Le bombe a grappolo sono dei contenitori
che, sganciati, disperdono centinaia di sub munizioni; teoricamente
servono per “saturare” un’area vasta, eliminando chiunque si trovi su
quel terreno, ma… abbiamo detto teoricamente. Nella realtà le sub
munizioni, la cui esplosione può essere programmata anche parecchie ore
dopo lo sgancio, spesso servono a interdire un territorio, che diviene
una sorta di campo minato da una miriade di ordigni mortali.
Se a questo s’aggiunge che si ha fino a
un 30% di casi in cui, a dispetto di ciò che dichiarano i costruttori,
per le sollecitazioni a cui sono sottoposti gli ordigni nel corso della
missione, la temporizzazione di scoppio non funziona, e finiscono per
giacere per anni, in attesa che le sfiori un civile (spesso un bambino)
per esplodere, ci si rende conto di quanto siano pericolose. Per fare
qualche esempio, ancora oggi, in Vietnan circa 300 persone l’anno
perdono la vita a causa loro; in Libano durante il conflitto del 2006,
Israele ha sganciato almeno 4 ml di sub munizioni di cui si calcola che
almeno un ml sia rimasto inesploso, rendendo praticamente off limits
aree vastissime (che poi è l’intenzione di chi le ha usate) e mietendo
uno stillicidio sanguinoso.
Poiché non possono essere indirizzate ad
uno specifico obiettivo militare e i loro effetti non possono essere
limitati a quello, sono contrarie al diritto internazionale umanitario, e
per questo 113 Paesi hanno sottoscritto una convenzione che le pone al
bando, ma fra questi non figurano fra gli altri Arabia Saudita, Russia,
Cina, oltre che ovviamente gli Usa.
Da quanto emerso da una recentissima
indagine giornalistica svolta da Ben Anderson e Peter Salisbury, tali
ordigni sono stati usati massicciamente dalla Royal Saudi Air Force
(Rsaf) contro la popolazione Houthi, nella provincia di Sa’dah nel nord
dello Yemen. Gli Houthi sono Sciiti; oppressi dal Governo yemenita, sono
stati costretti a prendere le armi almeno sei volte fra il 2004 e il
2010 per difendersi dalle persecuzioni, in un conflitto sanguinoso che
non ha avuto alcuna risonanza sui media, grazie al blackout imposto da
Sana’a e dal Governo Usa che l’appoggiava.
I Sauditi sono intervenuti nel 2009
lungo tutto il confine e con massicce incursioni aeree che, secondo
l’agenzia internazionale specializzata Jane’s, sono state effettuate
impiegando Tornado Ids (forniti dalla Bae System inglese) e F-15S
(forniti dalla Boeing – Mc Donnel Douglas americana). Nel corso
dell’inchiesta sono stati trovati i cluster (gli involucri dentro cui
sono alloggiate le sub minizioni) di Cbu–52B/B, ordigni capaci di
disperdere 220 cariche antiuomo su un’area pari a un campo di calcio,
con sopra la scritta Us Air Force.
Secondo Al Hayyat, un’organizzazione
umanitaria assai attiva nella zona, gli attacchi sauditi hanno saturato
almeno 164 (164!) località, in un crescendo di incursioni che ha
conosciuto il picco a ridosso del cessate il fuoco. Lo scopo era
assolutamente chiaro: rendere impraticabili quelle zone di confine con
il territorio di Riyadh; lo hanno fatto incuranti di lasciare
praticamente la propria firma, in quanto solo loro nell’area dispongono
di Cbu52B/B e di Tornado Ids e F-15S per lanciarle (lo Yemen dispone
solo di qualche cluster bombs di fabbricazione russa e assai meno
efficiente).
La presenza di quelle migliaia di
ordigni disseminati sul terreno, ha distrutto un’economia agricola e
pastorale, ora completamente bloccata, e continua ad arrecare
un’infinita serie di lutti e mutilazioni alla popolazione civile
(soprattutto fra i bambini), nel più totale disinteresse del Governo
centrale, soddisfatto anzi d’aver messo in crisi un gruppo considerato
estraneo e indesiderato.
Di fronte al massacro che continua,
Human Rights Watch ha sottolineato l’urgenza di promuovere capillari
campagne di sensibilizzazione fra gli abitanti delle zone contaminate
dagli ordigni inesplosi e di assistenza per le vittime; purtroppo gli
appelli a Yemen ed Arabia Saudita (che si rifiuta di comunicare
qualunque informazione sui siti di sgancio, quantità e tipologia di
bombe utilizzate) cadono nel vuoto. Come pure, le aziende inglesi e
americane sono assolutamente restie a fornire la benché minima
collaborazione (ovviamente per non mettere in pericolo lucrosi
contratti).
D’altronde, l’area di Sa’dah non è
l’unica ad essere stata interessata all’impiego di cluster bombs; per
citare solo uno dei tanti esempi, nel 2009, un attacco contro un
“presunto” campo di Al Qaeda nella Penisola Araba (Aqap) ha avuto il
risultato ben documentato di 14 donne e 21 bambini uccisi. Secondo la
documentazione raccolta da Amnesty International, e confermata da quanto
emerso dai file di Wikileaks, l’attacco è stato condotto da Tomahawk
lanciati da una nave Usa. Nei documenti, l’allora presidente yemenita
Saleh rassicurava il generale David Petreus (al tempo al comando
nell’area), che avrebbe coperto la cosa, assumendosi la responsabilità
di un bombardamento condotto addirittura con un “cruise” in una zona non
interessata da conflitti né combattimenti.
Di certo c’è che questi attacchi
continueranno: ora lo Yemen è impegnato contro Aqap nel sud del Paese,
in quella che il Ministro della Difesa yemenita ha definito una guerra
totale, condotta senza alcun rispetto per la popolazione e i cosiddetti
“effetti collaterali” che significano morte per i civili. Il Governo ha
da tempo chiesto sostegno ad Arabia Saudita e Stati Uniti; essi
continueranno come prima, come sempre, e Riyadh, ad agosto, ha già
siglato un contratto d’acquisto di altre 1.300 cluster bombs dagli Usa.
Ultima notazione: si parla spesso delle
vittime innocenti causate dagli attacchi dei droni (e per inciso,
vorremmo conoscere l’imbecille che ha definito “attacco chirurgico a
obiettivo puntiforme” quello condotto da un Hellfire, un giocattolo a
suo tempo pensato per distruggere i carri del Patto di Varsavia, che ha
una testata bellica con 20 libre di esplosivo ad altissimo potenziale)
ma troppo poco delle cluster bombs, che continuano a uccidere e mutilare
anni e anni dopo essere sganciate. È il mondo che dovrebbe gridare
basta, ma il mondo preferisce guardare altrove.
di Salvo Ardizzone
fonte: http://www.ilfarosulmondo.it/wp/in-yemen-le-cluster-bombs-saudite-massacrano-donne-e-bambini/
Nessun commento:
Posta un commento