Un gruppo di ricerca guidato da Davide ELIA dello
IAPS-INAF ha analizzato le proprietà frattali delle nubi interstellari,
caratteristiche geometriche degli oggetti che hanno al loro interno
strutture identiche. Risultato: una sorprendente coerenza con i dati
raccolti dal telescopio spaziale Herschel. Lo studio su Astrophysical
Journal.
Broccoli, bacini fluviali e nubi interstellari. Sembrano parole in
libertà, eppure questi tre oggetti così diversi hanno in comune qualcosa
di molto profondo.
Partiamo dal più familiare: il broccolo romanesco, con la sua forma a
piramide. Se lo guardiamo da vicino, ci accorgiamo che ogni punta è a
sua volta divisa in altre strutture simili, disposte a spirale, che si
ripetono su tutta la superficie della pianta.
Abbiamo appena osservato un frattale: oggetto geometrico che si
riproduce nella sua forma allo stesso modo su scale diverse, proseguendo
potenzialmente all’infinito.
Questa nozione matematica vive costantemente nel mondo che abitiamo, e
ne troviamo esempi tra terra e cielo: è il caso dei bacini fluviali,
che hanno proprietà tipicamente frattali, e ancora degli ammassi di gas e
polveri che si trovano nelle galassie. Sono le nubi interstellari,
affascinanti esempi di come la geometria trova espressione anche nello
spazio.
Ma fino a che punto queste eleganti strutture permeano l’Universo?
Una prima risposta arriva dall’Istituto di Astrofisica e Planetologia
Spaziali dell’INAF, dove Davide Elia ha coordinato uno studio appena
pubblicato su Astrophysical Journal.
I ricercatori hanno analizzato le proprietà frattali delle nubi
interstellari, investigandone i legami con la formazione delle stelle
all’interno delle nubi stesse. Ma prima di addentrarci nello spazio e
nelle sue regolarità, facciamo un passo indietro.
La
storia dei frattali inizia nel XIX secolo, con il matematico e fisico
tedesco Bernhard Riemann che congettura l’esistenza di una funzione
molto particolare: è continua in ogni punto, ma non derivabile in alcun
punto.
“La prima caratteristica significa che si può tracciare il grafico
della funzione senza mai staccare la penna dal foglio” spiega Davide
Elia a Media INAF.
“Ma la seconda implica che in ogni punto la funzione presenta un
netto cambio di direzione, un punto angoloso o una cuspide infinitesimi.
Il che rende l’aspetto della curva inevitabilmente spezzettato a
qualunque scala lo si osservi”.
Spezzettato, “rotto”: in latino, fractus.
Ecco il primo embrione di
frattale. Nel corso del secolo successivo, altri matematici forniscono
nuovi esempi di questo concetto. Fino al 1975, quando Benoit Mandelbrot
conia la prima definizione di frattale. Descrivendolo come una struttura
autosimile (ossia tale da apparire uguale a se stessa a qualunque
scala) e infinitamente complessa (con l’autosimilarità che si può
riscontrare all’infinito).
“La geometria euclidea spesso non può bastare per descrivere in
maniera soddisfacente le proprietà geometriche di oggetti che presentano
tale grado di complessità” Spiega Davide Elia. “Questo avviene nei
frattali puramente matematici, e in quelli presenti in natura”.
Come le nuvole: sia quelle che osserviamo nell’atmosfera terrestre,
sia quelle interstellari. Entrambe hanno una forte connotazione di
autosimilarità, caratteristica generalmente attribuita alla turbolenza
che in genere ne modella la struttura. La loro complessità invece non è
infinita, trattandosi comunque di oggetti naturali; ma nel caso delle
nubi interstellari si tratta di scale spaziali decisamente estese, tanto
da poter parlare con buona approssimazione di strutture infinitamente
complesse.
Il gruppo di lavoro guidato da Davide Elia ha messo in relazione
queste proprietà frattali con la formazione stellare nelle nubi. “Le
nubi interstellari sono il luogo della nostra galassia dove ci sono le
condizioni fisiche perché avvenga la formazione delle stelle” spiega
l’astrofisico. “Per questo è interessante confrontare le caratteristiche
frattali delle nubi con i dati che abbiamo sulla formazione stellare in
queste regioni”.
E i dati in questione non sono certo dati qualunque: Elia e colleghi
hanno utilizzato le mappe ottenute nel lontano infrarosso (a lunghezze
d’onda tra 160 e 500 micron) dal satellite Herschel dell’ESA,
nell’ambito del programma osservativo Hi-GAL, a guida italiana.
“A queste lunghezze d’onda si può rivelare la massima emissione da
parte delle polveri fredde, uno dei costituenti più importanti delle
nubi interstellari” continua il ricercatore. “Sono nubi che hanno
temperature di 10-20 Kelvin o poco più (quindi poche decine di gradi
sopra lo zero assoluto). Con i dati ottenuti da Herschel, è possibile
vedere in tutto il suo splendore il dispiegamento della materia fredda
interstellare, e indagare la morfologia delle nubi”.
Un’indagine portata avanti passo passo per una relativamente piccola
porzione di cielo della survey Hi-GAL, ma che ha già dato risultati
sorprendenti: i dati di Herschel sono in buon accordo con le previsioni
fatte dai modelli teorici che che mirano a descrivere le proprietà
frattali delle nubi. E non solo. Viceversa, le stesse proprietà frattali
derivate dalle mappe di Herschel possono essere utilizzate per
stabilire vincolari fisici più realistici ai modelli matematici.
“Abbiamo avuto conferma di quello che prevedono i modelli: le regioni
con una dimensione frattale maggiore presentano un’efficienza di
formazione stellare inferiore” spiega Elia. “Questo avviene perché
probabilmente la dimensione frattale aumenta in presenza di un regime di
maggior turbolenza, che a grande scala in qualche modo contrasta il
collasso gravitazionale della materia in quella regione. E con esso la
formazione di stelle”.
Più frattali, meno stelle, in sintesi. Una conclusione che spalanca
un mondo sulle possibili applicazioni della geometria frattale per
comprendere le proprietà delle nubi stellari. I frattali quindi non sono
solo belli: sono anche utili.
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