L’imprevisto plebiscito nazionale pro Renzi motiva i giudizi più
severi da parte di Gomez e Padellaro sui toni sovreccitati della
campagna grillesca, cui si aggiunge «una deleteria e autolesionistica
esposizione dell’impresentabile Casaleggio», scrive Pierfranco
Pellizzetti. Certo, il Beppe urlante e il Gianroberto sibilante «hanno
terrorizzato non poco», ma il trionfo renziano «non può essere spiegato
solo con un eccesso di decibel e un difetto di icone nella comunicazione
avversaria». L’impressione di Pellizzetti è che i risultati delle
europee siano “in maschera”, cioè di significato apparente, non reale.
Se in Europa
brillano gli euroscettici contrari all’establishment, visto come «un
conglomerato colluso di imprenditori politici interessati esclusivamente
al mantenimento delle proprie posizioni di potere», in Italia non ha vinto il centrosinistra col suo nuovo look anti-ideologico. C’è un equivoco: «Non ha vinto il Pd, ha vinto Renzi».
Renzi, cioè «colui che è balzato sulla scena nazionale come
portabandiera della rottamazione», e che da premier ha proseguito in
questa retorica «facendo
a cartellate con manager pubblici, statali e vertici sindacali». Tutti
«abili bersagli polemici, mentre il presunto “angelo vendicatore”
imbarcava sul suo carro interi spezzoni della vecchia classe dirigente politica,
giornalistica e imprenditoriale: la combriccola di furboni consapevole
che grazie al gattopardismo frenetico del giovanotto furbacchione era
possibile rinsaldare l’antica presa del privilegio sull’intera società».
Dunque, aggiunge Pellizzetti su “Micromega”,
«assistiamo al successo del tradizionale trasformismo italico, che
introietta nel suo presunto novismo anche altre – non propriamente
gloriose – attitudini del genius loci». Nient’altro che l’apprezzamento
di «un paese intimamente plebeo» per la regalia da parte del potente di
turno, «si tratti del pacco contenente zucchero e pasta offerto dalla
nobildonna benefattrice, la scarpa dal candidato sindaco di Napoli
Achille Lauro o l’obolo di ottanta euro».
«Il trasformista benefattore – continua Pellizzetti – vince perché
l’intima natura del restyling renziano ancora non è venuta completamente
alla luce, e anche perché presenta un profilo sfuggente che le
invettive di Grillo e le frasi smozzicate di Casaleggio sono inadatte a
intercettare criticamente». Cultura politica
e la memoria storica? Non pervenute. «Tanto da far risultare
sorprendente e originale un tipo che ripropone ricette blairiane
vent’anni dopo l’originale, e da far sembrare “di sinistra”
(socialdemocratica) pratiche puramente mimetiche e blandizie
paternalistiche». Il tutto, «a effettivo vantaggio di un establishment
che si camuffa da anti-establishment, secondo la migliore ricetta
americana, da Clinton a Obama». Quanto durerà l’incantamento? «Certo più
a lungo del necessario». Servirebero «letture attente e meno emotive
del fenomeno Renzi», anche per «strappare la maschera dietro la quale il
plebiscitato cela la sua vera natura di spregiudicato manovratore», edi
cui è evidente «la forte vocazione privatistica», cioè la più
pericolosa per un paese «che continua a precipitare in una crisi strutturale».
fonte: http://www.libreidee.org/2014/05/retorica-e-privatizzazioni-come-antico-il-nuovo-renzi/
Nessun commento:
Posta un commento