Se
le elezioni presidenziali statunitensi finiscono con Hillary Clinton
contro Donald Trump, e il mio passaporto viene confiscato e in qualche
modo vengo costretto a scegliere o sono pagato per farlo, pagato bene…
voterei per Trump. La mia preoccupazione principale è la politica
estera. La politica estera statunitense è la peggiore minaccia a pace,
prosperità e ambiente mondiali. E quando si tratta di politica estera,
Hillary Clinton è un disastro diabolico.
Da Iraq e Siria a Libia e
Honduras il mondo è un posto assai peggiore per causa sua; tanto è vero
che la chiamerei criminale di guerra che andrebbe perseguita. E non
molto meglio ci si può aspettare sulle questioni interne di questa donna
pagata 675000 dollari da Goldman Sachs, una delle più
reazionarie aziende anti-sociali di questo triste mondo, per quattro
discorsi, e ancor più con donazioni politiche in questi ultimi anni.
Aggiungasi la disponibilità di Hillary ad essere per sei anni nel
consiglio di amministrazione di Wal-Mart, mentre il marito era
governatore dell’Arkansas. Possiamo aspettarci che cambi il
comportamento delle imprese da cui prende soldi?
Il Los Angeles Times ha pubblicato un editoriale il giorno dopo le varie elezioni primarie del 1° marzo che iniziava:“Donald Trump non è adatto ad essere il presidente degli Stati Uniti“, e poi dichiarava: “La realtà è che Trump non ha nessuna esperienza di governo“.
Quando devo aggiustare la mia auto cerco un meccanico con esperienza
sul modello della mia auto. Quando ho un problema medico preferisco un
medico specializzato nella parte del corpo malata. Ma quando si tratta
di politici, l’esperienza non significa nulla. L’unica cosa che conta è
l’ideologia della persona. Tra chi votare per una persona per 30 anni al
Congresso di cui non si condivide alcuna opinione politica e sociale, e
vi si è anche ostili, e qualcuno che non ha mai avuto un incarico
pubblico prima, ma è un compagno ideologico su ogni importante
questione? I 12 anni di Clinton ai vertici del governo non mi
significano nulla. The Times ha continuato su Trump: “Ha una vergognosamente scarsa conoscenza delle questioni del Paese e del mondo”.
Anche in questo caso, la conoscenza è ingannata (non intesa)
dall’ideologia.
Da segretaria di Stato (gennaio 2009-febbraio 2013), con
ampie conoscenze, Clinton svolse un ruolo chiave nel 2011 nel
distruggere il moderno Stato sociale e laico della Libia, schiantandola
nel caos più totale da Stato fallito, disperdendo nel caotico Nord
Africa e Medio Oriente il gigantesco arsenale che il leader libico
Muammar Gheddafi aveva accumulato. La Libia è ora un santuario dei
terroristi, da al-Qaida allo SIIL, mentre Gheddafi ne era stato
uno principali nemici. Saperlo cos’è servito alla segretaria di Stato
Clinton?
Le bastava sapere che la Libia di Gheddafi, per diverse
ragioni, non sarebbe mai stato uno Stato cliente obbediente a
Washington. Fu così che gli Stati Uniti, insieme alla NATO, bombardarono
il popolo della Libia ogni giorno per più di sei mesi, avendo come
scusa che Gheddafi stava per invadere Bengasi, il centro dei suoi
avversari, e così gli Stati Uniti salvarono la gente di quella città dal
massacro. Il popolo e i media statunitensi, naturalmente ingoiarono
questa storia, anche se alcuna prova convincente del presunto massacro
imminente è mai stata presentata. (La cosa più vicina a un resoconto
ufficiale del governo degli Stati Uniti sulla questione, un rapporto del
Congressional Research Service sugli eventi in Libia
dell’epoca, non fa alcuna menzione su minacce di massacri) (1).
L’intervento occidentale in Libia fu ciò che il New York Times disse che Clinton “sosteneva”, convincendo Obama a
“ciò che fu probabilmente il momento di maggiore influenza da segretaria di Stato” (2).
Tutta la conoscenza che aveva non le impedì l’errore disastroso in
Libia. E lo stesso si può dire del sostegno a un cambio di regime in
Siria, il cui governo è in lotta contro SIIL e altri gruppi
terroristici. Ancora più disastrosa fu l’invasione statunitense
dell’Iraq nel 2003, che da senatrice supportò. Tali politiche sono
naturalmente delle chiare violazioni del diritto internazionale e della
Carta delle Nazioni Unite.
Un’altra
politica estera di “successo” della Clinton, i cui svenevoli seguaci
ignorano, i pochi che lo sanno, fu il colpo di Stato per abbattere ila
moderatamente progressiva Manuel Zelaya in Honduras nel giugno 2009. Una
storia vista molte volte in America Latina. Le masse oppresse
finalmente misero al potere un leader impegnato a cambiare lo status
quo, determinato a cercare di porre fine a due secoli di oppressione… e
in poco tempo i militari rovesciarono il governo democraticamente
eletto, mentre gli Stati Uniti, se non la mente dietro il colpo di
Stato, non fecero nulla per punire il regime golpista, in quanto solo
gli Stati Uniti possono punire. Nel frattempo i funzionari di Washington
fecero finta di essere molto turbati da questo “affronto alla democrazia“. (Vedasi Mark Weisbrot su la
“Top Ten dei modi con cui si può dire da che parte il governo degli Stati Uniti fu attivo nel colpo di Stato militare in Honduras“) (3).
Nel suo libro di memorie, “Scelte difficili”, del 2014, Clinton rivela quanto indifferente fosse al ritorno di Zelaya alla sua carica legittima:
“Nei giorni successivi (al colpo di Stato) parlai con i miei omologhi in tutto l’emisfero… preparammo un piano per ristabilire l’ordine in Honduras e garantire che elezioni libere ed eque si svolgessero in modo rapido e legittimo, rendendo la questione di Zelaya discutibile”.
La domanda di Zelaya era tutt’altro che irrilevante. I leader
latino-americani, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e altri
organismi internazionali con veemenza ne chiesero l’immediato ritorno in
carica. Washington, tuttavia, subito riprese normali relazioni
diplomatiche con il nuovo Stato di polizia di destra, e l’Honduras da
allora è diventato un importante fonte di bambini migranti che
attualmente si versano negli Stati Uniti. Il titolo dell’articolo della
rivista Time sull’Honduras alla fine dello stesso anno (3 dicembre 2009)
riassume così:
“La politica in America Latina di Obama sembra quella di Bush“.
E Hillary Clinton si presenta da conservatrice. E da molti anni; almeno
dagli anni ’80, quando era la moglie del governatore dell’Arkansas,
quando sosteneva con forza i torturatori degli squadroni della morte
noti come Contras, l’esercito di ascari dell’impero in Nicaragua. (4)
Poi, durante le primarie presidenziali del 2007, la venerabile rivista
conservatrice degli USA, National Review di William Buckley,
pubblicò un editoriale di Bruce Bartlett. Bartlett fu consigliere
politico del presidente Ronald Reagan, funzionario del Tesoro col
presidente George HW Bush e ricercatore presso due dei principali think-tank conservatori, Heritage Foundation e Cato Institute.
Cogliete il quadro? Bartlett diceva ai lettori che era quasi certo che i
democratici avrebbero vinto la Casa Bianca nel 2008. Allora, cosa fare?
Sostenere il democratico più conservatore. Scrisse:
“La destra disposta a guardare oltre, cerca ciò che probabilmente ha le sue identiche visioni tra i candidati democratici, ed è abbastanza chiaro che Hillary Clinton è la più conservatrice”. (5)
Nelle stesse
primarie vedemmo sulla rivista leader della più ricca corporatocrazia
degli USA, Fortune, la copertina con foto della Clinton e il titolo: “Hillary ama il Business“.
(6) E cosa abbiamo nel 2016? Tutti i 116 membri della comunità di
sicurezza nazionale del Partito Repubblicano, molti dei quali veterani
delle amministrazioni Bush, firmare una lettera aperta minacciando che,
se Trump viene nominato, diserteranno e alcuni passerebbero a Hillary
Clinton! “Hillary è il male minore, con ampio margine“, dice
Eliot Cohen del dipartimento di Stato di Bush II. Cohen aiuta i neocon a
firmare il manifesto “Dump-Trump”. Un altro firmatario,
l’ultra-conservatore autore di politica estera Robert Kagan, dichiara: “L’unica scelta sarà votare per Hillary Clinton“.
(7) L’unica scelta? Cosa c’è di sbagliato in Bernie Sanders o Jill
Stein, il candidato del Partito Verde?… Oh, capisco, non sono abbastanza
conservatori.
E Trump? Molto più di un critico della politica estera degli Stati Uniti di Hillary o Bernie. Parla di Russia e Vladimir Putin come forze positive e alleate, e vi sarebbero assai meno probabilità di entrare in guerra contro Mosca che non con Clinton. Dichiara che sarebbe “imparziale” nel risolvere il conflitto israelo-palestinese (al contrario del sostegno illimitato di Clinton ad Israele). S’è opposto a chiamare il senatore John McCain “eroe” perché fu catturato. (Quale altro politico oserebbe dire una cosa del genere?) Definisce l’Iraq “un completo disastro”, condannando non solo George W. Bush, ma i neocon che lo circondavano.
“Hanno mentito. Hanno detto che c’erano armi di distruzione di massa e non c’erano. E sapevano che non ce n’erano. Non c’erano armi di distruzione di massa“. Ed alla domanda se “Bush ci ha tenuti al sicuro”, risponde che “Che piacesse o no Saddam, uccideva i terroristi“.
Sì, è personalmente antipatico. Avrei avuto molta difficoltà ad essergli amico. Ma che importa?
Il motto della CIA: “Orgogliosamente tentiamo di rovesciare il governo cubano dal 1959“
Ora
cosa? Forse si pensa che gli Stati Uniti siano finalmente cresciuti
capendo che possono in realtà condividere l’emisfero col popolo di Cuba,
accettando la società cubana senza discuterla come fa col Canada? Il Washington Post (18 febbraio) riferiva: “Nelle
ultime settimane, i funzionari dell’amministrazione hanno chiarito che
Obama si recherà a Cuba solo se il suo governo fa ulteriori concessioni
nei diritti umani, accesso ad internet e liberalizzazione del mercato“.
Immaginate se Cuba insistesse sul fatto che gli Stati Uniti facciano
“concessioni sui diritti umani”; questo potrebbe significare che gli
Stati Uniti s’impegnino a non ripetere roba come questa:
Invadere Cuba nel 1961 con la Baia dei Porci.
Invadere Grenada nel 1983 e uccidere 84 cubani, principalmente operai edili.
Far esplodere un aereo passeggeri cubano nel 1976. (Nel 1983, la città di Miami tenne una giornata in onore di Orlando Bosch, una delle due menti dell’atto terribile, l’altro autore, Luis Posada, è protetto a vita nella stessa città)
Dare agli esuli cubani, per usarlo, il virus della peste suina africana, costringendo il governo cubano a macellarne 500000.
Infettare i tacchini cubani con un virus che produce la fatale malattia di Newcastle, provocandone la morte di 8000.
Nel 1981 un’epidemia di febbre emorragica dengue afflisse l’isola, la prima grande epidemia di DHF mai avutasi in America. Gli Stati Uniti da tempo ne sperimentavano l’utilizzo come arma. Cuba chiese agli Stati Uniti il pesticida per debellare la zanzara responsabile, ma non l’ebbe. Oltre 300000 casi furono segnalati a Cuba con 158 decessi.
Questi sono solo tre esempi della pluridecennale guerra chimica e biologica (CBW) della CIA contro Cuba. (8) Dobbiamo ricordare che il cibo è un diritto umano (anche se gli Stati Uniti l’hanno ripetutamente negato) (9). Il blocco di Washington su beni e denaro per Cuba è ancora forte, un blocco che il consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Clinton, Sandy Berger, nel 1997 definì “le sanzioni più pervasive mai imposte a una nazione nella storia del genere umano”. (10) Tentò di assassinare il Presidente cubano Fidel Castro in numerose occasioni, non solo a Cuba, ma a Panama, Repubblica Dominicana e Venezuela (11).
Con un piano dopo l’altro negli ultimi anni, l’Agenzia
per lo Sviluppo Internazionale (AID) di Washington cercò di provocare il
dissenso a Cuba e/o di fomentare la ribellione, con l’obiettivo finale
del cambio di regime. Nel 1999 una causa cubana chiese 181,1 miliardi di
risarcimento agli Stati Uniti per morte e ferimento di cittadini cubani
in quattro decenni di “guerra” di Washington contro Cuba. Cuba chiese
30 milioni in risarcimento diretto per ciascuna delle 3478 persone che
dice furono uccise dalle azioni degli Stati Uniti e 15 milioni ciascuno
per i 2099 feriti, ha anche chiesto 10 milioni per ciascuna delle
persone uccise e 5 milioni per ciascuno dei feriti, per ripagare la
società cubana dei costi che ha dovuto subire. Inutile dire che gli
Stati Uniti non hanno pagato un centesimo.
Una delle critiche yankee più comuni allo stato dei diritti umani a Cuba era l’arresto di dissidenti (anche se la grande maggioranza fu rapidamente rilasciata). Ma molte migliaia di manifestanti anti-guerra ed altri furono arrestati negli Stati Uniti negli ultimi anni, come in ogni momento della storia statunitense. Durante il movimento Occupy, iniziato nel 2011, più di 7000 persone furono arrestate il primo anno, molte furono picchiate dalla polizia e maltrattate durante la detenzione, i loro gazebo e librerie fatti a pezzi (12); il movimento Occupy continuò fino al 2014; così il dato di 7000 è un eufemismo).
Inoltre, va ricordato che con tutte le restrizioni alle libertà civili
che vi possano essere a Cuba, rientrano in un contesto particolare: la
nazione più potente nella storia del mondo è a sole 90 miglia di
distanza ed ha giurato, con veemenza e ripetutamente, di rovesciare il
governo cubano. Se gli Stati Uniti erano semplicemente e sinceramente
interessati a fare di Cuba una società meno restrittiva, la politica di
Washington sarebbe chiara:
– Fermare i lupi, i lupi della CIA, i lupi dell’AID, i lupi ruba-medicine, i lupi ladri di giocatori di baseball.
– Pubblicamente e sinceramente (se i capi statunitensi ricordano ancora cosa significa questa parola) rinunciare ad utilizzare CBW e agli omicidi. E chiedere scusa.
– Cessare l’incessante ipocrita propaganda, sulle elezioni, per esempio. (Sì, è vero che le elezioni cubane non hanno Donald Trump o Hillary Clinton, né dieci miliardi di dollari, e neanche 24 ore di pubblicità, ma non è un motivo per ignorarle?)
– Pagare le compensazioni, molte.
– Sine qua non, la fine del blocco demoniaco.
Per tutto il periodo della rivoluzione cubana, dal 1959 ad oggi,
l’America Latina ha assistito a una terribile sfilata di violazioni dei
diritti umani, torture sistematiche; legioni di “scomparsi”; squadroni
della morte sostenuti dal governo che uccidevano individui prescelti;
stragi di contadini, studenti e altri. I peggiori autori di tali atti in
quel periodo furono le squadre paramilitari e associate ai militari di
El Salvador, Guatemala, Brasile, Argentina, Cile, Colombia, Perù,
Messico, Uruguay, Haiti e Honduras. Tuttavia, neppure i peggiori nemici
di Cuba accusano il governo dell’Avana di simili violazioni; e se si
considera istruzione e sanità, “entrambi”, ha detto il presidente Bill
Clinton, “funzionano meglio (a Cuba) che nella maggior parte degli altri Paesi”
(13), garantiti da “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” delle
Nazioni Unite e dalla “Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, sembrerebbe che in
oltre mezzo secolo di rivoluzione, Cuba ha goduto delle migliori
condizioni sui diritti umani in tutta l’America Latina.
Ma mai
abbastanza buono per i capi statunitensi per parlarne in alcun modo; la
citazione di Bill Clinton è un’eccezione in effetti. E’ una decisione
difficile normalizzare le relazioni con un Paese la cui polizia uccide i
propri civili inermi quasi quotidianamente. Ma Cuba deve farlo. Forse
può civilizzare un po’ gli statunitensi, o almeno ricordargli che per
più di un secolo furono i massimi torturatori al mondo.
William Blum, Anti-Empire Report# 144, 11 marzo 2016
Note
1. “Libia: transizione e politica degli Stati Uniti“, 4 marzo 2016
2. New York Times, 28 febbraio 2016
3. Mark Weisbrot, “La Top Ten dei modi con sui si può dire da che parte il governo degli Stati Uniti si è attivato sul colpo di Stato militare in Honduras“, Common Dreams, 16 dicembre 2009
4. Roger Morris, ex-membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza, Partners in Power (1996), p.415. 5. Per una panoramica completa su Hillary Clinton, vedasi il nuovo libro di Diane Johnstone, Queen of Chaos.
6. National Review, 1 maggio 2007
7. Fortune, 9 luglio 2007
8. Patrick J. Buchanan, “Gli oligarchi uccideranno Trump?“, Creators, 8 marzo 2016
9. William Blum, Il libro nero degli Stati Uniti. Guida all’unica superpotenza del mondo (2005), capitolo 14
10. Ibid., p.264
11. Casa Bianca, conferenza stampa, 14 novembre 1997, US Newswire
12. Fabian Escalante, Azione esecutiva: 634 modi per uccidere Fidel Castro (2006), Ocean Press (Australia)
13. Huffington Post, 3 maggio 2012
14. Miami Herald, 17 ottobre 1997, p. 22A
Ogni parte dell’articolo può essere diffuso senza autorizzazione, a condizione dell’attribuzione a William Blum e di un link a Williamblum.org.1. “Libia: transizione e politica degli Stati Uniti“, 4 marzo 2016
2. New York Times, 28 febbraio 2016
3. Mark Weisbrot, “La Top Ten dei modi con sui si può dire da che parte il governo degli Stati Uniti si è attivato sul colpo di Stato militare in Honduras“, Common Dreams, 16 dicembre 2009
4. Roger Morris, ex-membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza, Partners in Power (1996), p.415. 5. Per una panoramica completa su Hillary Clinton, vedasi il nuovo libro di Diane Johnstone, Queen of Chaos.
6. National Review, 1 maggio 2007
7. Fortune, 9 luglio 2007
8. Patrick J. Buchanan, “Gli oligarchi uccideranno Trump?“, Creators, 8 marzo 2016
9. William Blum, Il libro nero degli Stati Uniti. Guida all’unica superpotenza del mondo (2005), capitolo 14
10. Ibid., p.264
11. Casa Bianca, conferenza stampa, 14 novembre 1997, US Newswire
12. Fabian Escalante, Azione esecutiva: 634 modi per uccidere Fidel Castro (2006), Ocean Press (Australia)
13. Huffington Post, 3 maggio 2012
14. Miami Herald, 17 ottobre 1997, p. 22A
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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