Le nostre ‘eccellenze militari’
faranno bella mostra di sé in paesi dove sono in vigore regimi
autoritari, e in alcuni di questi sono in corso conflitti armati.
L’impegno dell’Italia dovrebbe invece andare nella direzione della pace e
della diplomazia, e non privilegiare l’industria militare come
strumento di politica estera. Le parole del Ministro Mauro non hanno
convinto nessuno. Né noi né il Parlamento. Sulla portaerei Cavour (il
ministro, ndr) ha rimandato a risposte future e ha aggiunto che l’Italia
non farà il tour dell’Africa per vendere armi. Certo, non direttamente.
Ma, la pubblicità
dei prodotti militari cosa produce?
Arturo Scotto, capogruppo SEL in Commissione Esteri
Si stanziano milioni di euro per
commemorare (celebrare?) un olocausto militare (1914-1918) che ci ha
trascinati fino alle due guerre mondiali successive (1939-1945: Europa e
Pacifico / 1947-1989: ex colonie) e, in prospettiva, a una possibile
quarta guerra mondiale (2014-???). Il tutto nel giro di un secolo.
Ci si chiede di ricordare coloro che sono
morti nelle grandi guerre anche se le nostre commemorazioni saranno
cooptate dai politici per giustificare guerre al terrore o contro gli
“stati canaglia” che diventano un pretesto per spogliarci dei nostri
diritti civili (sì, qualcuno se né accorto) e fare affari.
Siamo tenuti a commemorare soldati che
non sono morti per la patria o per degli ideali, che erano in gran parte
contadini, artigiani e operai che non avevano mai assaggiato il sapore
della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza, della dignità, della
democrazia, che non avevano altra scelta che essere gettati in un
gigantesco tritacarne a beneficio delle ambizioni di una ristrettissima
élite.
Dovremo sorbirci un’altra orgia
nazionalistica dopo quella del 2011 per i 150 anni d’Italia,
un’ubriacatura di simboli e valori come sacrificio, patria, dovere
onore, naturalmente declinati umanitaristicamente – com’è d’uopo nel
terzo millennio –, ma non per questo meno dozzinali e offensivi
per l’intelligenza di una popolazione non più rintronata e analfabeta
come un tempo, che convoglieranno i nostri pensieri ed emozioni nella
direzione desiderata dall’establishment (o una sua parte?): la direzione
dello scontro armato con – tanto per non sbagliare – il resto del
mondo.
Perché, come ci assicura il mai
sorprendente e ormai totemistico Napolitano, in un mondo “sempre più
complesso” ed esposto a “rischi e minacce”, “non possiamo indulgere a
semplicismi e propagandismi che circolano in materia di spesa militare e
di dotazioni indispensabili per le nostre forze armate” (e abbiamo soldi da buttare nei catorci che ci rifilano i nostri soci di maggioranza: Lockheed Martin).
A settembre il nostro ministro della
“difesa” (leggi: guerra), Mario Mauro, per nulla semplicisticamente e
per nulla propagandisticamente, mentre digiunava con il papa contro la
guerra, inviava alla chetichella unità navali nel Mediterraneo
orientale, dove i nostri soldati e quelli francesi attendono di trovarsi
nel bel mezzo dello scontro finale tra Israele ed Hezbollah, non
diversamente da quelli accerchiati in Afghanistan (perché noi,
strategicamente, abbiamo fatto passi da gigante dai tempi di
Stalingrado…e poi gli americani, come i tedeschi del 1942, sanno quel
che fanno: una passeggiata)
Questo è il modo in cui onoriamo i
nostri caduti, preparando un altro sacrificio di massa di giovani
volonterosi e seriamente convinti di essere in missione per conto del
Bene: dulce et decorum est pro patria mori (e per un “mondo migliore”).
Quel Bene che appoggia apertamente il
Trucidatore di massa al-Sisi in Egitto, gli alqaedisti in Siria, le
tirannie del Golfo, i torturatori del popolo greco e tutti i fautori del
neoliberista Washington Consensus.
Il Bene che costruisce gigantesche basi aeronavali a poche centinaia di
chilometri da Shanghai – a Jeju, l’Isola della Pace (!!!) sudcoreana –,
giusto per far capire ai cinesi che si possono fidare di noi e agli
isolani che “business is business” e “war is a business”.
a cura di Stefano Fait per IxR
fonte: http://www.informarexresistere.fr/2013/11/14/business-is-business-e-la-guerra-e-un-business-come-gli-altri-vero-ministro/
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