La formula "guerre umanitarie" risponde a un´esigenza antica quanto la guerra stessa: quella di giustificarla. Se i promotori della guerra riescono a convincerci che essa è “giusta”, accettabili diventano la perdita di vite umane, le sofferenze dei sopravvissuti e le devastazioni materiali.
A ben vedere, l´interventismo militare umanitario è sempre esistito. Anche le conquiste coloniali furono presentate come guerre umanitarie. Erano l’ipocrito “fardello dell'uomo bianco”, che le scatenava allo scopo di di diffondere la civiltà occidentale contro la barbarie dei popoli assoggettati. Oggi il militarismo imperialista accampa i “diritti umani”, sbandierati come l’aspetto positivo della globalizzazione. All'alba della politica di industrializzazione, l’Inghilterra s’era liberata da questa ingombrante “zavorra”. Ma, dopo il processo di Norimberga contro i nazisti i diritti umani furono recuperati come ideologia occidentale di controllo.
Purtroppo, la filosofia dei diritti umani è a “geometria variabile”. Sono i professori universitari e giornalisti delle grandi oligarchie economiche a decidere cosa è umano e cosa non lo è. La sinistra (se questa parola ha ancora un senso), orfana del marxismo, ha abbracciato con entusiasmo la teoria dei diritti umani a geometria variabile. Questa teoria impone sempre un solo e fuorviante schema: il dittatore (Milosevic, Saddam, Gheddafi, Assad) contro l’intero suo popolo. Questa rigida impostazione impedisce una corretta analisi delle contraddizioni storiche e le ragioni sociali, economiche e religiose della società minacciata dalla guerra “umanitaria”.
Alle opinioni pubbliche dei paesi “democratici” viene artificiosamente offerto e ossessivamente suggerito questo punto di vista, giusto in apparenza e sbagliato in realtà. Riproporlo quasi quotidianamente sui canali d’informazione è spia, preludio e premessa, quasi sempre, di un sanguinoso intervento militare. L’opinione pubblica viene artificialmente eccitata e sobillata contro il paese “canaglia”, e distratta dal cogliere le ragioni vere e ultime delle guerre, che non sono mai, ma proprio mai, i diritti umani
Ma poiché le persone fanno sempre più fatica a sopportare l´idea di una guerra, per rendere questa accettabile, l’apparato politico-militare nord-atlantico la riveste d´umanitarismo. In un' epoca orwelliana la guerra è chiamata pace, i soldati occidentali sono definiti pacificatori, gli insorti del paese occupato sono ovviamente terroristi, e gli interessi geo-strategici statunitensi diventano diritti umani. Sempre più spesso la «guerra umanitaria» è uno stridore semantico, un ossimoro paradossale, ma soprattutto un falso ideologico.
I governi ai loro cittadini, e i partiti ai loro elettori, fanno credere che è l’opinione pubblica, ferita dallo spettacolo della sofferenza altrui in diretta tv, a chiedere pressante la guerra. L’anno scorso molti, ingannati da ben miscelati servizi televisivi, videro all´inizio con favore l´intervento militare per porre fine alla presunta guerra civile in Libia. Davanti al televisivo “martirio” della popolazione locale invocarono a gran voce di «fare qualcosa».
Una discussione analoga è in corso oggi riguardo alla Siria, ma con molto maggiore cautela; il che evoca subito la più comune critica alle «guerre umanitarie», e cioè di essere una foglia di fico per coprire gli interessi degli Stati. In tutte le guerre civili, la vittoria trasforma le ex-vittime in carnefici. Purtroppo l´elenco delle guerre “umanitarie” si allunga anno dopo anno. Il diritto internazionale ha in parte tentato di adeguarsi, in parte è causa di questo proliferare.
Luciano Del Vecchio
http://www.appelloalpopolo.it/?p=6920
Nessun commento:
Posta un commento