Quella che si apre, in questa settimana, è una partita a scacchi a
mosse obbligate per entrambi i contendenti. E’ evidente che Tsipras ha
bisogno di una squillante vittoria dei No all’accordo. Se vincessero i
si a lui non resterebbe che dimettersi, la Troika avrebbe vinto e i
partiti di centro cercherebbero di fare una coalizione “europeista”
(magari con una scissione fra i deputati di Syriza) per un governo di
servizio (di servizio alla Merkel, naturalmente). Per Syriza sarebbe una
disfatta e per la Grecia
inizierebbe un calvario ancora peggiore di quello attuale, perché il
referendum legittimerebbe qualsiasi misura, anche la più aberrante.
Magari non da subito, anzi la Troika potrebbe mostrarsi inizialmente più
comprensiva con un governo “moderato” e fare anche qualche regalino,
magari sino a novembre, giusto il tempo di far affondare (o
addomesticare) Podemos, ma dopo sarebbe un crescendo, sino
all’inevitabile default. Si capisce quindi, l’apertura della Merkel (che
tiene d’occhio anche lo slittamento di Atene in campo sino-russo) alla Grecia,
ma non al suo governo attuale e il rinvio della questione a dopo il
referendum. Questa sarà la campagna elettorale della Troika e, per essa,
della Merkel: sbarazzatevi di Tsipras e Varoufakis e ragioniamo.
Fratoianni ha scritto che, anche in quel caso, Tsipras avrebbe
comunque vinto, perché avrebbe dimostrato il ritorno a metodi di governo
democratico; si: peccato che si tratterebbe di una “vittoria morale” e
che il vincitore morale sia sempre quello che ha perso.
Ma a Tsipras andrebbe molto male anche se a vincere fossero i No, ma di
stretta misura: avrebbe una legittimazione limitatissima, dovrebbe fare
i conti con un default, nessuno sottoscriverebbe più alcun titolo greco
e quindi, per far fronte alla situazione, dovrebbe emettere moneta
propria, altrimenti non saprebbe come pagare neppure gli stipendi dei
dipendenti statali, e questo significherebbe implicitamente l’uscita
dall’euro. Ovviamente in condizioni disastrose, con una moneta debolissima e una Ue
e Bce scatenate per punire i ribelli greci. Per di più, una vittoria di
misura significherebbe che Alba Dorata è stata determinante e questo lo
obbligherebbe, di fatto, ad una qualche intesa su quel lato
(allegria!).
Di fatto, l’unica speranza di non affondare sarebbe quella di un
rapidissimo soccorso russo e cinese. Unica via d’uscita relativamente
più agevole, una forte vittoria dei No, che lo incoraggerebbe a tener
duro ed, in qualche modo, scaricherebbe una parte delle tensioni sulla Ue,
costringendola su posizioni meno oltranziste. Sarebbe comunque un
momento difficilissimo, perché ugualmente si prospetterebbe il default e
l’uscita dalla moneta, ma sarebbe più facile gestire le cose con un popolo
greco compatto dietro le sue spalle.
Per ora i sondaggi sono
sfavorevoli al No (e gioca evidentemente la paura di cosa accadrebbe
tornando alla Dracma), ma non è detto che in questi giorni non ci sia un
recupero: i greci sono un popolo
orgoglioso e questo potrebbe bilanciare le paure. Ovviamente, noi
facciamo il tifo per il No, ma la partita, bisogna dircelo, per ora è
abbastanza compromessa e qui si capisce perché la “furbata” di aver
promesso l’euro e la fine dell’austerità non è stata una grande idea.
(Aldo Giannuli, “Grecia, il gioco che si profila”, dal blog di Giannuli del 28 giugno 2015).
http://www.libreidee.org/2015/06/promise-felicita-nelleurozona-cosi-ora-tsipras-e-nei-guai/
http://blogs.ft.com/brusselsblog/files/2015/07/ESM-loan-agreement-prior-actions-amend-30.06.2015-1.pdf
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