C’è da essere indignati, certamente e anzitutto, per il contenuto
dell’annunziato decreto che precarizza definitivamente il mercato del lavoro. La riforma del contratto di lavoro
a termine e di apprendistato che Matteo Renzi ha annunciato, come unica
misura concreta e immediata in mezzo allo scoppiettio dei suoi annunci
di riforma, preclude per il futuro l’accesso ad un lavoro
stabile a tutti i lavoratori giovani e adulti. Ma indignazione anche
per il modo assolutamente passivo con cui le forze politiche “di
sinistra” e le organizzazioni sindacali hanno accolto la notizia, anche
perché probabilmente cloroformizzate dall’annunzio di una non
disprezzabile “mancia” elargita ai lavoratori sotto forma di sgravio
Irpef. Salvo gli opportuni approfondimenti, la sostanza è comunque
chiarissima e inequivocabile. Si vuole introdurre la possibilità di
stipula di un contratto di lavoro a termine senza indicazione di alcuna causale con durata lunghissima, fino a tre anni.
Si dirà, ipocritamente, che questo vale solo per il “primo contratto” a termine tra lo stesso datore di lavoro e il lavoratore, ma l’ipocrisia è evidente, perché a ben guardare, il primo contratto a termine acausale sarà anche l’ultimo, in quanto dopo i 36 mesi di lavoro scatterebbe la regola legale, già esistente, secondo la quale continuando la prestazione di lavoro
il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
Quale è, allora, la
formula semplicissima che il decreto offre e suggerisce al datore?
Tenere il lavoratore con contratto acausale e alla scadenza sostituirlo.
Dal punto di vista del lavoratore significa cercare ogni tre anni un
diverso datore di lavoro,
e ciò all’infinito, concedendo a Dio la dignità, e rassegnandosi ad una
totale sottomissione a ricatti di ogni tipo, sperando di essere
confermato a tempo indeterminato una volta o l’altra. È evidente che
così, lo stesso datore di lavoro nel suo complesso diventerà una sorta di favola non traducibile in realtà.
Rispondo subito ad una prevedibile obiezione: si dirà che però,
secondo la bozza del decreto, i lavoratori a contratto a termine
acausale non potranno superare il 20% dell’occupazione aziendale: si
tratta comunque di una percentuale assai alta (attualmente i contratti
prevedono il 10–15%), ed è evidente che quella “fascia” del 20%
funzionerà come una sorta di anello esterno all’azienda, nella quale
finiranno imprigionati i nuovi assunti e dal quale usciranno solo per
entrare in analogo anello di altra azienda. Per i giovani e per i
disoccupati, dunque, vi è un solo futuro:
restare per sempre precari triennali, ora presso una azienda, ora
presso un’altra, ma la stessa sorte attende i lavoratori già stabili i
quali magari si sentiranno grati a Renzi per quella mancia economica nel
caso dovessero per qualsiasi ragione perdere quel posto di lavoro.
Va poi aggiunto che il rispetto effettivo della percentuale massima
di occupati a termine su un organico è di difficile monitoraggio: come
si farà a sapere se l’azienda alfa di 100 dipendenti o con 100
dipendenti ha già colmato la suo quota di 20 lavoratori a termine? I
dati già ci sarebbero presso i Centri per l’impiego, ma sono riservati.
Occorrerebbe istituire, presso i Centri per l’impiego, una anagrafe
pubblica dei rapporti di lavoro
per ottenere l’indispensabile trasparenza: sarebbe una dimostrazione
minima di onestà da parte del governo e dell’azienda, ma dobbiamo
confessare tutto il nostro scetticismo. Resta da considerare la
conformità di questo decreto alla normativa europea in tema di contratto
a termine. Il pericolo di abuso che la normativa Ue connette alla
ripetizione di brevi contratti a termine, è tutto condensato nella
previsione di un lungo contratto a termine acausale, dopo il quale, se
il datore consentisse di continuare la prestazione vi sarebbe la
trasformazione a tempo indeterminato, ma poiché non la consentirà, vi
sarà una condizione di disoccupazione e sottoccupazione, perché il prossimo datore di lavoro si comporterà nello stesso modo.
Il principio europeo che la bozza del decreto con vistosa ipocrisia ripete, per il quale la forma normale del contratto di lavoro
è quella a tempo indeterminato, viene così non solo aggirato e violato,
ma ridotto ad una burletta e questo potrà essere fatto valere di fronte
alla Corte di Giustizia Europea. Per fortuna, nel nostro paese fra il
tanto diffuso conformismo anche tra le forze politiche e sindacali,
esiste la coscienza critica dei singoli operatori indipendenti. Resta da
esaminare lo scempio del contratto di apprendistato che viene
banalizzato, eliminando qualsiasi severo controllo sulla effettività
della formazione professionale ed eliminando altresì quella elementare
regola antifrode per la quale non potevano essere conclusi nuovi
contratti di apprendistato dal datore di lavoro
che non avesse confermato a tempo indeterminato i precedenti
apprendisti. È evidente che una regola di questo genere andrebbe
introdotta anche per la possibile stipula di contratti a termine ed,
invece, la volontà di eliminarla ove già esiste, e cioè
nell’apprendistato, dimostra quali sono le vere intenzioni del governo
di Matteo Renzi.
(Piergiovanni Alleva, “Jobs Act, precari per decreto e per sempre”, da “Il Manifesto” del 14 marzo 2014, ripreso da “Micromega”).
fonte: http://www.libreidee.org/2014/04/jobs-act-il-ricatto-precari-per-decreto-e-per-sempre/
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