La prima notizia è che Barack Obama scorrazza impunemente per l’Europa,
senza doversela vedere con manifestazioni di protesta. Obama stringe
mani di “alleati” belanti, nonostante quello che i suoi tagliagole hanno
appena combinato a Kiev, a Odessa, nell’Est dell’Ucraina. L’altra
notizia è che questo spettacolo non piace all’opinione pubblica europea:
un sorprendende sondaggio dell’“Independent” rivela che il 90% degli
inglesi stima Putin, il quale sta agendo in modo legittimo secondo l’ex
cancelliere tedesco Schmidt.
Lo pensano anche milioni di cittadini
tedeschi: la Russia, minacciata dal golpe organizzato dagli Usa
a Kiev, si è dovuta muovere tempestivamente per salvare la sua unica
base navale in acque calde, sul Mar Nero, in Crimea, peraltro decisiva –
meno di un anno fa – per organizzare la protezione della Siria e
scongiurare l’attacco della Nato. Ma, anche in Germania, i media
non stanno dalla parte dei cittadini: quelli che si attengono
semplicemente ai fatti, dice Diana Johnstone, vengono definiti
“Putinversteher”, cioè “persone che capiscono Putin”, individui
stravaganti.
«Non siamo tenuti a capire, noi dobbiamo odiare: i media esistono per questo motivo», dice la Johnstone, autrice del libro-denuncia sulla “crociata dei
dementi” (“Fools’ Crusade: Yugoslavia, Nato, and Western Delusions”).
Mentre l’Occidente si rifiuta ostinatamente di “capire” Putin, annota la
saggista in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”,
il capo del Cremlino sembra comprendere benissimo che lui e la sua
nazione «vengono sistematicamente attirati con l’inganno in una trappola
mortale da un nemico che eccelle nell’arte contemporanea della
“comunicazione”». In una situazione di guerra, «la comunicazione della Nato dimostra che non è importante chi fa cosa: l’unica cosa che conta è chi racconta la storia». E i media
occidentali stanno recitando un copione prestabilito: Putin è il nuovo
Hitler pronto all’invasione. A Odessa, dove i neonazisti anti-russi
hanno organizzato un massacro raccapricciante, «i media
occidentali non hanno notato atrocità, non hanno sentito di alcuna
violenza, non hanno riferito di crimine alcuno. Hanno solamente
condannato una “tragedia” che era appena accaduta in un qualche modo
imprecisato».
Odessa, aggiunge la Johnstone, è la dimostrazione che, qualunque cosa accada, la classe politica della Nato – militari, leader politici e media – punta sulla “sua” storia e si attene ad essa: «I nazionalisti che hanno preso il potere
a Kiev sono i “buoni”, mentre le persone che vengono assaltate a Odessa
e nell’est dell’Ucraina sono “filo-russi” e, di conseguenza, i
“cattivi”». E dire che non ci va molto a “capire” Putin, a patto che si
sappia distinguere tra verità e palesi menzogne. Come quelle che
racconta il ministro degli esteri inglese William Hague, secondo cui la
Russia sta «cercando di orchestrare conflitti e provocazioni» nel sud e
nell’est dell’Ucraina, come se Putin fosse improvvisamente impazzito,
felice di avere una guerra
civile sulla porta di casa e, di conseguenza, i missili della Nato
piazzati a 400 chilometri da Mosca. «Putin può solo desiderare di
trovare una soluzione pacifica al caos ucraino», scrive la Johnstone,
perché sa che il golpe di Kiev è stato una trappola
ispirata da strateghi americani come Zbigniew Brzezinski, il cui sogno è
la caduta di Putin e il potenziale smembramento della Russia.
Per questo, Putin ha aperto un nuovo canale diplomatico con lo
svizzero Didier Burkhalter, presidente dell’Ocse, e ha appena
allontanato l’esercito russo dal confine ucraino, temendo una
provocazione “false flag”, un falso sconfinamento organizzato tra
Washington e Kiev per poi attribuirne a Mosca la responsabilità. Il
ritiro delle truppe ha spaventato i russofoni, che temono di essere
abbandonati dal Cremlino sotto la pressione dell’Occidente, ma Putin si è
anche speso con energia perché fossero evitati i referendum dell’est
dell’Ucraina. Molto serio, peraltro, l’allarme sulla possibile
violazione dei confini: i russi hanno appreso che l’Sbu, il servizio
segreto ucraino, aveva segretamente inviato 200 uniformi russe e i
documenti (falsi) di 70 ufficiali russi a Donetsk, una delle capitali
della protesta, per mettere in scena un falso attacco contro le
pattuglie di frontiera ucraine. Il piano, sostiene l’agenzia di stampa
russa “Ria Nòvosti”, sarebbe stato quello di «simulare un attacco contro
truppe di frontiera ucraine e filmarlo per i media».
Al che, «una dozzina di combattenti dall’ultra-destra nazionalista
avrebbero dovuto attraversare il confine e rapire un soldato russo, al
fine di presentarlo come “prova” dell’incursione militare russa.
L’operazione era prevista per l’8 o il 9 maggio».
Spostando le truppe russe più lontano dal confine, aggiunge la
Johnstone, Putin potrebbe sperare di rendere l’operazione “false flag”
meno plausibile, e magari scongiurarla. Ma non c’è da stare tranquilli,
perché «l’intera operazione ucraina, almeno in parte diretta da Victoria
Nuland del Dipartimento di Stato Usa,
è stata caratterizzata da operazioni “false flag”, tra cui quelle
maggiormente note tramite i cecchini che hanno improvvisamente propagato
i massacri e il terrore in piazza Maidan a Kiev, distruggendo di fatto
l’accordo di transizione sponsorizzato a livello internazionale. I
ribelli “filo-occidentali” hanno accusato il presidente Yanukovich di
aver inviato gli assassini, e costretto il resto del Parlamento a dare
il potere
di governo al protetto della signora Nuland, Arseniy Yatsenyuk.
Tuttavia, sono uscite fuori un gran numero di prove a dimostrare che i
misteriosi cecchini erano mercenari filo-occidentali: prove
fotografiche, seguite dalla dichiarazione telefonica di conferma del
ministro degli esteri dell’Estonia, e infine dal canale televisivo
tedesco “Ard”, il cui documentario del programma “Monitor” ha concluso che i cecchini provenivano dai gruppi di estrema destra anti-russi coinvolti nella rivolta di Maidan».
Tutte le prove conosciute portano a un un’operazione “false flag” da
parte dei fascisti inquadrati dagli americani a addestrati in Polonia,
eppure i media
e i politici occidentali continuano ad addossare tutte le colpe alla
Russia. «Qualunque cosa faccia, Putin deve rendersi conto che sarà
volutamente “frainteso” e rappresentato in maniera distorta». La verità,
conclude Diana Johnstone, è che «sopra le teste del popolo americano,
dei tedeschi, dei francesi e degli altri europei, un accordo privato
per rianimare la guerra
fredda è certamente stato raggiunto tra gli “oligarchi” occidentali, al
fine di garantire all’Occidente un “nemico” abbastanza serio da salvare
il complesso militare-industriale e unire la comunità transatlantica
contro il resto del mondo». Naturalmente, gli oligarchi non stanno con
le mani in mano neppure sul fronte degli affari: Hunter Biden, figlio
del vicepresidente americano Joe Biden, ha appena avuto in dono il
business del gas ucraino. Se non altro, settori sempre più vasti
dell’opinione pubblica “vedono” quello che i media negano: è l’America che cerca di trascinare in guerra la Russia, perché ha interesse a destabilizzare l’Est Europa in vista dello scontro strategico con la Cina. E se il mondo non precipiterà nella catastrofe, almeno per ora, dovrà ringraziare innanzitutto Putin.
fonte: http://www.libreidee.org/2014/05/pagliacci-assassini-vi-raccontano-che-il-cattivo-e-putin/
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