole disinteresse della polizia nel
contenere i contro-dimostranti e le loro armi da battaglia.
A detta di uno dei
miei contatti, qualche poliziotto ammise, non ufficialmente, che avevano
ordini precisi di intervenire il meno possibile.
Naturalmente il sentito dire da un poliziotto non costituisce prova giudiziale. Ma nel seguente video, di qualche giorno dopo,
si vede un tipico ragazzone americano, con la bandiera della
Confederazione, che saluta militarmente la statua del Gen. Lee, mentre
e’ circondato e insultato da vari manifestanti liberaloidi. (“Razzista
va a casa – Racist go home. Buttala giù (la statua) – Tear it down, codardo, etc.)
Mentre la polizia lo
sta scortando via, il ragazzone dice, “Voglio onorare i miei antenati – e
far sapere agli altri che NON abbiamo combattuto per mantenere la
schiavitù e l’oppressione”.
La parte più
interessante del video è alla fine, quando un poliziotto dice a una
manifestante che continua ad insultare il ragazzone fino alle porte
della macchina, “Si vede che vuoi far ripetere quello che e’ successo
sabato scorso. Dovresti vergognarti.” Il che dà una certa plausibilità
alla dichiarazione del poliziotto del sabato precedente (di aver
ricevuto ordini dall’alto di non intervenire).
E veniamo
all’incidente della donna incastrata tra le macchine. Qui non posso
verificare del tutto – penso che anche in Italia si sarà visto il video
dell’auto che ne tampona un’altra. La sfortunata trentaduenne si è
trovata schiacciata tra la macchina tamponata e quella ferma di fronte.
A quanto pare, il
ventenne guidatore della macchina, cercava di scappare dai
contro-dimostranti, che l’avevano identificato come ‘nemico’. La sua
velocità era di circa 20 km all’ora. Infatti l’urto non e’ stato tale da
rendere l’auto inutilizzabile, permettendogli di fare marcia indietro e
scappare, almeno per un pò.
Se avesse voluto
compiere un eccidio avrebbe fatto come gli islamici sulla Rambla di
Barcellona, o sulla Promenade des Anglais a Nizza.
Ripeto, la
documentazione e le circostanze precise sono ancora da verificare, ma la
descrizione della dinamica dell’episodio non è divelta dalla logica o
dalla realtà.
E veniamo al dopo-manifestazione e alla questione della libertà di espressione. I punti importanti credo siano:
- Tutte le maggiori reti, radio e TV, si sono scatenate in furiose accuse di razzismo, fascismo, nazismo e violenza, attribuite ai “suprematisti bianchi” della manifestazione, che “ha causato tre morti.” Due dei tre erano poliziotti il cui elicottero è precipitato a 10 km da Charlottesville, ma per le reti di regime non conta. E hanno anche rimproverato a Trump l’aver condannato la “violenza da entrambe le parti.” Dichiarazione che, essendo la Casa Bianca in permanente stato d’assedio dai liberaloidi, dimostra un certo coraggio.
- A nessuno, dico nessuno dei rappresentanti dei manifestanti, è stato permesso di intervenire per offrire, perlomeno, un altro punto di vista. La situazione, mutatis mutandis, ricorda la febbre mediatica prima dell’aggressione in Iraq quando, per ore e ore, tutti i canali ripetevano come pappagalli che “Saddam ha armi di distruzione di massa.” Con carrellate su Colin Powell, allora un mammasantissima del Pentagono, mostrante all’ONU una fiala piena di un liquido bianco, spacciato per arma chimica irachena. Che poi lui stesso abbia ammesso che si trattava di latte e che “quell’episodio mi è rimasto sulla coscienza (!)” – e’ fatto perduto nella nebbia della storia da dimenticare.
- Un recente fenomeno, prevedibile ma relativamente inaspettato, è che i mass-media si sono enormemente screditati, a seguito della recente campagna presidenziale. Dove tutti davano per scontata la vittoria della megera Clintonesca. (99% di probabilità, proclamava tra gli altri la famosissima, intoccabile e inoppugnabile Università di Princeton).
- Sbalorditi dall’insuccesso, i media di regime non han trovato di meglio che dare la colpa alla Russia, la quale avrebbe “interferito” con le elezioni. E’ una palla pazzesca, senza ombra di prove, ma basta dire che Clinton ha perso per colpa della Russia, per applicare “sanzioni” che, come sappiamo, danneggiano gli esportatori europei. Alle interferenze della Russia non crede più nessuno, neanche quelli che lo dicono, ma la tiritera e le “sanzioni” continuano.
- Di conseguenza, e anche se ancora statisticamente modesta, è aumentata la percentuale di gente che non crede più (e quindi non guarda più) le TV liberaloidi e ottiene notizie da altre fonti in rete, come il sito del Saker. Inoltre, video e foto prese dai proverbiali uomini qualunque, spesso sputtanano platealmente certe versioni ufficiali.
Per correre ai
ripari, i mastodonti che controllano l’Internet, stanno cercando in
tutti i modi di togliere la parola a ogni opposizione in rete, mediante
censura, peraltro proibita dal First Amendment di cui sopra.
Per aggirare l’emendamento, hanno recentemente escogitato la trovata del “hate speech”
(più o meno “predica dell’odio”). Se un sito non ti piace, basta dire
che trasmette ‘hate speech’ e l’ente che ri-distribuisce il servizio è
obbligato a terminarlo. (2)
Tuttavia, non esiste
criterio per giudicare quando una trasmissione è una predica e se
predica odio. In breve, addio libertà di espressione.
Già diversi siti non
graditi ai liberaloidi, sono stati offuscati. E siccome i siti di
opposizione in rete sono in gran parte finanziati dai visitatori, le
banche hanno cominciato a togliere l’accesso al pagamento dei contributi
con carta di credito a siti non graditi.
Per concludere, è in
corso una rivoluzione dall’alto, di conseguenze nefaste, se portate alla
fine voluta. E pur scongiurando il peggio, Dante direbbe,
… tosto si vedrà de la ricoltade la mala coltura… (Par. XII, v.118)
Anche perché i
liberaloidi vedono in Trump il nemico numero uno del “piano Kalergi”
applicato all’America, e dalla loro bocca scende il veleno del rancore e
la bava dell’odio.
E’ ancora incerto se
Trump, costretto a decidere tra “O Kalergi o la vita” (anche se solo
vita politica), sceglierà l’uno o l’altra. Al momento non lo sa nessuno.
(1) Su George Bernays ed altri aspetti della storia degli Stati Uniti, è in rete su Saker Italia il libro “USA e Getta – Controstoria d’America.”
(2) A proposito di odio, recentemente, una celebrità di nome Kathy Griffin si è fatta pubblicità [in inglese],
stile marciume di Hollywood, popolarizzando in rete una sua foto con la
decapitata testa di Trump. Odio? Neanche a pensarci, rispondono i media
liberaloidi.
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