Dopo tutte le campagne giudiziarie, dopo l’euro, dopo Maastricht, l’Ue, il rigore,
il sistema paese Italia rimane ad alta corruzione, bassa legalità,
bassa efficienza del settore pubblico, alto clientelismo, tendenza
declinante in molti settori, forte emigrazione degli elementi migliori,
umani e aziendali. Irrazionale pertanto fare progetti di integrazione
europea sul presupposto che il sistema Italia cambi, che si corregga.
Ciò non sta avvenendo affatto, e sono decenni che doveva avvenire e non
avviene. Anzi, oramai, tra il continuo scoppio di scandali sistemici
dell’apparato pubblico e degli stessi organi di controllo, perfino i
partiti che lottano contro il sistema e che vogliono mandare tutti a
casa e che gridavano “arrendetevi, siete circondati!”, perfino questi
finiscono per venire a termini con l’espressione partitica di questo
sistema e per riconoscergli una più o meno esistente legittimazione
“democratica”.
Quindi, prima si accetta che un corpo sociale non cambia la sua
mentalità e le sue abitudini consolidate per l’effetto di un decreto o
per l’azione esterna di una
nuova moneta, prima si accetta il principio che bisogna organizzarlo
per ciò che esso è e non per ciò che qualcuno vorrebbe che fosse, prima
si accetta che il partito che va al potere
ci arriva (anche) grazie alle ruberie del suo apparato di gestione, e
che pertanto il paese sarà ancora a lungo amministrato da questo tipo di
gente – prima si prende atto di tutto questo, cioè della realtà, e
meglio è per tutti. O per quasi tutti. Razionale è quindi chiedersi:
date le caratteristiche di questa società reale, in attesa che prima o
poi se possibile migliorino, come la si deve organizzare per farla
vivere al meglio?
Per vivere decentemente, un paese che ha le caratteristiche
dell’Italia deve innanzitutto tornare a una spesa pubblica larga,
elastica e sostenibile,che crei, come creava in passato, coesione
sociale contenendo al contempo il conflitto di interesse Nord-Sud; che
dia la precedenza al lavoro
(dipendente e autonomo) rispetto alle rendite finanziarie, quindi
stimoli gli investimenti privati con piani di investimenti pubblici di
lungo termine, sostenga il reddito e la domanda, e assorba la
disoccupazione involontaria; che renda possibile un fisiologico
aggiustamento del cambio (svalutazione competitiva per mantenere le
quote di mercato estero); che alimenti un’inflazione idonea a rendere
sopportabile l’indebitamento, agganciando ad essa i salari; che si
finanzi senza rischio di default e a bassi tassi di interesse, come
prima del 1981 (ossia bisogna ritornare a una banca centrale propria,
una moneta propria, un controllo del Tesoro di Stato su entrambe, un
vincolo per la banca centrale di comperare i titoli del debito pubblico invenduti, un vincolo di portafoglio per le banche a detenere quote di debito pubblico).
Quella sopra delineata non è una stampella per un paese malato, ma
una razionale e funzionale organizzazione per la generalità dei paesi,
ossia anche per quelli poco corrotti e molto efficienti. Soltanto che
questi ultimi possono vivere abbastanza bene anche senza di essa e con
la cosiddetta austerità, mentre un paese come l’Italia, con
l’impostazione monetaria e finanziaria attuale, semplicemente consuma le
sue risorse interne e poi muore. Se non si attuano queste condizioni,
la grande intesa tra tutti i partiti intorno al leader oggi o domani
trionfante si tradurrà in un’alleanza consociativa per salire tutti sul
carro del vincitore e spremere ulteriormente i cittadini e la
repubblica, senza più limiti né pudori, dato che non c’è più
opposizione, cioè concorrenza e contrasto: un patto fra jene e
sciacalli, sotto la direzione dell’avvoltoio d’oltralpe.
(Marco Della Luna, “L’Italia: come farla funzionare”, dal blog di Della Luna del 16 giugno 2014).
http://www.libreidee.org/2014/07/sullitalia-un-patto-tra-iene-e-sciacalli-diretto-dallestero/
Nessun commento:
Posta un commento