lunedì 20 luglio 2015

Non sarà l'austerità a far ripartire la Grecia


Il direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale ha finalmente detto ciò che ipocritamente, i Governi europei hanno finto di non vedere: l'austerità' e le riforme imposte alla Grecia e accettate dal Parlamento, non consentiranno mai, comunque, ad Atene di poter ripagare tutti i debiti e gli interessi dovuti.

O se ne cancella una parte o il FMI non parteciperà al piano concordato a Bruxelles.

Non vogliamo qui valutare cosa sia giusto e nemmeno discutere di austerità o rilancio. E' ovvio che sia un bene che la Grecia modifichi molte storture esistenti, a cominciare dalle banche e dalle baby-pensioni. Così com'è inaccettabile che la sua economia non ufficiale (con l'evasione fiscale che ne consegue) sia, in percentuale, la più alta d'Europa. Affrontare la realtà significa prendere atto che, dato il ridotto potenziale macro economico del Paese, nessun Governo e nessuna riforma sarà mai in grado, in tempi ragionevoli, di accumulare tanti surplus di bilancio da consentire di rientrare da un debito pubblico vicino a toccare il duecento per cento del PIL.


Che fare dunque? La signora Lagarde ha indicato l'unica strada percorribile e Schauble e la Germania, alla fine, se ne dovranno fare una ragione. Se così non sarà, cosa purtroppo molto probabile, il problema della Grexit e del possibile fallimento è solo rinviato ma, nel frattempo, il costo per tutti gli altri cittadini europei sarà semplicemente divenuto più grande.

Tanti commentatori hanno lamentato come la durezza delle condizioni imposte siano la dimostrazione del fallimento dell'Unione Europea e la mancanza di solidarietà dimostrata dalla Germania e da altri Paesi membri vada contro quella che sarebbe la logica naturale di una vera Unione. Si è ricordato come la stessa Germania, oggi così "virtuosa", abbia goduto di una riduzione del debito estero dopo la fine della seconda guerra mondiale e come, nel 2003, le regole restrittive (massimo del tre per cento) sui deficit di bilancio siano state derogate proprio a favore di Berlino.

Anche nel 2008 la Germania infranse le regole dando aiuti proibiti alle banche tedesche in difficolta'. Si citano poi gli esempi del comportamento italiano del nord verso il sud dell'Italia, della Germania Ovest verso quella Est, degli USA davanti al fallimento della California, del Tennessee e di altri Stati della Federazione americana. In quei casi, gli Stati o le regioni più efficienti intervennero in aiuto dei più deboli, perfino se giudicati scialacquatori e pienamente responsabili dei loro mali, e li aiutarono, salvandoli, a uscire dalla crisi.

Perché, si dice, non è successo lo stesso con la Grecia sin dall'inizio?

La domanda è legittima ma gli esempi riportati a sostegno di comportamenti più solidali, per quanto suggestivi, non calzano con la situazione attuale.

Cominciamo dal deficit.
Nel 2003, Schroeder, allora Cancelliere, lanciò un forte aumento, temporaneo, della spesa pubblica all'interno di un credibile progetto di ristrutturazione globale del mercato interno. Nessun Paese europeo vi si oppose e non, com'è stato detto, per acquisire crediti futuri a proprio vantaggio, ma perché, appunto, il piano era totalmente credibile, con tempi fissi e limitati e la contingenza economica mondiale lo rendeva totalmente realizzabile. Infatti, ebbe successo e la Germania rinacque (disoccupazione: dal 12 % del 2003 al 4 % attuale. Reddito pro capite da 32.000 a 40.000.)

E arriviamo alle "solidarietà" citate.

La differenza fondamentale tra tutte queste situazioni e quella greca è che in quei casi esisteva un Governo centrale e leggi e le decisioni necessarie per affrontare la crisi furono (e lo sono ancora ad es. in Italia) prese da quello stesso Governo, passando in gran parte sulle teste delle autorità locali.

In Europa le cose non funzionano così. Ogni Stato, per quanto membro della sedicente Unione, è autonomo e indipendente e non c'e' alcuna garanzia che decisioni prese o imposte da Bruxelles siano poi applicate in loco. Anche nel caso un Governo nazionale dovesse accettare e fare propri i "suggerimenti", nuove elezioni e una nuova maggioranza potrebbero sconfessarli.

Occorre però aggiungere che, a oggi, se la Commissione o un Consiglio dei Ministri, come quello che ha imposto alla Grecia le attuali condizioni, pretendessero la totale obbedienza da un Governo nazionale non avrebbe un'adeguata legittimità democratica per farlo e, lo vediamo proprio ad Atene, ogni atto potrebbe essere giudicato come un'ingerenza sulla propria sovranità nazionale o come un tentativo di neo-colonizzazione. (Anche se, cito Antonio Polito: la sovranita' nazionale non si difende con i soldi degli altri)

Date queste circostanze, è pura accademia discutere sulla prepotenza della Germania che decide per tutti. A parte le sue colpe precedenti (e quelle delle sue banche), se si chiede a Berlino (e agli altri Paesi) di impegnare soldi dei propri contribuenti senza la garanzia assoluta sul loro impiego è naturale che qualche Schauble di turno possa chiedere perfino l'uscita del Paese debitore dal comune consesso.

Eppure, in questo modo e con queste logiche, è evidente che la definizione Unione Europea è puramente eufemistica. Ha un senso continuare a usarla? Ebbene, ogni singolo Paese europeo, anche la potente Germania, ha tutto l'interesse che l'Europa sia veramente unita perché, nel mondo globalizzato, da soli si finirebbe con il contare nulla e si perderebbe quella massa critica che il Mercato unico aveva promesso e consentito. Gli anti europeisti hanno ragione quando criticano l'inefficienza e lo spreco di risorse cui si deve porre rimedio che fa Bruxelles, ma se non si vuole diventare ininfluenti, la risposta, sia per ragioni strategiche sia economiche, non può essere il ritorno ai singoli nazionalismi.

Le richieste dell’UE sono disumane: abbassamento delle pensioni, privatizzazione di servizi pubblici a favore delle multinazionali, ulteriore riduzione dello Stato sociale
Le richieste dell’UE sono disumane: abbassamento delle pensioni, privatizzazione di servizi pubblici a favore delle multinazionali, ulteriore riduzione dello Stato sociale

Quello che serve, e un uomo lungimirante come Draghi l'ha riproposto recentemente proprio riflettendo sul caso Grecia, è, al contrario, realizzare per l'Europa un salto di qualità rendendo vera nei fatti quel che, per ora, è solo nella parola: Unione.

Anche se la tentazione in periodi di crisi è di perseguire un immediato egoismo credendo così di cavarsela, tutti i cittadini europei che pensano al futuro devono approfittare delle difficoltà per fare una scelta drastica: pretendere che i loro politici mettano urgentemente all'ordine del giorno come, quando e cosa fare per creare una vera Federazione. Sappiamo, purtroppo, che non basta il desiderio di qualcuno e che, per procedere su questa strada, occorrono leader autorevoli che sappiano imporsi, al loro interno, sui più riottosi. (Lo fece Kohl, quando "impose" al recalcitrante Presidente della Banca centrale tedesca il pareggio del marco ovest con quello est sul rapporto di uno a uno e quel presidente si dimise. La storia ci conferma che ebbe ragione).

Per adesso non se ne vedono, ma la saggezza dei popoli deve riuscire a esprimerli al più presto. E chi saprà guidarci entrerà nella storia del Continente come e più di quanto ci entrarono i Padri fondatori. Non preoccupiamoci se i Paesi aderenti saranno ventotto o di meno, meglio pochi che male accompagnati (Gran Bretagna docet).Chi ci starà bene, chi non vorrà invece rinunciare a un'illusoria "indipendenza", si arrangi e "muoia" da solo.

 
Mario Sommossa 
 

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