Innanzitutto nell'interagire con le persone non ho mai considerato la loro malattia o il loro disagio come il problema centrale e ho sempre istintivamente cercato di non evidenziare i sintomi, conscio del fatto che più a lungo si parla di questi e più a lungo questi persistono.
Ho sempre cercato di non definire me stesso un 'terapeuta' o un 'guaritore', cosa che non sono affatto, e ho sempre tenuto ben lontano dal rapporto con le persone che venivano per dei "trattamenti" tutto quello che credevo di sapere in materia di guarigione, perchè c'era qualcosa in me che sapeva da principio che non ero io a fare il lavoro ma qualcun altro o qualcos'altro attraverso di me.
A un certo punto ho smesso di chiamarli trattamenti e ho iniziato a chiamarle consultazioni o sessioni, che mi sembrava più onesto, meno faticoso e sottolineava che non c'era nessun tipo di terapia in corso, nonostante io voglia ancora un po' credere che sia io con il mio prana a curare le persone.
All'inizio facevo molte letture psichiche alla ricerca delle cause delle malattie e questo era a volte molto funzionale, eppure, molto più spesso, diventava un punto di focalizzazione talmente importante per l'altro da impedirgli la guarigione.
Ho quindi capito che non era questo a poter aiutare davvero le persone, ma faceva molto di più il portarle al 'punto di pace' nel quale potevano lettralmente lasciar andare le parti del loro ego che interferivano con la naturale soluzione del problema.
Dopo aver terminato la scuola di counseling poi, un fatto ancora più incredibile mi è stato evidente: l'energia che inviavo aumentava esponenzialmente quanto più rimanevo in 'ascolto' dell'altro, piuttosto che pensare a cosa dovevo fare e cercare di vedere chakra, organi e colori.
Pensando e ripensando a questi fatti mi sono anche accorto che a volte ottenevo risultati più che apprezzabili anche senza un intervento propriamente 'pranico' solo con la presenza, l'attenzione, l'ascolto empatico e l'incondizionatezza.
Ho capito solo da poco quello che stava succedendo in realtà, specie in quelle consultazioni che andavano (dal punto di vista fisico-visibile per lo meno) meglio delle altre: stava agendo una forza che era inversamente proporzionale al mio grado di attaccamento e alla quantità di nozioni da me possedute.
Ed ho cominciato a vedere con la pratica che quella forza che chiamo 'Amore' è una frequenza generata dalla mia totale attenzione, presenza e accettazione di tutto ciò che c'è in questo momento nella mia consapevolezza, compresa la persona con cui sto lavorando e tutto ciò che questa persona mi sta portando, ed è una frequenza enfatizzata dall'assenza di qualsiasi senso di importanza personale.
Questa frequenza ha il potere di portare equilibrio nello squilibro, quiete nel caos, ha la capacità di generare quel fenomeno di risonanza (entrainment) che rende possibili incredibili risultati terapeutici, a prescindere dalla tecnica usata.
Credo infatti che la tecnica usata sia solo un pretesto per il passaggio di un certo tipo di energia e informazioni, e che non conti solo cosa si fa ma anche e molto come lo si fa. Sono certo che la bravura e l'efficacia di un terapeuta non dipenda unicamente dalla tecnica adottata (o dalla lunghezza della propria tradizione) ma da un fattore che va ben oltre e cioè da quanto riesce a togliere di mezzo sè stesso e tutto il suo ego-bagaglio (tecniche comprese) durante una sessione e che questo può tuttavia essere conseguito solo dopo una grande conoscenza delle tecniche. O come ho sentito spesso ripetere dai miei maestri:
"Dovete studiare e praticare tanto solo per darvi il permesso interiore di fare ciò che già sapete fare"
Andrea Panatta
fonte: http://quantum73.blogspot.it/2010/12/amore-guarigione-e-tecniche.html
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