All’articolo 1 comma 2 della Legge Lorenzin è dichiarato testualmente
A questo concetto è bene ricordare che
dal 1992, ad oggi, ad ogni cittadino è consentito avvalersi delle
disposizioni emanate all’art. 7 comma 1 della Legge 210/92 [pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 6 marzo 1992 n. 55] che riconosce i danni da vaccinazioni obbligatorie
Benché la Legge 210/92 non è mai esposta nei centri vaccinali, come dovrebbe essere, è comunque diritto del cittadino pretenderne il rispetto, quantomeno per poter attuare gratuitamente gli esami pre-vaccinali.
Noi consigliamo in tutti i casi l’esecuzione di dosaggi di anticorpi prevaccinali in genere e l’esecuzione della tipizzazione delle HLA: la nostra carta d’identità biologica.
L’esecuzione di dosaggi di anticorpi prevaccinali in genere rientra fra le “Prestazioni di prevenzione gratuite ai sensi del DM 1/2/1991 in quanto disposte nel prevalente interesse pubblico“, altresì ribadito dall’art. 7 della Legge 210/92 e dall’art. 1 comma 4 lettera b del D.Lgs.124/1998 [quest’ultimo con particolare riferimento alle vaccinazioni raccomandate].
Per effettuare questi esami gratuitamente in regime di SSN occorre quanto segue:
– deve esistere sul territorio un laboratorio che li esegua, azienda ospedaliera oppure laboratorio accreditato [e in Italia ne abbiamo moltissimi];
– deve esserci volontà politica della ASL di recepire il suddetto DM e fornirli ai cittadini, il che si traduce nella stipula di accordi fra la ASL e la struttura erogatrice in cui la ASL accetta di pagare e concorda il prezzo delle prestazioni [tuttavia, essendo una Legge dello Stato c’è poco da sindacare];
– gli esami sono gratis solo se a prescriverli sono i medici funzionari ASL, ossia gli ex ufficiali sanitari, oggi “medici incaricati di sanità pubblica”, tra i quali rientra il medico vaccinatore [pertanto pretendete che si attenga all’art 7 della succitata Legge e se non lo fa chiamate i Carabinieri];
– a questo punto la prestazione risulta esente da ticket per categoria, con codice di esenzione già previsto in tariffario regionale “P03 – Prestazioni specialistiche correlate alla pratica vaccinale obbligatoria o raccomandata“.
Se invece volete attivarvi per fatti vostri, è sempre vostro diritto eseguire questi esami e individuare un laboratorio esecutore al quale potete accedere direttamente, pagando [purtroppo] di tasca vostra [70 €uro circa].
A cosa servono per chi non è stato vaccinato? Questi esami servono per determinare se la persona ha contratto naturalmente la malattia [in forma apparente o inapparente] e risulti immunizzato [quindi protetto] verso uno o più degli agenti microbici in questione, consentendo di procedere ad una scelta personalizzata solo per quegli agenti verso i quali non si rilevi un titolo anticorpale sufficiente.
A cosa servono per chi è stato vaccinato? Questi esami servono per determinare in quella persona l’effettiva efficacia/inefficacia della vaccinazione, consentendo di procedere ad un’altra scelta personalizzata.
La tipizzazione delle HLA, la nostra carta d’identità biologica, rappresenta la valutazione di uno snodo delicatissimo della risposta immunitaria individuale. Infatti,
vari studi dimostrano come possono essere valide le ipotesi che
correlano causalmente gli eventi avversi da vaccino a fattori genetici
dei riceventi. E’ questo il caso della cosiddetta adversomica.
Di fatto, sono stati dimostrati legami con la genetica del ricevente e
la reattogenicità delle vaccinazioni, toccando nel complesso molti
vaccini, tra cui il vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia, la vaccinazione antinfluenzale, la vaccinazione antiepatite B, la vaccinazione anti-vaiolosa, la vaccinazione anti-poliomielite e così via.
Proprio grazie alla tipizzazione delle HLA
è possibile sapere se un neonato ha scritto nel suo bagaglio genetico
che è “non responder” alle vaccinazioni. E probabilmente è per questo
motivo che molti pediatri e/o medici vaccinatori si dimostrano reticenti
nel prescrivere questo esame che consentirebbe di prendere una
decisione libera e consapevole, oltre che scientificamente
inappuntabile.
Le persone “non responder“
La definizione “non responder” viene usata in immunologia per indicare una persona, che, per ragioni diverse, mostra un’incapacità totale o parziale [“low responder”]
a produrre cloni linfocitari attivi e quindi anticorpi, in risposta a
uno stimolo antigenico adeguato. La ragione della mancata risposta può
essere molteplice:
- l’età del vaccinato,
- la via di somministrazione,
- la dose usata,
- l’inattivazione del vaccino,
- una situazione transitoria di anergia
- una vera e propria incapacità genetica a rispondere a quello stimolo antigenico.
Possiamo suddividere i “non responder” in vari gruppi.
Non responder apparenti e transitori
È conoscenza comune che dopo una qualsiasi vaccinazione [morbillo-parotite-rosolia
per esempio] una percentuale di soggetti [intorno al 5%] non mostra
anticorpi specifici, mentre sembrerebbe capace di rispondere bene a una
seconda somministrazione, a distanza di tempo.
Nella maggior parte dei
casi si tratta di un’incapacità temporanea alla risposta nei confronti
di alcuni antigeni da parte dell’immunità adattiva, che viene acquisita
per il morbillo dal nono mese di vita in poi, ma che si completa solo
dopo 2–3 anni di età.
Non responder legati all’uso di antigeni polisaccaridici
Come ormai è stato ben accertato, con la vaccinazione contro l’Haemophilus influenzae tipo b, o contro il meningococco o contro lo pneumococco,
quando viene usato il polisaccaride capsulare da solo, cioè senza
supporto proteico, manca la risposta in bambini al di sotto dell’età di 2
anni, mentre la risposta inizia a comparire nelle età successive, per
completarsi a 5 anni.
Questa mancata risposta immunologica non avviene
solo con i vaccini, ma riguarda anche la malattia naturale, che spesso
proprio per questo, nei primi anni di vita, si manifesta in alcuni con
una gravità estrema.
Non responder veri
Circa il 4% dei soggetti adulti, vaccinati con la vaccinazione anti-epatite B,
non risponde alla vaccinazione. Nel neonato e nei primi anni di vita la
risposta immunologica viene a mancare in un minor numero di soggetti
[2% dei vaccinati]. Ma questi, sia bambini che adulti, a differenza di
quanto potrebbe avvenire con il vaccino morbillo-parotite-rosolia, non sieroconvertono anche dopo ulteriori dosi di vaccino anti-epatite B, o, se la risposta avviene, si tratta di percentuali estremamente basse.
Nei “non responder” è stato trovato un difetto delle cellule T che non proliferano e non secernono IL-2 [interleuchina 2] in risposta alla stimolazione con la vaccinazione anti-epatite
B [Chedid MG et al, 1997].
Successivamente è stato visto che le risposte immuni alla vaccinazione anti-epatite B sono largamente determinate anche da altri HLA, come HLA-DR, –DP e –DQ [Peces R et al, 1997; Desombere I et al, 1998].
Successivamente è stato visto che le risposte immuni alla vaccinazione anti-epatite B sono largamente determinate anche da altri HLA, come HLA-DR, –DP e –DQ [Peces R et al, 1997; Desombere I et al, 1998].
Se ne può concludere che la risposta alla vaccinazione anti-epatite B è sotto controllo genico, esercitato soprattutto dal complesso d’istocompatibilità maggiore e che di conseguenza i “non responder” a questa vaccinazione sono dei veri non responder, geneticamente determinati.
Tutto questo insegna che, malgrado la folle Legge appena emanata, sono almeno tre gli argomenti aperti:
- le varianti virali;
- la durata dell’ipotetica protezione conferita dai vaccini;
- il problema dei “non responder“.
Mentre è facile definire come “non responder”
un soggetto dopo un controllo eseguito a breve distanza dal
completamento del ciclo vaccinale, è invece difficilissimo interpretare
la negatività della sierologia in una persona che ha ricevuto vaccini
nel passato e che non è stata indagata prima e dopo la vaccinazione.
Infatti senza l’esecuzione di prove pre- e post-vaccinazione non è
possibile determinare se la persona negativa rappresenti una vera
insufficiente risposta al vaccino [cioè una mancanza di risposta
iniziale] oppure se gli anticorpi, inizialmente presenti, si siano
negativizzati, al di sotto dei livelli dimostrabili.
È evidente che nel
secondo caso la mancanza di anticorpi non significa una mancanza di
protezione, come sarebbe dimostrato e documentato da una corretta e
completa raccolta dati delle risposte anamnestiche.
E così facendo cadrebbe definitivamente la maschera dell’epidemia farlocca di morbillo. Infatti, ammesso che la copertura vaccinale con la vaccinazione morbillo-parotite-rosolia-varicella sia del 95%, a questa bisogna aggiungere sempre un 5% di “non responder” se la vaccinazione viene eseguita immediatamente dopo il compimento del primo anno di vita: questo
significa che ogni anno, pur raggiungendo livelli elevatissimi di
copertura vaccinale, si accumulerà circa un 10% di suscettibili.
E’ per questo motivo che oggi abbiamo
un’abbondanza di prove che dimostrano come un numero crescente di
bambini e adulti vaccinati per il morbillo, negli Stati Uniti e in tutto il mondo, contraggono continuamente il morbillo anche dopo due dosi di vaccino [Gregory A. Poland et al., 2012; Chih-Jung Chen et al., 2012; Science, 2014].
In altre parole, le vaccinazioni
conferiscono un’ipotetica immunità artificiale temporanea e a volte non
ci riescono nemmeno: questo è il motivo per cui i funzionari della
sanità pubblica raccomandano dosi multiple di vaccini nella convinzione
[errata] di aumentare l’immunità artificiale, senza rendersi conto che
la recrudescenza di talune malattie, a fronte di un periodo di
relativamente bassa incidenza della stesse, è la condizione che ha
caratterizzato – per esempio – il periodo appena trascorso di morbillo e meningite batterica.
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