Le chiamano “riforme”, come fossero sinonimo di “migliorie”, secondo
la vulgata mainstream accettata dai media come verità di fede. Ma sono
soltanto le “indicazioni” – leggasi: diktat – che l’oligarchia
euroatlantica da anni reitera all’Italia, a colpi di spread (Mario
Monti) oppure confidando nell’appeal demiurgico di Renzi, che attraverso
il ministro Padoan (Ocse) e con la collaborazione dell’immancabile
“uomo di sinistra”, il ministro Poletti (Lega Coop), propone la stessa
cura-Monti spacciandola per innovazione entusiasmante.
Tutto molto
semplice: smantellare i punti cardine della Costituzione antifascista,
quella che Jamie Dimon (Jp Morgan) ritiene obsoleta, perché tutela
l’interesse pubblico di cittadini e lavoratori contro la legge del
business. Quella che – con l’applicazione del Ttip, il Trattato
Transatlantico voluto dai padroni di Obama e imposto a Renzi – farà
sparire in tutta Europa
le ultime garanzie di tutela su ambiente, salute, lavoro e sicurezza
alimentare, liquidando la qualità del made in Italy. Logica traduzione:
sbaraccare lo Stato di diritto e il “rischio” che possa essere governato
dai cittadini tramite politici onesti che abbiano a cuore l’Italia.
Marco Travaglio lo chiama “il patto Renzi-Berlusconi”, individuandone
la declinazione italiana di oggi, i suoi manovali. Ma è un “patto” che
viene da lontano,
a metà strada tra Wall Street, Bruxelles e Berlino. «Unendo i puntini
delle varie riforme vaganti tra governo e Parlamento, costituzionali e
ordinarie, ma anche di certe prassi quotidiane passate sotto silenzio
per trasformarsi subito in precedenti pericolosi, come le continue
interferenze del Quirinale nell’autonomia del Parlamento, della
magistratura e della stampa, viene fuori un disegno che inquieta»,
scrive Travaglio sul “Fatto Quotidiano”. «Una democrazia
verticale, cioè ben poco democratica: sconosciuta, anzi opposta ai
principi ispiratori della Costituzione, fondata invece su un assetto
orizzontale in ossequio alla separazione e all’equilibrio dei poteri».
Svolta autoritaria: «All’insaputa del popolo italiano, mai consultato
sulla riscrittura della Costituzione, e fors’anche di molti parlamentari
ignoranti o distratti, il combinato disposto di leggi, decreti e prassi
– di per sé all’apparenza innocue – rischia di costruire un sistema
illiberale e piduista fondato sullo strapotere del più forte e sul
depotenziamento degli organi di controllo e garanzia».
Il pericolo, sintetizza Travaglio, è una «dittatura della
maggioranza». Una “democratura”, come direbbe Giovanni Sartori, «a
disposizione del primo “uomo solo al comando” che se ne impossessa,
diventando intoccabile, incontrollabile, non contendibile, dunque
invincibile». Unendo l’ultimo dei “puntini” – il più importante, anche
se Travaglio lo trascura, forse dandolo per scontato – si scopre che il
cervello della manovra per liquidare la residua democrazia
italiana non risiede a Roma, ad Arcore o a Firenze, ma nei centri di
potere economico-finanziari e tecnocratici che negli ultimi trent’anni
hanno logorato senza sosta i gangli vitali della fragile e sgangherata democrazia
italiana, per assoggettarla a regole scritte altrove, nei santuari del
neoliberismo: fine della sovranità nazionale, debito pubblico ostaggio
della speculazione finanziaria, demonizzazione del deficit, taglio della
spesa pubblica e del welfare,
attacco ai salari, flessibilità e precarizzazione del lavoro (Jobs
Act), massacro delle pensioni (riforma Fornero). Tutto questo è avvenuto
grazie all’alibi del debito, in realtà esploso dopo il divorzio tra Bankitalia
e Tesoro nel 1981, che privò di colpo il paese della possibilità di
finanziare il deficit – cioè l’investimento pubblico – a costo zero.
Da allora, tutti i “tecnici” al potere (in prima linea e nelle
retrovie: Draghi, Ciampi, Amato, Andreatta, Prodi, Dini, Padoa Schioppa,
Visco, Treu, Bassanini, Monti) hanno proseguito la missione: dire agli
italiani che “bisogna” suicidare lo Stato, cioè spillare più soldi – in
tasse – di quanti lo Stato non sia disposto a spendere per i cittadini.
“Lo vuole l’Europa”,
naturalmente, ovvero la Germania, interessata a sbarazzarsi della
concorrenza industriale italiana, e lo vuole – da sempre – l’élite
economica euroatlantica, insofferente alla relativa autonomia di paesi
come l’Italia, capaci di sviluppare benessere diffuso (nonostante la
casta corrotta dei politici) proprio grazie alla spesa pubblica
strategica dello Stato, che finisce per fare concorrenza al “mercato”,
ovvero ai signori delle multinazionali.
Sono loro, i “padroni
dell’universo”, gli unici a comandare oggi – a fare le leggi che contano
– grazie alle lobby insediate a Bruxelles e a organismi sovranazionali
pressoché onnipotenti, dal Wto alla Banca Mondiale, dal Fmi alla Bce,
dal Bilderberg alla Banca dei Regolamenti Internazionali. Tutto il
potere che conta è verticalizzato, nel sistema neo-feudale dell’euro, in
mano a poche “menti raffinatissime” che vogliono la morte per fame
dello Stato democratico e la impongono mediante rigore e austerity,
Fiscal Compact, unione bancaria europea, pareggio di bilancio.
Nella sua lunga analisi, Travaglio osserva la traduzione italiana del
piano, affidato a Renzi e Berlusconi con la regia di Napolitano sin dai
tempi di Monti (Goldman Sachs, Commissione Trilaterale) e Letta (Aspen,
Bilderberg). Il fondatore del “Fatto” individua i punti-chiave della
definitiva archiviazione della macchina democratica così come l’abbiamo
conosciuta finora. La spaventosa legge elettorale, battezzata
“Italicum”, che impedirebbe ai cittadini di eleggere i loro candidati.
Il Senato, ridotto a comparsa della democrazia.
La fine dell’opposizione, con l’emarginazione dei parlamentari scomodi
nelle commissioni (il caso Mineo) e una riforma costituzionale che
«disarma le minoranze, istituzionalizzando la “ghigliottina” calata
dalla presidente Laura Boldrini contro il M5S che tentava di impedire la
conversione in legge del decreto-regalo alle banche». E mentre vengono
falciati i poteri di controllo, il capo dello Stato abdica al suo
storico ruolo di garanzia per ripiegare su una «funzione gregaria del
governo», se per eleggerlo
basteranno 33 senatori, dopo che il premier – con la legge-truffa per
le elezioni – disporrà «del 55% dei deputati da lui nominati».
Chi andrà al governo con l’Italicum, continua Travaglio, controllerà
anche la Corte Costituzionale, il Csm, i procuratori della Repubblica:
un’ingerenza mai vista prima del potere esecutivo, che – con le nuove
regole – metterà al guinzaglio il potere giudiziario, proprio come
sognava di fare Licio Gelli. Su tutto, resta ovviamente in piedi
l’immunità parlamentare anche per i neo-senatori “nominati”, cioè
sindaci e consiglieri regionali: «Basterà che un consiglio regionale li
nomini senatori, e nel tragitto dalla loro città a Roma verranno coperti
dallo scudo impunitario, che impedirà ai magistrati di arrestarli,
intercettarli e perquisirli senza l’ok di Palazzo Madama».
Tutto questo
proviene dal giovane Renzi: interessato a “rottamare” la democrazia,
si guarda bene dal toccare le due leggi-vergogna sull’informazione, la
Gasparri sulla televisione e la Frattini sul conflitto d’interessi,
mentre i grandi giornali italiani restano in mano a editori impuri come
«imprenditori, finanzieri, banchieri, palazzinari (per non parlare di
veri o finti partiti, con milioni di fondi pubblici), perlopiù titolari
di aziende assistite e/o in crisi
e dunque ricattabili dal governo, anche per la continua necessità di
sostegni pubblici». Non è strano, quindi, che non raccontino ciò che sta
davvero accadendo.
Addio, cittadini italiani: «Espropriati del diritto di scegliersi i
parlamentari, scippati della sovranità nazionale (delegata a misteriose e
imperscrutabili autorità europee), i cittadini non ancora rassegnati a
godersi lo spettacolo di una destra e di una sinistra sempre più simili e
complici, che fingono di combattersi solo in campagna elettorale,
possono rifugiarsi in movimenti anti-sistema ancora troppo acerbi per
proporsi come alternativa di governo (come il M5S); o inabissarsi nel
non-voto (che sfiora ormai il 50%)». In teoria, la Costituzione prevede
alcuni strumenti di democrazia
diretta, come i referendum abrogativi: «Che però, prevedibilmente,
saranno sempre più spesso bocciati dalla Consulta normalizzata». Restano
le leggi d’iniziativa popolare, peraltro quasi mai discusse dal
Parlamento, ma i “padri ricostituenti” hanno pensato anche a queste,
«quintuplicando la soglia delle firme necessarie, da 50 a 250 mila. Casomai qualcuno s’illudesse ancora di vivere in una democrazia».
Nella peggiore delle ipotesi, l’allarme di Travaglio sarà costretto a
impallidire se il Trattato Transatlantico (che avanza a porte chiuse)
fosse davvero approvato, come vogliono Obama e Renzi, entro la fine del
2015: i giudici italiani non avrebbero più nessun potere contro le
pretese delle multinazionali, pronte a estorcere maxi-risarcimenti a
Stati e governi che osassero opporre leggi a tutela del territorio,
della salute, dei lavoratori e delle persone: le sentenze decisive
saranno emesse da corti speciali, internazionali, costituite da avvocati
d’affari.
E se a qualcuno il “nuovo ordine” non starà bene, l’Unione
Europea – ora guidata dall’impresentabile oligarca Juncker – sta già
addestrando in gran segreto l’Eurogendfor, polizia militare antisommossa
e multinazionale, incaricata di reprimere le proteste: a caricare i
cortei italiani potranno essere agenti francesi e olandesi, poliziotti
spagnoli e portoghesi. Entro due o tre anni, secondo i critici più
pessimisti, la Costituzione italiana sarà ricordata soltanto sui libri
di storia.
fonte: http://www.libreidee.org/2014/07/addio-democrazia-renzi-e-silvio-i-manovali-del-piano/
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