giovedì 24 agosto 2017

Le Due Americhe di Charlottesville


Premetto che a Charlottesville, durante le recenti violente dimostrazioni, non c’ero. Ma conosco gente che vi ha partecipato, e da loro ho ricevuto videos, audio, foto e testimonianze – per cui mi son fatto una certa idea di quel che è successo. E, forse più importante, di quel che l’evento significa, simboleggia, suggerisce e preconizza.

Charlottesville è cittadina dal sapore e dall’aria del Sud (degli Stati Uniti), nonché patria di Thomas Jefferson, proto e massimo redattore della Dichiarazione di Indipendenza. Si trova all’orlo delle famose Blue Mountains e dell’altrettanto famoso Parco Nazionale di Shenandoa, geografie che tante canzoni hanno ispirato alla musica folkloristica, ‘blue grass’ e ‘country’ degli Stati Uniti.

Si chiama Charlottesville in onore della consorte di re Giorgio III, la tedeschissima Charlotte di Mecklenburg-Strelitz [in inglese]. Niente da meravigliarsi, perché dalla “gloriosa rivoluzione” inglese del 1688 in poi, tutti i regnanti inglesi sono stati più o meno tedeschi.

Gli stessi Windsor erano in realtà Saxe-Coburg. Il cambio avvenne nel 1917, regnante il nonno di Elisabetta II, durante la Prima Guerra Mondiale. A quei tempi, per persuadere i soliti innocenti ingenui a lasciare la pelle al fronte, la propaganda chiamava i tedeschi ‘Huns’ (Unni,) efferati e sadici barbari che sgozzavano persino i bambini, insieme ad altre innominabili atrocità. Naturalmente erano palle più grosse di una casa, ma anche l’acqua sporca serve al mulino imbiancato. Avere un re col nome di un unno era inconciliabile con la propaganda.

Jefferson ha lasciato notevoli e nobili impronte a Charlottesville. Vi sorge Monticello, residenza che lui stesso progettò e a cui contribuì direttamente nella costruzione. Gentiluomo, ateo, illuminista, scrittore, architetto, amante di aggeggi e innovazioni tecnologiche, Jefferson era anche un grande ammiratore della cultura e arte italiana. “Monticello” è nome di sua scelta. La struttura e l’edificio si ispirano direttamente alle ville del Palladio. A Monticello le porte si aprivano da sole, l’orologio indicava le ore e i giorni della settimana, e il letto era stato progettato in modo che alzandosi, l’illustre dormiente potesse scegliere in quale di due stanze dirigersi.

Jefferson morì il 4 Luglio del 1826, esattamente 50 anni dopo la Dichiarazione di Indipendenza. Sulla sua tomba volle scritto, “Stilò la Dichiarazione di Indipendenza, promulgò in Virginia la legge sulla libertà di culto e religione, e fondò l’Università della Virginia” (appunto a Charlottesville).

Peraltro, era anche quello che scrisse, “L’albero della libertà deve essere rinverdito e annaffiato ogni tanto, col sangue di patrioti e tiranni.” 

Con la recente sommossa di Charlottesville, Jefferson non c’entra, ma c’entra il suo spirito, e forse la più importante clausola della Costituzione americana, l’articolo numero uno, “the First Amendment” che dice, “Il Congresso non promulgherà alcuna legge a riguardo della religione, o del suo libero esercizio; o che limiti la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente, e di presentare petizioni al Governo per correggere ingiustizie.”
[ Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances.”]
Perchè, come cercherò di documentare, la libertà di espressione è sotto pesante attacco, negli Stati Uniti.

Per motivi troppo lunghi per essere qui adeguatamente documentati, si è formato un movimento globale, espressione di un progetto inteso non solo a riscrivere la storia degli Stati Uniti, ma a sostituire la civiltà corrente con un altra, unisesso, LGBT, unirazza, miscegenata, senza religione o valori che non siano quelli del neo-liberismo più sfrenato e – aggiungo con amarezza – della più degradante e orripilante pornografia di Hollywood.

In Italia e in Europa, la transumanza biblica dall’Africa è espressione inconfutabile e lampante del fenomeno. Il piano dell’immigrazione era, del resto, stato stilato dal fondatore dell’Unione Europea, Coudeneuve-Kalergi, nel suo libro in tedesco “Praktischer Idealismus,” mai tradotto in altre lingue per volontà occulte. Ma di cui si possono adesso leggere stralci in inglese al seguente link.

Ritengo peraltro significativo che il Premio Kalergi per il 2016 sia andato a Papa Bergoglio.

Il casus belli della sommossa di Charlottesville è stata la revisione in corso della storia degli Stati Uniti – nella fattispecie, la rimozione della statua del generale sudista Robert Lee, dal parco che ne porta(va) il suo nome. 

Tuttavia il recentissimo revisionismo storico è un curioso corollario, paradossale, ma solo in apparenza, come vedremo, del movimento di cui sopra. 

Nel bailamme e nei rivolgimenti della politica, del potere occulto e della cultura americana corrente, i cosiddetti liberali portano l’etichetta di sinistra. In realtà sono davvero sinistri e micidiali, ma con la sinistra storica ormai c’entrano come i cavoli a merenda. Per semplicità li chiamerò liberaloidi, anche perché di liberale hanno poco, per non dire niente. I liberaloidi sono diventati, o meglio, sono stati pilotati a diventare servi, camerieri, lacchè e maggiordomi della più bieca reazione. 

Reazione rappresentata, a sua volta, dai cosiddetti neo-con(servatives), un eufemismo per sionisti rampanti, guerrafondai, camice nere dell’“Israele-uber-alles” e spina dorsale politica del militarismo, della finanziarizzazione dell’economia, Wall Street, decurtazione dei servizi sociali, immigrazione, lotta alla Storia e ai valori tradizionali di famiglia, nazionalità e tradizioni, abolizione dei confini, eliminazione della classe media e guerra di classe al contrario. 

Figura emblematica dei liberaloidi è Hillary Clinton, epigone e rappresentante di una corruzione individuale, familiare e politica, da far cadere persino Berlusconi al fondo alla serie B. Chi è interessato può leggere l’articolo “The Clintons’ War on Women” [in inglese].

Ma come si fa a convertire un’intera classe di attivisti e dimostranti che non molto tempo fa si agitava in movimenti come “Occupy Wall Street,” o “99%” (per sottolineare la differenza con l’1% che possiede e controlla il 50% dell’economia USA) – come si fa a convertirli in paladini del nemico di solo qualche mese prima?

Elementare, scomodando Conan Doyle. Con magistrale abilità, degna di George Bernays, capostipite moderno dell’acchiappacitrullismo organizzato (1), si cambiano le carte in tavola. Invece del calo dei salari, della disoccupazione, dei lavori da terziario malpagato, dell’ormai intrattabile problema della cosiddetta salute pubblica, della privatizzazione e industrializzazione delle prigioni, degli impossibili costi dell’educazione, dell’abisso di classe creato dalla finanziarizzazione dell’economia, etc. – invece di tutto questo, in brevissimo tempo ci si agita per i diritti degli omosessuali a sposarsi, dei gabinetti transgender, ci si lamenta della brutalità della polizia, si protesta contro le pattuglie che controllano il confine col Messico per ridurre l’immigrazione incontrollata e il traffico di droghe, ci si lamenta contro il razzismo ‘storico,’ e si abbattono le statue che commemorano eventi della guerra civile o personaggi storici del Sud degli Stati Uniti, specialmente quelli coinvolti nella guerra civile 1861-1865.

Ed è così che gruppi, manipoli e plotoni di giovani, ignorando ed ignoranti di essere manipolati, diventano vittime di oscuri schemi mentali e diaboliche macchine socio-culturali, di cui sono itineranti ed inconsapevoli ingranaggi.

Un lungo preludio alla cronaca del sabato di Charlottesville, ma chiedo al lettore ancora un pizzico di pazienza. 

Ritengo che a nessuno piaccia avere a che fare con la polizia. Negli Stati Uniti il problema è aggravato dal fatto che il poliziotto, quando ferma un cittadino, bianco, nero, rosso o giallo che sia, non sa se questo abbia un’arma con sè o no. 

E’ un lavoro improbo e certi poliziotti, fortunatamente e statisticamente molto pochi, son loro stessi dei pezzi da galera. Tuttavia, nei confronti armati con la polizia, sono più i bianchi che i neri a lasciarci la pelle. Per esempio, nel 2016, 963 persone sono state uccise in un confronto con la polizia. 

Di queste,
465 erano bianchi
233 afroamericani
160 latinos
il resto appartenente ad altre etnie o non identificati.

Ho tralasciato per brevità il numero di poliziotti uccisi mentre compiono il loro dovere.

Certo, ci sono meno neri che bianchi negli USA, e quindi la percentuale non riflette le differenze numeriche di popolazione. Ma per motivi che esulano dal tema, gli afroamericani sono anche più esposti o partecipi al tipo di criminalità che finisce in uno scontro con la polizia. Tuttavia, nell’immaginario collettivo, abilmente costruito dalla macchina mediatica liberaloide, si ha l’impressione che la polizia USA ammazzi soltanto gli afroamericani.

Impressione diventata messaggio portante del movimento “Black Lives Matter,” ben presente tra i contro-dimostranti di Charlottesville. Per carità, certo che la vita degli afroamericani conta, come quella di tutti. A renderlo sospetto, tuttavia, è l’affiliazione economica del movimento “Black Lives Matter” a fonti controllate dal super-sionista Soros, finanziatore occulto ma-non-troppo di ‘rivoluzioni colorate,’ di navi e ONGs che vanno a prendere i ‘profughi’ dall’Africa, nonché manipolatore par excellence di valute a livello planetario. 

In reazione al processo liberaloide globalista si è formato un movimento, sia pure diluito e disperso, senza rappresentanza politica, ma abbastanza sentito, di un certo gruppo di bianchi, che non sono nazisti o razzisti, ma sono definiti tali dai mass-media liberaloidi. 

Il movimento chiede un trattamento equo di tutti e si oppone al fatto che tra non molto, tramite massiccia immigrazione, i bianchi negli USA saranno una minoranza. A sua volta, quando i bianchi saranno una minoranza, il piano Kalergi non sarà più reversibile – dato e non concesso che oggi sia ancora possibile.

L’aggettivo ‘bianco’ ha connotati razzisti, ma nel caso, come ho detto, è un’associazione ingiustificata. E’ come se in Italia, gli italiani che vogliono mantenere l’Italia italiana e limitare o interrompere la transumanza dall’Africa, fossero per questo ‘fascisti’, nazisti’ o ‘razzisti’, nel senso di voler colonizzare, disprezzare o dominare presunte razze ‘inferiori.’ 

La sera prima della sommossa a Charottesville, un gruppo di studenti dell’Università della Virginia, aveva fatto una processione [in inglese] con fiaccole all’interno dell’Università. 

Alcuni studenti portavano dei cartelli con la scritta, “White Lives Matter” [“le vite dei bianchi contano”]E’ bastato questo ai mass-media TV liberaloidi, coadiuvati dal sindaco di Charlottesville, il talmudista Signer, per dichiarare gli studenti ‘suprematisti bianchi’ e ‘membri del Ku Klux Klan’ – rappresentazione balzana e fuorviante. 

E veniamo agli scontri. Ad organizzare la manifestazione era stata la “Lega del Sud.” L’attuale organizzatore era Jason Kessler, leader di un movimento dal nome di ‘Unite-the-Right’ [‘Unire la Destra’]. Premetto che non ho alcun interesse personale o affiliazione con entrambi i movimenti. A stimolare la mia curiosità è stata proprio la campagna, lanciata qualche mese fa, quasi dall’oggi al domani, per la rimozione e distruzione di tutti i ricordi, emblemi e monumenti nel Sud, connessi alla Guerra Civile e alla Confederazione.

Kessler aveva chiesto il permesso per condurre la manifestazione al sindaco Signer e alle autorità competenti di Charlottesville, che lo negarono. Dopodiché, Kessler è andato al tribunale della contea, che ha annullato la decisione del comune di Charlottesville e concesso il permesso per la manifestazione.

Nei giorni precedenti, tramite Internet, i manifestanti avevano invitato più gente possibile a partecipare, persino famiglie e bambini, promettendo e assicurando che la manifestazione programmata sarebbe stata assolutamente pacifica – con l’unico scopo di non distruggere e non riscrivere ex novo la Storia degli USA.

Nel giorno prescritto, tanto per cominciare, i contro-dimostranti non avevano il permesso, il che dava teoricamente il diritto (e il dovere) alla polizia di disperderli, specialmente se violenti. Il luogo d’incontro dei manifestanti era un piazzale nel “Lee Park”, dove sorge la statua del Generale Lee, parco recentemente rinominato “Emancipation Park”. Erano previsti discorsi di vari rappresentanti, ma prima ancora dell’inizio della dimostrazione, la polizia decise che i dimostranti non potevano usare gli altoparlanti che avevano portato in loco. Quindi nessun discorso, il che equivale ad evirare la dimostrazione di buona parte del suo contenuto. 

Inoltre, per motivi ancora ignoti, la polizia aveva disposto le transenne in modo che i manifestanti autorizzati dovevano passare attraverso una specie di forca caudina, esposti all’attacco dei contro-dimostranti, arrivati ancora prima dei manifestanti “sudisti.” Chiaramente programmati alla violenza, i contro-dimostranti, armati di mazze da baseball, lattine di birra riempite con cemento, spray irritanti, sacchi d’urina e feci, si son messi ad attaccare i manifestanti. In tutto, i manifestanti autorizzati erano circa cinquemila. 

A quel punto, la polizia dichiarò la dimostrazione (quella autorizzata), immediatamente terminata. I manifestanti, non sapendo lì per lì cosa fare, si sono trattenuti un po’ nel parco, proteggendosi come potevano dai lanci e dagli attacchi dell’opposizione. Per fedeltà di cronaca, come precauzione contro possibili attacchi, gli organizzatori della manifestazione avevano portato con se’ un certo numero di scudi di plastica, amatoriali ma simili a quelli usati dalla polizia per protezione.

Finita o cancellata la dimostrazione, i manifestanti uscirono, di nuovo attraverso la ‘forca caudina’, e a sentir loro, con notevole disinteresse della polizia nel contenere i contro-dimostranti e le loro armi da battaglia. 

A detta di uno dei miei contatti, qualche poliziotto ammise, non ufficialmente, che avevano ordini precisi di intervenire il meno possibile.

Naturalmente il sentito dire da un poliziotto non costituisce prova giudiziale. Ma nel seguente video, di qualche giorno dopo, si vede un tipico ragazzone americano, con la bandiera della Confederazione, che saluta militarmente la statua del Gen. Lee, mentre e’ circondato e insultato da vari manifestanti liberaloidi. (“Razzista va a casa – Racist go home. Buttala giù (la statua) – Tear it down, codardo, etc.)

Mentre la polizia lo sta scortando via, il ragazzone dice, “Voglio onorare i miei antenati – e far sapere agli altri che NON abbiamo combattuto per mantenere la schiavitù e l’oppressione”.

La parte più interessante del video è alla fine, quando un poliziotto dice a una manifestante che continua ad insultare il ragazzone fino alle porte della macchina, “Si vede che vuoi far ripetere quello che e’ successo sabato scorso. Dovresti vergognarti.” Il che dà una certa plausibilità alla dichiarazione del poliziotto del sabato precedente (di aver ricevuto ordini dall’alto di non intervenire). 

E veniamo all’incidente della donna incastrata tra le macchine. Qui non posso verificare del tutto – penso che anche in Italia si sarà visto il video dell’auto che ne tampona un’altra. La sfortunata trentaduenne si è trovata schiacciata tra la macchina tamponata e quella ferma di fronte.

A quanto pare, il ventenne guidatore della macchina, cercava di scappare dai contro-dimostranti, che l’avevano identificato come ‘nemico’. La sua velocità era di circa 20 km all’ora. Infatti l’urto non e’ stato tale da rendere l’auto inutilizzabile, permettendogli di fare marcia indietro e scappare, almeno per un pò. 

Se avesse voluto compiere un eccidio avrebbe fatto come gli islamici sulla Rambla di Barcellona, o sulla Promenade des Anglais a Nizza.

Ripeto, la documentazione e le circostanze precise sono ancora da verificare, ma la descrizione della dinamica dell’episodio non è divelta dalla logica o dalla realtà. 

E veniamo al dopo-manifestazione e alla questione della libertà di espressione. I punti importanti credo siano:
  1. Tutte le maggiori reti, radio e TV, si sono scatenate in furiose accuse di razzismo, fascismo, nazismo e violenza, attribuite ai “suprematisti bianchi” della manifestazione, che “ha causato tre morti.” Due dei tre erano poliziotti il cui elicottero è precipitato a 10 km da Charlottesville, ma per le reti di regime non conta. E hanno anche rimproverato a Trump l’aver condannato la “violenza da entrambe le parti.” Dichiarazione che, essendo la Casa Bianca in permanente stato d’assedio dai liberaloidi, dimostra un certo coraggio.
  2. A nessuno, dico nessuno dei rappresentanti dei manifestanti, è stato permesso di intervenire per offrire, perlomeno, un altro punto di vista. La situazione, mutatis mutandis, ricorda la febbre mediatica prima dell’aggressione in Iraq quando, per ore e ore, tutti i canali ripetevano come pappagalli che “Saddam ha armi di distruzione di massa.” Con carrellate su Colin Powell, allora un mammasantissima del Pentagono, mostrante all’ONU una fiala piena di un liquido bianco, spacciato per arma chimica irachena. Che poi lui stesso abbia ammesso che si trattava di latte e che “quell’episodio mi è rimasto sulla coscienza (!)” – e’ fatto perduto nella nebbia della storia da dimenticare.
  3. Un recente fenomeno, prevedibile ma relativamente inaspettato, è che i mass-media si sono enormemente screditati, a seguito della recente campagna presidenziale. Dove tutti davano per scontata la vittoria della megera Clintonesca. (99% di probabilità, proclamava tra gli altri la famosissima, intoccabile e inoppugnabile Università di Princeton).
  4. Sbalorditi dall’insuccesso, i media di regime non han trovato di meglio che dare la colpa alla Russia, la quale avrebbe “interferito” con le elezioni. E’ una palla pazzesca, senza ombra di prove, ma basta dire che Clinton ha perso per colpa della Russia, per applicare “sanzioni” che, come sappiamo, danneggiano gli esportatori europei. Alle interferenze della Russia non crede più nessuno, neanche quelli che lo dicono, ma la tiritera e le “sanzioni” continuano.
  5. Di conseguenza, e anche se ancora statisticamente modesta, è aumentata la percentuale di gente che non crede più (e quindi non guarda più) le TV liberaloidi e ottiene notizie da altre fonti in rete, come il sito del Saker. Inoltre, video e foto prese dai proverbiali uomini qualunque, spesso sputtanano platealmente certe versioni ufficiali.
Per correre ai ripari, i mastodonti che controllano l’Internet, stanno cercando in tutti i modi di togliere la parola a ogni opposizione in rete, mediante censura, peraltro proibita dal First Amendment di cui sopra. 

Per aggirare l’emendamento, hanno recentemente escogitato la trovata del “hate speech” (più o meno “predica dell’odio”). Se un sito non ti piace, basta dire che trasmette ‘hate speech’ e l’ente che ri-distribuisce il servizio è obbligato a terminarlo. (2)

Tuttavia, non esiste criterio per giudicare quando una trasmissione è una predica e se predica odio. In breve, addio libertà di espressione.

Già diversi siti non graditi ai liberaloidi, sono stati offuscati. E siccome i siti di opposizione in rete sono in gran parte finanziati dai visitatori, le banche hanno cominciato a togliere l’accesso al pagamento dei contributi con carta di credito a siti non graditi.

Per concludere, è in corso una rivoluzione dall’alto, di conseguenze nefaste, se portate alla fine voluta. E pur scongiurando il peggio, Dante direbbe,
… tosto si vedrà de la ricolta
de la mala coltura… (Par. XII, v.118)
Anche perché i liberaloidi vedono in Trump il nemico numero uno del “piano Kalergi” applicato all’America, e dalla loro bocca scende il veleno del rancore e la bava dell’odio.

E’ ancora incerto se Trump, costretto a decidere tra “O Kalergi o la vita” (anche se solo vita politica), sceglierà l’uno o l’altra. Al momento non lo sa nessuno.

(1) Su George Bernays ed altri aspetti della storia degli Stati Uniti, è in rete su  Saker Italia il libro “USA e Getta – Controstoria d’America.” 

(2) A proposito di odio, recentemente, una celebrità di nome Kathy Griffin si è fatta pubblicità [in inglese], stile marciume di Hollywood, popolarizzando in rete una sua foto con la decapitata testa di Trump. Odio? Neanche a pensarci, rispondono i media liberaloidi.


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Articolo a cura di Jimmie Moglia per SakerItalia.it
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