Umore nero alla vigilia delle europee: il quantitative easing della
Fed ha dato respiro all’Eurozona, i cui debiti però sono superiori alla
velocità di crescita. Così l’austerity ha messo in croce l’economia
e la Bce non ha fatto nulla per compensare le perdite, sostiene il
“Guardian”. «La disoccupazione è alta e gli elettori sono malati di
austerità». Secondo il giornale inglese, sarebbe un errore aspettari
miracoli dal voto per Strasburgo: «I partiti mainstream con il loro
pensiero dominante saranno ancora in carica e la vita andrà avanti come
prima». Come risultato, «l’Europa
si condannerà a un periodo anche più lungo di stagnazione economica,
disoccupazione di massa e austerità», al punto che «fiorirà
l’estremismo». Un’alternativa a questo scenario deprimente? «Ammettere
che adottare l’euro come un modo per promuovere la causa di un’unione
sempre più stretta è stato un errore di proporzioni storiche», scrive
Larry Elliott.
L’euro, scrive Elliott in un servizio ripreso da “Voci dall’Estero”, potrebbe essere radicalmente riformato secondo le linee proposte da Charles Grant, direttore
del “Centre for European Reform”: questo permetterebbe di ristrutturare
i debiti sovrani, ridurre velocemente l’austerità e riconvertire l’economia
tedesca per renderla meno concentrata sull’export. L’alternativa
radicale è invece quella di «rompere il vincolo della moneta unica,
restituire il potere alle singole nazioni o gruppi di Stati con economie
convergenti, e ricominciare». Questo, secondo il “Guardian”, «non
accadrà, almeno non ancora», visto che l’euro è il simbolo
dell’eurocrazia a guida tedesca. Secondo l’economista Roger Bootle,
«l’euro è stato un disastro economico, imposto all’Europa per ragioni politiche». Anziché unire l’Europa,
la sta frantumando in modo pericoloso. Già negli anni ‘90 si sapeva che
l’euro «avrebbe potuto rivelarsi una macchina che distrugge il lavoro»,
dato che tutti quei paesi «non erano pronti per un’unica politica monetaria».
Dice Elliott: «Sembrava lampante che, in assenza di mobilità del
lavoro e redistribuzioni su larga scala, i paesi, privati del potere di
condurre la propria politica
monetaria, avrebbero dovuto ricorrere all’austerità se fossero
diventati non più competitivi». Tutto questo, ovviamente, è rimasto
inascoltato. «Si prevedeva molto fiduciosamente che l’euro avrebbe reso
l’Europa
più prospera e così facendo avrebbe creato le condizioni per un’unione
sempre più stretta. La realtà è stata una crescita lenta, alti tassi di
disoccupazione, riforme strutturali pasticciate, deriva e crescente
malcontento. I problemi sono sorti non solo nella periferia, ma anche al
centro, dove dalla creazione della moneta unica la situazione è
decisamente peggiorata». Quel che è successo è che l’euro ha significato
«un tasso di interesse unico e un tasso di cambio unico: il tasso di
interesse era troppo basso per alcuni paesi come l’Irlanda e la Spagna,
che erano in rapida crescita, ed era troppo alto per paesi come la
Germania e la Francia, che crescevano meno rapidamente».
Prima della creazione dell’euro, i paesi della periferia economica
avrebbero lasciato deprezzare le loro monete per restare competitivi
rispetto alla Germania. «Per un decennio, i lavoratori tedeschi hanno
avuto aumenti salariali al di sotto del livello di inflazione per
vendere le loro merci a prezzi bassi nei mercati europei». Un grande
successo, ma fino a un certo punto, aggiunge Elliott: «Il surplus
commerciale della Germania è aumentato, ma il rovescio della medaglia è
che i deficit commerciali in paesi come la Spagna, la Grecia e l’Italia
sono peggiorati». Prima della crisi, il sistema reggeva perché la Germania esportava capitali verso i paesi della periferia. Con la crisi, Berlino ha cominciato a raccontare che, se i paesi del Sud Europa
erano in difficoltà, era perché avevano “vissuto oltre le proprie
possibilità”. «Un po’ eccessivo, dato che la Germania era stata complice
nel permettere loro di farlo», pur di vendere il made in Germany.
La Merkel ha detto che avrebbe aiutato i paesi in difficoltà, ma solo
alle sue condizioni: tutti i partner europei dovrebbero «replicare la
Germania, comprimendo la domanda interna e promuovendo le esportazioni».
Questo è chiaramente un’impossibilità logica, obietta Elliott, perché
il surplus di un paese è il deficit di un altro paese. Così, non potendo
più restare competitivi attraverso la svalutazione, gli altri paesi
«hanno dovuto farlo tramite l’austerità, tagliando i salari e la spesa
pubblica in modo aggressivo». Con una sola eccezione: il mondo
finanziario. «Su insistenza della Germania, per le banche
non c’è stata nessuna austerità». Conclude Elliott: «I leader europei
considerano l’euro “troppo grande per fallire”? Si sbagliano: è già
fallito». Semplice: «E’ fallito perché non riesce a dare la prosperità
economica promessa e non riesce a portare l’Europa
a unirsi politicamente. L’euro è come il gold standard, ma peggio, è
per questo che sarebbe un errore di proporzioni storiche ignorare le
elezioni di questa settimana. Sappiamo come finisce questo film».
L’ultima grande crisi europea – non c’è bisogno di dirlo – portò al potere un certo caporale Hitler.
fonte: http://www.libreidee.org/2014/05/il-guardian-leuro-e-fallito-leuropa-lo-ammetta-o-e-la-fine/
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