Immaginate uno dei leader politici globali più ammirati nella storia moderna prelevato dal suo appartamento alle 6 di mattina da agenti armati della Polizia Federale Brasiliana e condotto a forza in un’auto senza contrassegni all’aeroporto di San Paolo, dove è stato interrogato per quasi quattro ore su fatti collegati ad uno scandalo di corruzione da miliardi di dollari che coinvolge la mega-compagnia petrolifera di stato Petrobras.
Questo è ciò di cui è fatta Hollywood. Ed è stata proprio questa la logica dietro questa sofisticata produzione.
La pubblica accusa di Operação Lava Jato
(Operazione Autolavaggio), giunta al secondo anno, insiste
nell’affermare che ci siano “elementi di prova”
che implicano che Lula abbia ricevuto fondi – almeno un milione e
centomila euro — dallo schema truffaldino di tangenti che ha coinvolto
grosse imprese edili brasiliane collegate a Petrobras. Lula potrebbe – e
la parola giusta è “potrebbe” – averne personalmente approfittato
principalmente sotto forma di un ranch (non di sua proprietà), una casa
al mare relativamente modesta, compensi come speaker nel circuito delle
conferenze internazionali, e donazioni alla sua fondazione.
Lula è un animale politico di livello altissimo – lo stesso di Bill Clinton. Aveva già telegrafato che si aspettava un tiro del genere visto che l’inchiesta Lava Jato aveva già dato luogo all’arresto di decine di persone sospettate di appropriazione indebita nei contratti tra le loro aziende e Petrobras – per un giro di 2 miliardi di dollari – finalizzata a pagare politici del Partito del Lavoratori (PT), di cui Lula era il leader.
Lula è un animale politico di livello altissimo – lo stesso di Bill Clinton. Aveva già telegrafato che si aspettava un tiro del genere visto che l’inchiesta Lava Jato aveva già dato luogo all’arresto di decine di persone sospettate di appropriazione indebita nei contratti tra le loro aziende e Petrobras – per un giro di 2 miliardi di dollari – finalizzata a pagare politici del Partito del Lavoratori (PT), di cui Lula era il leader.
Il nome di Lula è venuto a galla grazie
al solito delinquente che, diventato informatore, desidera arrivare a un
patteggiamento. L’ipotesi di lavoro – in assenza di “pistola fumante” –
è che Lula, quando era presidente del Brasile tra il 2003 e il 2010,
abbia avuto vantaggi personali da questo schema di corruzione che vedeva
al centro Petrobras, ottenendo favori per se stesso, il PT e il
governo. Contemporaneamente anche la stessa inefficiente presidente
Dilma Rousseff è sotto attacco a seguito di un patteggiamento,
orchestrato dall’ex leader del partito governativo al Senato.
Lula è stato interrogato su fatti
connessi a riciclaggio di denaro, corruzione, e sospetto occultamento di
beni. Il blitz hollywoodiano è stato organizzato dal giudice Sergio
Moro – che afferma di ispirarsi al giudice italiano Antonio Di Pietro e
alla famosa inchiesta degli anni ‘novanta Mani Pulite.
E adesso, inevitabilmente, la faccenda si complica.Radunati i soliti media sospetti
Moro e gli altri accusatori di Lava Jato
hanno giustificato il blitz hollywoodiano affermando che Lula rifiutava
di farsi interrogare. Lula e il PT hanno negato con veemenza.
E ancora gli inquirenti di Lava Jato
hanno lasciato trapelare regolarmente dichiarazioni del tipo: “Non
possiamo limitarci a mordere Lula. Quando lo becchiamo, ce lo mangiamo.”
Il che coinvolgerebbe, come minimo, la politicizzazione della
giustizia, della Polizia Federale e del Pubblico Ministero. E
implicherebbe anche che il blitz hollywoodiano possa essere stato
giustificato da una “pistola fumante”. Essendo la percezione verità, nel
ciclo frenetico delle news non-stop, la “notizia” – istantaneamente
diffusa a livello globale – è che Lula è stato arrestato perché è
corrotto.
Però la faccenda diventa ancora più
strana quando apprendiamo che il giudice Moro ha scritto un articolo
su un’oscura rivista nel lontano 2004 (solo in portoghese, intitolato Considerazioni su Mani Pulite,
rivista CEJ, numero 26, luglio/settembre 2004),in cui chiaramente
esalta “la sovversione autoritaria dell’ordine giuridico per ottenere
obiettivi specifici” e l’utilizzo dei media per inquinare l’atmosfera
politica.
Tutto questo, al servizio di un programma molto specifico. In Italia, la destra ha percepito tutta la saga di Mani Pulite
come un brutto esempio di malagiustizia; la sinistra d’altra parte, era
in estasi. Il Partito Comunista Italiano (PCI) ne uscì pulito. In
Brasile, il bersaglio è la sinistra – mentre la destra, almeno per il
momento, sembra essere costituita da cori di angioletti cantanti.
Il candidato perdente delle elezioni
presidenziali del 2014, il viziato sniffatore di coca Aecio Neves, per
esempio, è stato accusato di corruzione da almeno tre persone differenti
– senza che si andasse da nessuna parte con ulteriori indagini. Lo
stesso è avvenuto per un altro schema truffaldino che coinvolgeva l’ex
presidente Fernando Henrique Cardoso — il notoriamente vanaglorioso ex
sostenitore dello sviluppo, trasformatosi in sostenitore del
neoliberismo.
Quello che Lava Jato ha impresso a forza nel Brasile è la percezione che la (accusa di) corruzione ripaghi solo quando l’accusato è un nazionalista progressista. Mentre invece i vassalli del Washington consensus, loro sono sempre angeli — pietosamente immuni alle accuse.
Questo accade perché Moro e il suo team
stanno giocando fino in fondo e con maestria la carta dell’uso dei
media, descritta dallo stesso Moro al fine di inquinare l’atmosfera
politica – con l’opinione pubblica ripetutamente manipolata ancora prima
che chiunque sia formalmente imputato di qualunque reato. Eppure Moro e
le sue fonti di accusa sono in gran parte ridicole, abili truffatori e
mentitori abituali. Perché si crede alle loro parole? Perché non ci sono
prove, cosa che è ammessa dallo stesso Moro.
E questo ci conduce ad un brutto
scenario, di un complesso mediatico-giudiziario-politico made in Brazil
che sta finendo per catturare una delle democrazie più in salute del
mondo. A sostegno di questo scenario c’è un fatto increscioso: tutto il
“progetto” dell’opposizione di destra brasiliana si riduce a rovinare
l’economia della settima potenza globale per giustificare la distruzione
di Lula come candidato presidenziale nel 2018.
Nulla di quanto sopra può essere
compreso senza una certa familiarità con il classico Braziliana.
Leggende locali affermano che il Brasile non è per principianti; è una
società straordinariamente complessa – che discende essenzialmente da un
Giardino dell’Eden (prima che i Portoghesi lo “scoprissero” nel 1500)
alla schiavitù (che ancora permea tutti i rapporti sociali) fino a un
evento cruciale nel 1808: l’arrivo di Dom João VI del Portogallo (e
per il resto della sua vita, Imperatore del Brasile), in fuga
dall’invasione napoleonica, che condusse con sé 20.000 persone che
organizzarono lo Stato brasiliano “moderno”. “Moderno” è un eufemismo;
la storia dimostra che i discendenti di questi 20.000 in realtà hanno
biecamente continuato a violentare il paese nel corso di questi 208
anni. E pochi di loro se ne sono presi la responsabilità.
Le tradizionali élite brasiliane sono
informate di uno dei più nocivi miscugli d’ignoranza e pregiudizio
arrogante del pianeta. “Giustizia” – e ordine pubblico – sono utilizzati
soltanto come arma quando i sondaggi non premiano i loro programmi.
I proprietari dei media mainstream
brasiliani sono una parte importante di queste élite. In modo molto
simile al modello di concentrazione USA, solo quattro famiglie
controllano l’intero paesaggio dei media, primeggia tra di esse l’impero
mediatico di Globo, di proprietà della famiglia Marinho. Ho avuto modo
di provare dal di dentro, nei dettagli, come operano.
Il Brasile è corrotto fino al midollo –
dall’élite dei comprador giù fino a gran parte delle “nuove” crasse
élite, tra cui il PT. L’avidità e l’incompetenza mostrate da una serie
di sostenitori del PT sono spaventose – un riflesso della mancanza di
quadri di qualità. La corruzione e il traffico di influenze che
coinvolgevano Petrobras, imprese edili e politici è innegabile, anche se
impallidisce a confronto degli imbrogli di Goldman Sachs o di Big Oil
e/o la compravendita e la corruzione dei politici USA nello stile di
fratelli Koch/Sheldon Adelson.
Se fosse stata una crociata
senza esclusione di colpi contro la corruzione – come gli accusatori di
Lava Jato insistono che sia – gli oppositori di destra/vassalli delle
vecchie élite avrebbero dovuto essere esposti allo stesso modo sui media
mainstream. Ma in quel caso gli stessi media controllati dell’élite
semplicemente ignoravano gli accusatori. E non c’è stato nulla di
lontanamente paragonabile al blitz hollywoodiano con Lula – ritratto
come un delinquente di bassa lega – umiliato di fronte all’intero
pianeta.
Gli inquirenti di Lava Jato hanno ragione; la percezione è verità. Ma che fare se si ritorce contro loro stessi?
No consumi, no investimenti, no credito
Il Brasile non potrebbe essere in una
situazione più cupa. Il PIL è andato giù del 3,8% lo scorso anno;
probabilmente andrà giù del 3,5% quest’anno. Il settore industriale ha
perso il 6,2% lo scorso anno e il settore minerario il 6,6% nell’ultimo
trimestre. La nazione è sulla strada della peggior recessione dal… 1901.
Non c’era nessun Piano B da parte della – incompetente – amministrazione Rousseff per il rallentamento Cinese nell’acquisto di prodotti agricoli/minerari del Brasile e del ribasso globale dei prezzi delle materie prime.
La Banca Centrale continua a mantenere
il suo tasso d’interesse di riferimento ad un enorme 14,25%. Un
disastroso “aggiustamento fiscale” neoliberale di Rousseff ha di fatto
peggiorato la crisi economica. Oggi Rousseff “governa” – per modo di
dire — per il cartello dei banchieri e i rentier del debito pubblico
brasiliano. Oltre 120 miliardi di dollari del budget governativo
evaporano per pagare gli interessi sul debito pubblico.
L’inflazione si è impennata — adesso è
nel territorio della doppia cifra. La disoccupazione è al 7,6% – ancora
non così alta come in molti altri stati dell’UE – ma in aumento.
I soliti sospetti naturalmente
gongolano, e diffondono incessantemente lo spin di quanto il Brasile sia
diventato “tossico” per gli investitori globali.
Sì, la situazione è triste. Non ci sono consumi. No investimenti. No credito. La sola maniera per uscirne sarebbe lo sblocco della crisi politica. Ma le larve nel racket dell’opposizione ripetono ossessivamente una sola canzone: l’impeachment della Presidentessa Rousseff. Variazioni del buon vecchio regime change; per questi vassalli di Wall Street/Impero del Caos, una crisi economica, alimentata da una crisi politica, deve a tutti i costi provocare la caduta del governo eletto di un paese chiave dei BRICS.
E ora, all’improvviso, dal campo della
sinistra, si alza… Lula. La mossa contro di lui da parte dell’inchiesta
Lava Jato potrebbe ritorcersi contro di loro – malamente. Lui è già in
modalità campagna elettorale per il 2018 – anche se non è un candidato
ufficiale, ancora. Mai sottostimare un animale politico della sua
statura.
Il Brasile non è alle corde. Se
rieletto, e supponendo che riesca a ripulire il PT da una legione di
truffatori, Lula potrebbe innescare una nuova dinamica. Prima della
crisi il capitale brasiliano era un player globale – tramite Petrobras,
Embraer, la BNDES (il modello di banca che ha ispirato la banca del
BRICS), le imprese edili. Allo stesso tempo, potrebbero esserci dei
benefici nel rompere, almeno in parte, il cartello oligarchico che
controlla la costruzione di tutte le infrastrutture in Brasile; si pensi
a imprese cinesi che costruiscono la ferrovia da alta velocità, le
dighe e i porti di cui il paese ha un enorme bisogno.
Lo stesso giudice Moro ha teorizzato che
la corruzione prospera perché l’economia brasiliana è troppo chiusa nei
confronti del mondo esterno, come era quella indiana fino a tempi
recenti. Ma c’è una grossa differenza tra l’aprire alcuni settori
dell’economia brasiliana e permettere che interessi stranieri legati
all’élite dei comprador saccheggino la ricchezza della nazione.
Quindi, ancora una volta, dobbiamo tornare al tema ricorrente in tutti i grandi conflitti globali.
E’ il petrolio, stupido
Per l’Impero del Caos, il Brasile ha
rappresentato un grosso mal di testa sin dalla prima elezione di Lula,
nel 2002 ( per una valutazione delle complicate relazioni USA-Brasile,
si veda l’indispensabile lavoro di Moniz Bandeira).
Una delle principali priorità
dell’Impero del Caos è impedire l’ascesa di potenze regionali alimentate
da abbondanti risorse naturali, dal petrolio a minerali strategici. Il
Brasile rientra ampiamente in queste caratteristiche. Washington
naturalmente si sente autorizzata a “difendere” queste risorse. Da cui
la necessità di reprimere non solo le associazioni di integrazione
regionali come il Mercosur e l’Unasur ma innanzitutto l’organizzazione
globale del BRICS.
Petrobras era un’azienda statale molto
efficiente che è raddoppiata come singolo operatore delle più grandi
riserve di petrolio scoperte nel 21-esimo secolo finora; i depositi
pre-salini. Prima che diventasse il bersaglio di massicci attacchi
speculativi, giudiziari e mediatici, Petrobras contava il 10% degli
investimenti e il 18% del PIL brasiliano.
Petrobras ha scoperto i depositi pre-salini grazie alle proprie ricerche e alle innovazioni tecnologiche applicate alle ricerche petrolifere a grandi profondità – senza contributi stranieri di alcun genere. La cosa bella è che non c’è alcun rischio; se trivelli lo strato pre-salino, sei sicuro di trovare il petrolio. Nessuna azienda del pianeta cederebbe questo know how alla concorrenza.
Eppure, un noto verme dell’opposizione
di destra ha promesso nel 2014 alla Chevron la cessione dello
sfruttamento dei giacimenti pre-salini principalmente in favore di Big
Oil. L’opposizione di destra si impegna ad alterare il regime giuridico
del pre-salino; è già passata in Senato. E Rousseff sta docilmente
eseguendo. Si associ al fatto che il governo Rousseff non ha fatto nulla
per ricomprare le azioni Petrobras – la cui rovinosa caduta è stata
abilmente orchestrate dai soliti sospetti.
Il meticoloso smantellamento di Petrobras, con Big Oil che alla fine trarrebbe profitto dai depositi pre-salini, tenendo sotto controllo la proiezione della potenza globale del Brasile, tutto giova in modo fantastico agli interessi del’Impero del Caos. Dal punto di vista geopolitico, ciò va molto oltre il blitz hollywoodiano e l’inchiesta Lava Jato.
Non è una coincidenza che le tre più
grandi nazioni del BRICS siano contemporaneamente sotto attacco – su una
miriade di livelli: la Russia, la Cina e il Brasile. La strategia
concertata dai Padroni dell’Universo che dettano le regole a Wall Street
e nella Beltway prevede di minare con tutti i mezzi lo sforzo
collettivo del BRICS di produrre un’alternativa sostenibile al Sistema
economico/finanziario globale, che per il momento è soggetto al
capitalismo da casino. È difficile che Lula, da solo, riesca a fermarli.
*****
Articolo di Pepe Escobar pubblicato da SputnikNews il 6 Marzo 2016
Tradotto in Italiano da Mario B. per SakerItalia.it
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