venerdì 23 maggio 2014

What is Fiscal Compact?

L’economia è davvero un argomento distante e complicato, per il quale dobbiamo affidarci al parere degli esperti del settore, o siamo vittima di un sistema che ci fa filtrare solo notizie confezionate per dirigere altrove il nostro interesse? Con questo articolo è mia intenzione illustrare in modo chiaro e semplice il funzionamento del Fiscal Compact, la norma europea che entrerà in vigore l’anno prossimo, e che condizionerà le nostre vite più di qualsiasi altra norma finora applicata nel nostro paese.

Per far questo è necessario introdurre due argomenti distinti: primo, come sono strutturati i conti dello stato, in semplici termini di entrate, uscite e debito; e secondo, elencare alcuni dei parametri richiesti per entrare e permanere nell’Unione Europea e nell’Euro. Questi due argomenti convergeranno poi nella trattazione del Fiscal Compact vero e proprio, e di cosa comporta per l’Italia l’adozione.

In conclusione, verranno mostrati anche i vari strati di menzogne e di mistificazioni che i media tradizionali hanno finora riservato a questo scomodo e fondamentale argomento.

Il bilancio dello stato

Innanzi tutto valutiamo la situazione economica attuale dello stato italiano. Il funzionamento del sistema-Italia non può essere descritto interamente usando quali esempi le logiche delle imprese o i normali funzionamenti di una famiglia, ...
... ma dal punto di vista economico ci sono alcune affinità alle quali possiamo appoggiarci ad esempi semplici bensì significativi:

Ogni famiglia ha delle entrate, che sono dovute tipicamente dagli stipendi dei suoi componenti che lavorano, e in qualche caso anche una o più rendite di immobili che si possiedono. Allo stesso modo ci sono delle uscite, delle spese: mangiare, vestirsi, le utenze, assicurazioni, affitto. Anche i soldi che vengono messi da parte di mese in mese possono essere considerati spese, fino a dire che “tanto entra e tanto esce”, cioè che il bilancio famigliare fa somma zero. Poi c’è il rapporto con le banche: una famiglia potrebbe decidere di fare un investimento “neutro”, cioè di fare un mutuo per comprarsi la casa in cui vive, e pagare la rata del mutuo invece che pagare l’affitto. Una impresa tipicamente fa investimenti “in positivo”, cioè chiede un prestito oggi, e ne paga le rate di volta in volta, per acquistare un macchinario che in futuro gli permetterà di avere maggiori entrate.

Ma talvolta possono esserci anche delle spese impreviste, e allora in questo caso la famiglia/impresa per farne fronte o è stata abbastanza saggia da crearsi un fondo di risparmio, ed attinge da esso, oppure è costretta a rivolgersi a chi i soldi li ha, per avere un prestito: le banche.

Detto questo, mettiamoci qualche numero: se ogni mese io prendo 745 euro di stipendio e ne spendo 710 per tutte le mie necessità, ho un bilancio positivo, e ho pure un margine di 35 euro ancora da impiegare. Ma se ho un debito pregresso che mi costringe a pagare un interesse di 82 euro ogni mese, allora sono nei guai: tipicamente non posso alzare le entrate imponendo al mio datore di lavoro un arbitrario aumento di stipendio, e se non posso ridurre le spese perché non sono in condizione di fare rinunce, allora per pagare l’interesse del debito sono costretto a fare nuovidebiti. Ed è chiaro che se faccio questa scelta e nel sistema non cambia nulla, al mese dopo avrò ancora più interessi da pagare (tutti quelli precedenti più quelli che ho appena fatto) e sarò sempre più strozzato dall’interesse sul debito: sono proprio quelle situazioni in cui non ci si deve mai trovare.

Il problema è che se tramutiamo questo esempio da mesi in anni, e se consideriamo le cifre da euro a miliardi di euro... questi sono proprio i conti dell’Italia, presi pari pari dal Bilancio di Stato del 2013! [1]

Vista la nostra enorme pressione fiscale, che è tra le più alte al mondo, lo Stato italiano incassa più di quanto spende Anche con tutti gli sprechi, la malagestione, le clientele assortite e l’evasione, abbiamo ben 745 miliardi di euro di entrate (tasse dirette, indirette e accise) a fronte di 710 miliardi di euro di spese (stipendi di politici, magistrati, polizia, pompieri, medici, altri statali, pensioni, spese varie di manutenzione statale come strade, scuole, ospedali, la difesa, i sussidi, insomma tutto quanto faccia lo stato).

I 35 miliardi di margine positivo tra le entrate e uscite vengono chiamati in gergo tecnico Avanzo Primario, e sono calcolati al netto dell’interesse sul Debito Pubblico. Il Debito Pubblico è l’ammontare dei soldi che la nostra nazione ha preso in prestito, ad interesse, da banche private e da altri investitori privati, ed è ben oltre i 2000 miliardi di euro. Questo colossale ammanco ci rende uno dei paesi più indebitati al mondo e ci richiede il pagamento di un interesse di 82 miliardi di euro l’anno, cioè circa un ottavo delle spese totali dello Stato.

Ci si può chiedere chi ha creato questo enorme debito, come, e perché: quali sono state mai le emergenze che ci hanno coinvolto come nazione, anno per anno, per costringerci a ricorrere al finanziamento a debito. Oppure, in mancanza di queste motivazioni e di queste emergenze, potremmo ragionare su quanti regali alle banche i nostri politici hanno fatto in cambio dei loro privilegi. Se ne potrebbe parlare tanto, ciascuno con la propria opinione, ma il dato puro è incontestabile: qualsiasi sia stata l’origine del problema, oggi ricorrere al finanziamento a debito è la norma, anzi il sistema è così drogato di denaro che non possiamo più farne a meno pur di tenere in piedi i nostri conti e onorare nel contempo gli impegni presi precedentemente. Il Debito Pubblico cresce sempre, e con esso l’interesse da pagare.


Se poi vi interessa analizzare nel dettaglio questi dati in forma numerica, qui [2] trovate una tabella riassuntiva che mostra come il Debito Pubblico sia passato da 14 miliardi del 1970 ai 2120 miliardi odierni, con a fianco il nome del governo che ha licenziato il bilancio statale di anno in anno.

Ma per tornare alla nostra trattazione, siccome tra l’80 e il 90% del Debito Pubblico è detenuto dalle banche private, e siccome il pagamento dell’interesse sul Debito è fatto con le entrate di stato che sono sostanzialmente tasse, possiamo concludere che “il debito è pubblico e l’interesse è privato” (dei soliti noti).

Visto il fatto, e visto l’ammontare, questo è il motivo per cui di Debito Pubblico (e del relativo interesse) si parla sempre molto poco.

Anche quando se ne deve proprio parlare gli economisti invece che presentare il Debito Pubblico come dato puro in euro, lo presentano come Rapporto Debito/PIL, cioè frazione tra il Debito Pubblico e la capacità produttiva di beni e servizi annuale della nazione (il prodotto interno lordo), così appare in forma di percentuale piuttosto che con il dato puro in euro. Matematicamente questa cosa avrebbe anche senso, perchè anche un debito di importo molto sostenuto potrebbe essere sopportabile dalla nazione se la sua capacità produttiva fosse altrettanto alta; in tal caso ci sarebbero altri problemi, ma tutti di entità inferiore a quelli attuali. In ogni caso, studiando i dati certi del Ministero del Tesoro sul Rapporto Debito/PIL [3] appare chiaro che la trappola del debito è già scattata, e la produttività del paese non è riuscita a crescere quanto i nostri politici siano riusciti ad indebitarci. O detta in altro modo, che i soldi ricevuti con l’indebitamento dello stato non sono stati spesi in azioni produttive, ma sottratti o sprecati. Non siamo nel caso positivo in cui l’impresa chiede un prestito per fare un investimento produttivo. Non siamo nemmeno nel caso neutro in cui un capofamiglia fa un mutuo per la casa in cui la famiglia vive, al posto di pagare l’affitto... siamo piuttosto nel caso in cui il capofamiglia è un tossicodipendente che non riesce a pagare l’interesse del debito che ha fatto tempo addietro con uno strozzino, e quindi pensa bene di rivolgersi ad un altro strozzino, chidere dei soldi, e con questi pagare l’interesse (solo l’interesse) del primo strozzino!

Certo, anche qui l’analisi è aperta a diverse interpretazioni, e la mia vale come quella di chiunque altro, ma i dati no, quelli sono certi: il Rapporto Debito/Pil è alto, altissimo, e visto il fatto che il debito cresce sempre (e parecchio) ed il pil della nazione specialmente dal 2008 arranca, il Rapporto Debito/Pil non accenna affatto a diminuire:


 L’unione europea
L’Unione Europea è stata costituita principalmente come entità economica, per fare una moneta unica con un importante idea di fondo: ciascuno stato vende parte del proprio Debito Pubblico agli altri stati membri, ed acquista da loro un pari ammontare di debito pubblico estero. Questo significherà che il destino di ogni stato membro è indissolubilmente legato a quello di tutti gli altri, e che quindi sarà interesse dell’intero insieme di nazioni far fronte comune alle problematiche delle singole nazioni. Questa era l’idea, la pubblicità con cui l’Unione Europea ci è “stata venduta”.

Nel 1992 è stato quindi istituito il trattato di Maastricht, che descrive alcuni parametri che i paesi che vogliono far parte dell’Unione Europea devono rispettare, perchè ovviamente questo rischio diffuso fa sì che non tutti i paesi fossero adatti ad entrare a far parte dell’unione europea, ma solo quelli abbastanza stabili. Uno di questi parametri riguarda proprio il Rapporto Debito/PIL, che deve essere non superiore al 60%. L’Italia nel 1992 aveva un Rapporto Debito/PIL al 105%, ma questo vincolo fu sollevato per permetterci di entrare nell’Unione Europea ed adottare l’Euro.

Anche il Belgio ha avuto questo trattamento di favore, e infatti lo ritroveremo fra poco.

Ma è il caso della Grecia che è emblematico: è abbastanza noto che la Grecia non aveva assolutamente conti in ordine per entrare nell’Unione Europea e adottare l’Euro come moneta. E’ un po’ meno noto al di fuori di internet che la banca d’affari Goldman Sachs abbia illecitamente aiutato il governo ellenico a falsare i bilanci proprio allo scopo di far entrare la Grecia nell’eurozona. [4] E gli ‘inguaribili complottisti’ del New York times dicono che Goldman Sachs avrebbe aiutato con prestiti segreti pure l’Italia… aiutati ad entrare nell’unione europea, ovviamente. [5]

Per intenderci Goldman Sachs è la banca d’affari di livello mondiale che in questi anni ha direttamente posto i suoi uomini migliori alla guida politica di varie nazioni europee compresa la nostra con i suoi consulenti Enrico Letta e Mario Monti [6], la banca privata che è capace di annoverare tra i suoi membri Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, Antonio Borges direttore del Dipartimento Europa del Fondo Monetario Internazionale, e nientemeno che il presidente della Commissione Europea nonchè due volte presidente del Consiglio Romano Prodi:


Il Fiscal Compact

Visto che alcuni paesi faticano ad allinearsi con i vincoli del Trattato di Maastricht nel 1997 viene promulgato il Patto di Stabilità [7]: sono delle regole che dettagliano quali sanzioni applicare agli stati troppo indebitati, in che modi e in che tempi. Questo insieme di norme evolve poi nel Fiscal Compact, firmato e sottoscritto dal governo Monti nel 2011 a nome dell’Italia, sostenuto poi dal governo Letta ed infine sostenuto dal governo Renzi, e che entrerà in pieno vigore l’anno prossimo. Tra le varie norme del Fiscal Compact la più importante è sicuramente quella relativa all’abbattimento del Debito Pubblico, per tornare entro 20 anni alla quota prevista dal Trattato di Maastricht, cioè ad un Rapporto Debito/PIL del 60%.

Facciamo un calcolo sui dati certi, quelli del 2013, come se il Fiscal Compact l’avessimo già oggi invece che l’anno prossimo:

Debito Pubblico = 2069 miliardi
Pil = 1560 miliardi
60% del Pil = 936 miliardi
Quota da ridurre = Debito Pubblico (2069 miliardi) – 60% del Pil (936 miliardi) = 1133 miliardi
Un ventesimo di 1133 miliardi = 57 miliardi all’anno.

Quindi il Fiscal Compact ci dice: siccome avete troppo Debito rispetto al PIL, e siccome faticate a pagare 82 miliardi di euro all’anno di interessi sul debito, allora pagatene 82+57 = 139. Poi andate avanti così per i prossimi 19 anni e finalmente sarete dei veri europei.

Il fatto che siamo entrati nell’unione europea in deroga del parametro del 60% se lo sono come dimenticati, non conta più… ora che la nostra economia vacilla è il momento di pagare i debiti: “ce lo chiede l’europa”.

E il trattato è già stato firmato e sottoscritto, quindi dove troveremo questi fondi? Alzare ancora le tasse non serve: ogni analisi concorda nel dire che siamo già al punto in cui aumentare ulteriormente le tasse farebbe solo sì che le pagherebbero ancora in di meno, e che quindi lo stato prenderebbe di netto meno soldi.

Quindi si dovrà agire sulla spesa: vendere gli immobili di pregio dello stato (ovviamente ad una frazione del valore, dato che la vendita avverrà in condizioni di estremo bisogno di far cassa da parte nostra), eseguire privatizzazioni selvagge (sempre per il suddetto motivo) comprese la cessione delle concessioni sulle coste e dei diritti di sfruttamento delle nostre risorse energetiche nonchè artistiche nazionali, esattamente come è già successo in Grecia dove si sono venduti ferrovie di stato, coste, parchi, ed isole intere.[8][9]

Le altre cose che sono già successe in Grecia e che quindi possono essere una plausibile linea di condotta includono la distruzione dello stato sociale fino al punto massimo di sopportazione della popolazione, e passerà da tappe obbligate quali la sospensione delle tredicesime statali e pensionistiche, che sono la prima avvisaglia che la vera crisi è arrivata.

Alcuni temono anche un prelievo forzoso sui c/c, di cui peraltro Unicredit ha già parlato, o una patrimoniale sugli immobili.

Se queste ipotesi vi sembrano catastrofistiche o poco plausibili possiamo valutare a quanto ammontano realmente cifre come 57 miliardi di euro. Possiamo usare come metro di paragone l’IMU prima casa, per cui i politici hanno discusso un anno intero prima di autorizzarne la cessazione, che era una tassa da 4 miliardi di euro. Oppure il decreto bankitalia, per il quale è stato necessario invocare la sospensione del dibattito parlamentare (la censura che va sotto il nome di ‘ghigliottina’), che era un uscita una-tantum di 7,5 miliardi di euro.
L’aumento dell’1% di I.V.A. ci porta 4 miliardi l’anno
La tanto decantata riforma del Senato porterebbe ad un risparmio di 1 miliardo l’anno.
Le province, tutte assieme, costano allo stato 11 miliardi di euro all’anno.
Bene, il Fiscal Compact ci dice di ripagare 57 miliardi di euro di Debito Pubblico all’anno, per 20 anni.

 
La disinformazione sul Fiscal Compact

La disinformazione sul Fiscal Compact opera sul consolidato schema a tre livelli, per offrire una risposta ad ogni sensibilità. Le famose 3 scimmiette.

Al primo livello, quello della televisione, c’è la scimmietta che non parla: del Fiscal Compact non se ne parla affatto, proprio per non incuriosire la gente; piuttosto si saturano le trasmissioni di boiate e intanto il tempo passa... e i trattati sono stati già firmati… quindi la doccia fredda per la maggior parte delle persone ci sarà a giochi fatti.

Al secondo livello, quello dei giornali, c’è la scimmietta che non vede i problemi: di Fiscal Compact se ne parla ma senza vederne i problemi, evocando i pareri rassicuranti degli esperti, senza mostrare dati o calcoli: il motto è che ce la faremo, e chi dice di no è un disfattista e comunque non è un esperto. [10]

Ma è il terzo livello che mostra maggiormente l’esplicita malafede, quello della scimmietta che non sente obiezioni. E’ il livello dei giornali specialistici o dei siti web, il livello che l’analisi la mostra, ma presentando la menzogna dimostrabile secondo cui anche non facendo nulla o facendo interventi limitati il rapporto Debito/PIL può calare. Questa linea di fallback dei disinformatori deriva da un vecchio articolo del 2012 pubblicato su La Voce a firma di Giuseppe Pisauro [11], ma qui analizzeremo una delle più recenti interpretazioni, a firma di Mauro Del Corno de Il Fatto Quotidiano, che ci rassicura che “il Fiscal Compact ci costerà solo 7 miliardi l’anno” [12]. L’articolo illustra il funzionamento del Fiscal Compact e la stima di 50 miliardi all’anno, e poi procede a dire che non serve ridurre il Debito, bensì...:

Trucco n° 1 (impariamo le frazioni con Del Corno)
In realtà la diminuzione che interessa è quella del rapporto tra il debito e il Pil, non del suo valore assoluto. Ossia: se il Pil cresce, il debito può restare comunque oltre i 2.100 miliardi (o persino salire) e in proporzione scendere comunque.
Certo, il rapporto Debito/PIL è una frazione, e l’articolo ci dice che il denominatore, cioè il PIL, se cresce e in venti anni raddoppia porta il rapporto Debito/PIL a dimezzarsi. Ok: a calcoli fatti un dato per raddoppiarsi in venti anni deve crescere in modo costante ed implacabile del 3,7% ogni anno per venti anni. L’andamento del PIL degli ultimi anni non va proprio verso questo andamento, anzi attualmente è in sostanziale calo.

Trucco n° 2 (viva l’inflazione)
Non solo. Il valore del prodotto interno lordo da utilizzare ai fini della regola del fiscal compact non è quello “reale”, di cui si legge abitualmente sui giornali (per esempio: nel 2014 il Pil italiano crescerà dello 0,7%) ma quello nominale, cioè non depurato dagli effetti dell’inflazione. Per esempio, se in un dato anno la crescita economica è pari allo 0,5% e i prezzi aumentano dell’1% il Pil nominale crescerà dell’1,5 per cento. Questo offre margini aggiuntivi per ridurre il quoziente debito/pil senza tagli alla spesa.
Ok: quindi se anche il prodotto interno lordo dell’Italia non cresce, l’importante è cresca il valore nominale. Cioè che la stessa quantità di beni e prodotti che come nazione facciamo adesso lo riusciamo a vendere a prezzi più alti grazie all’inflazione. Questo sarebbe parte della soluzione, secondo l’articolo. Ma va bene, proseguiamo su questa idea. Almeno mettiamoci i dati giusti: le ultime stime dell’Istat parlano di un aumento del PIL nel 2014 dello 0,6% e l’inflazione programmata è allo 1,5%.

Stiamo ad una crescita del PIL prevista dello 0,6+1,5 = 2,1 %

Trucco n° 3 (mentire sul contesto)
Per farsi un’idea, si consideri che alcune simulazioni hanno evidenziato come con un debito al 120% del Pil sarebbe sufficiente una crescita nominale (Pil reale + inflazione) del 2,6% per ottenere automaticamente una riduzione del debito pari al ventesimo richiesto dal fiscal compact.
Sarebbe bello vederle queste simulazioni; in ogni caso il rapporto Debito/Pil è al 134,5% e non al 120% quindi occorre un 3,7%, non un 2,6%. Ci siamo rubati un altro 0,9%

Trucco n° 4 (il trucco fondamentale - una leggerissima dimenticanza)
Mancherebbe quindi uno 0,5%-0,7% per ottenere una crescita sufficiente ad abbattere il debito di un ventesimo. Si parla insomma di 7-10 miliardi di euro
Il pubblicitario parla sempre dei pregi, mai dei difetti, perché l’omissione è un arma potentissima. Cosa manca dagli approfonditi calcoli di Del Corno? Rileggiamo questo brano precedente:

Ossia: 
se il Pil cresce, il debito può restare comunque oltre i 2.100 miliardi (o persino salire) e in proporzione scendere comunque.
“persino salire”??? Tutto l’arguto ragionamento di Del Corno si basa su una menzogna clamorosa, cioè che il Debito Pubblico nel frattempo non cresca mai! Questa parte è cruciale, perchè è il cuore della menzogna che si trova in numerosi articoli di disinformazione: omettere interamente di parlare dell’andamento del Debito Pubblico, e fingere che questo sia costante. Invece come mostrano le serie storiche il Debito Pubblico cresce sempre, e negli ultimi dieci anni è cresciuto in media di 70 miliardi ogni anno, cioè del 4% del suo valore ogni anno. Il PIL era in crescita prima del 2008 (sempre in modo più debole del Debito, ma almeno cresceva) e dopo il 2008 è addirittura in pareggio o in calo.



Quindi: al numeratore della frazione abbiamo un valore che aumenta di 82 miliardi l’anno, cioè del 4% del suo valore. Il denominatore aumenta del 2,6 o 2,8%. Curiosità matematica: se il numeratore cresce più del denominatore il Rapporto AUMENTA anzichè calare.

Quindi il PIL per soddisfare da solo il vincolo del Fiscal Compact dovrebbe crescere del 3,7% PIU’ DEL DEBITO PUBBLICO, cioè il PIL dovrebbe crescere del 7,7% all’anno per venti anni: la stessa crescita della CINA! Io firmo anche subito, però Del Corno mi deve spiegare come si fa.

Qui si potrebbe obiettare: ma adesso anche tu stai facendo stime sul futuro, mentre prima presentavi dati certi. Beh, l’andamento reale l’ho già mostrato, ora mostro le stime del governo, quelle che questi articolisti fingono di non vedere [13], per togliere ogni dubbio sulla loro malafede:




Concedetemi un ultima trattazione, dato che questo trucco del “ventesimo che si assottiglia” si trova in parecchi articoli:


Trucco n° 5: arriva l’esperto!
Inoltre, spiega Angelo Baglioni, economista dell’università Cattolica di Milano, il ritmo di discesa del debito (il famoso ventesimo, ndr) viene ricalcolato ogni anno sulla base del triennio precedente. Quindi, se il debito inizia a scendere la quota da ridurre si assottiglia via via: se ho un debito di 200 e lo riduco di un ventesimo arrivo a 190, quindi l’anno successivo il ventesimo richiesto non sarà più 10, ma 9,5.
Qui i casi sono due: o Angelo Baglioni non si è saputo spiegare, o Del Corno non è riuscito a capire; non voglio nemmeno ipotizzare che uno dei due menta sapendo di mentire. Il Fiscal Compact dice di ridurre il rapporto Debito/Pil fino a portarlo al 60% in venti anni, non dice che tu ogni anno paghi un ventesimo di quello che ti distanzia dal 60%. La differenza è sostanziale, perchè nel primo caso le 20 rate sono tutte uguali di 57 miliardi e in venti anni hai ripagato 1133 miliardi, mentre nel secondo di anno in anno la quota viene ricalcolata, calando la rata, e dopo 20 anni non avrai pagato affatto l’ammontare totale che dovevi pagare, ma solo due terzi… è matematica, non è un’opinione. Ma la fortuna di questa gente è che la matematica è noiosa. E chi pecora si fa, il lupo lo mangia.

Conclusione

Spero di aver illustrato con abbastanza chiarezza sia i meccanismi dietro al Fiscal Compact, che la congiura del silenzio che copre questo importantissimo argomento, che le menzogne usate per turlupinare chi cerca delle risposte e trova invece questi disinformatori. Come avete visto non serve altro che un po’ di matematica di base e la voglia di cercare i dati - abbiamo tutto a disposizione per costringere l’amministrazione pubblica a rendere conto delle proprie scelte, fatte peraltro con i soldi nostri.
 
Post scriptum

Per capire quanto siano disperati i conti e le stime del PIL, considerate che oggi 22 maggio 2014 l’Istat ha dichiarato [14] che inserirà le seguenti voci nel computo del PIL:
- droga
- prostituzione
- contrabbando
Davvero! Davvero davvero!!

 
Riccardo Pizzirani (Sertes)

Note e riferimenti:
[1] Documento di Economia e Finanza 2014, pagina 19
http://www.tesoro.it/doc-finanza-pubblica/def/2014/documenti/DEF_Sezione_I_Programma_di_Stabilitx_.pdf
[2] Chi ha creato il Debito Pubblico (anni 1970-2012) http://www.irpef.info/debito.html
[3] Andamento storico del Rapporto Debito/PIL in Italia: Tabella Cronologia, seconda colonna http://it.wikipedia.org/wiki/Dati_macroeconomici_italiani
[4] “Quando Goldman Sachs truccava i conti della Grecia per farla entrare nell’euro”, Il Fatto Quotidiano http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/26/prestiti-goldman-sachs-dietro-conti-truccati-della-grecia/199893/
[5] “Wall St. Helped to Mask Debt Fueling Europe’s Crisis”, New York Times http://www.nytimes.com/2010/02/14/business/global/14debt.html?pagewanted=all&_r=0
[6] Il punto di vista di Mario Monti, Primo Ministro Italiano, International Advisor di Goldman Sachs, Membro dell'Aspen Institute, Membro del Direttivo del Gruppo Bilderbergs, Presidente della Commissione Trilaterale: https://www.youtube.com/watch?v=wsc-JVRad9o&feature=player_embedded
[7] Patto di stabilità e crescita: http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_stabilit%C3%A0_e_crescita
[8] La Grecia mette in vendita le sue isole: http://www.corriere.it/economia/10_giugno_25/grecia-vendita-itol_7676922a-805e-11df-85d3-00144f02aabe.shtml
[9] La grecia mette in vendita le sue ferrovie: http://www.repubblica.it/economia/2013/04/01/news/grecia_vende_ferrovie-55750354/
[10] “Quante bugie sul Fiscal compact: ridurre il debito di 7 miliardi una tantum non è la fine del mondo”, di Veronica De Romanis, l’economista che sfrutta termini altisonanti come ‘forward looking’ per far credere che con le stime più favorevoli il 60% si raggiunga naturalmente con un unica spesa una-tantum da 7 miliardi: http://www.firstonline.info/a/2014/01/18/quante-bugie-sul-fiscal-compact-ridurre-il-debito-/88d5b791-ffbd-40a6-8e73-04bfd23a7713
[11] “Come Funziona il Fiscal Compact”, di Giuseppe Pisauro, La Voce (31.01.2012) - in cui ci si “dimentica” che il Debito Pubblico cresce: http://archivio.lavoce.info/articoli/pagina1002832-351.html
[12] “Fiscal Compact: ecco quanto ci costeranno davvero le nuove regole sul debito pubblico”, di Mauro Del Corno, Il Fatto Quotidiano: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/17/fiscal-compact-ecco-quanto-ci-costeranno-davvero-le-nuove-regole-sul-debito-pubblico/955018/
[13] Documento di Economia e Finanza 2014, pagina 23
http://www.tesoro.it/doc-finanza-pubblica/def/2014/documenti/DEF_Sezione_I_Programma_di_Stabilitx_.pdf
[14] http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2014/05/22/anche-droga-prostituzione-fanno-ricchezza-del-paese-attivita-illegali-nelle-stime-del-pil_ykJ1SAS6VAxWjOeXr2Bp1O.html?refresh_ce

 

fonte: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=4480

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