Il Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy,
ha dichiarato che gli accordi in questione sono “il più ambizioso
progetto di cooperazione dell’UE con paesi terzi” e segnano “l’inizio
del cammino europeo di Georgia, Ucraina e Moldavia”. Le frasi
altisonanti piacciono ai dirigenti europei. Dei “progetti più ambiziosi”
si era parlato anche al momento di lancio della moneta europea, poi nel
2004 alla vigilia di ingresso nell’UE di dieci nuovi Stati.
Quest’ultimo vertice è stato contrassegnato da altre due novità che però
per l’Europa hanno una valenza negativa. Per la prima volta il
Consiglio europeo ha votato sulla nomina del Presidente della
Commissione europea, e per la prima volta il Consiglio si è spaccato,
praticamente in due, sul problema dell’ulteriore cooperazione con la
Russia.
Secondo l’inglese Finanial Times, chi si
pronuncia energicamente contro nuove sanzioni antirusse è l’Italia,
fiancheggiata da Austria, Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia, Ungheria e
Bulgaria. A favore del “terzo pacchetto” delle sanzioni (che riguardano
anche il settore dell’energia) si pronunciano Gran Bretagna, Germania,
Svezia, Danimarca, Polonia, Romania e Stati Baltici. La tensione tra i
due schieramenti non ha consentito di approvare le nuove sanzioni,
mentre nel mondo politico e imprenditoriale europeo sta crescendo la
comprensione della nocività delle sanzioni per l’economia di tutta
l’Europa: un terzo di tutto il gas consumato dall’Europa viene dalla
Russia, mentre il fatturato dell’interscambio commerciale con Mosca
supera di 12 volte quello tra Russia e Stati Uniti.
Impone
sobrietà anche la situazione politica all’interno dell’Unione Europea
che sta andando verso il rinnovo dei suoi organi amministrativi. La fine
del conflitto col premier britannico David Cameron in realtà è solo una
tregua. Cameron non è riuscito a bloccare la nomina di Jean-Claude
Juncker alla presidenza della Commissione europea. Per Gran Bretagna
Juncker è una minaccia, in quanto fautore di una rigida centralizzazione
delle istituzioni finanziarie che sarebbe contro gli interessi di
Londra.
Cameron non è l’unico a temerlo. Al vertice ha avuto il sostegno
dell’Ungheria. Potrebbe essere un asse contro Bruxelles. Eppure,
nell’Unione Europea tutti capiscono la necessità delle riforme, come ha
confermato a “La Voce della Russia” l’economista Dmitry Tratas.
L’unione monetaria non reggerà senza l’unione politica, finanziaria e fiscale. Pertanto l’unica prospettiva per l’UE è l’ulteriore integrazione. Tuttavia alcuni Stati, fra cui Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia, vedono con diffidenza l’ulteriore centralizzazione dell’Europa. In genere, questi Paesi costituiscono per l’UE un problema.
Intanto
il tempo che l’Europa ha per riformare l’UE e l’eurozona sta passando.
Gli esperti della Banca Mondiale hanno presentato giorni fa un documento
intitolato Global Economic Prospects, nel quale hanno avvertito
Bruxelles del pericolo di deflazione. In questa situazione la nomina dei
nuovi dirigenti potrebbe non bastare per invertire la tendenza, ha
osservato l’esperto di politologia comparativa e docente dell’Università
delle relazioni internazionali (MGIMO), Elena Ponomareva.
In questo caso contano non tanto i personaggi, quanto i fattori di fondo. Tutte le persone esperte e autorevoli che in precedenza hanno lavorato nella Commissione europea e nei governi dei Paesi europei, non sono riuscite a proporre nulla di davvero importante e utile per superare la crisi finanziaria. Per superarla non a livello dei singoli Stati, ma come l’Europa nel suo insieme.
Non sorprende
quindi che l’indice di fiducia dei consumatori e degli imprenditori dei
Paesi dell’euro sia sceso in giugno al di sotto dei 103 punti
inizialmente previsti. Intanto in Bulgaria che non fa parte
dell’eurozona i risparmiatori già stanno prendendo d’assalto le banche.
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