“La Serbia non ha intenzione di aderire alla NATO “, ha proclamato il presidente serbo Tomislav Nikolic, “ma intende cooperare con l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (SCO) qualificata da alcuni analisti come la NATO russa”. Data la confusione oggi esistente fra NATO e UE, è facile capire che Belgrado ha archiviato anche la sua candidatura a entrare nell’Unione, che risale al 2011.
La chiusura delle sue frontiere all’invasione dei profughi chiamati dalla Merkel, mette la Serbia di fatto nel campi anti-europeista, con il Gruppo di Visegrad e persino con l’Austria. L’allargamento a marce forzate della UE ad Est, in obbedienza agli interessi strategici Usa, ha trovato il suo punto d’arresto: essere “in Europa” non attira più.
E Belgrado sa che una simile presa di distanza gli costerà, che Bruxelles fulminerà sanzioni economiche – è tutto quel che sa fare – contro l’insubordinata. Non importa, i serbi tireranno la cinghia. E’ la fedeltà alla loro vocazione storica e al loro destino manifesto ad essere in questione.
Dall’altra parte del continente e, per così dire, della civiltà, la regina Elisabetta, – certo amicissima della NATO – avrebbe espresso scetticismo verso la UE. Lo ha rivelato il Sun: sarebbe avvenuto nel 2011, in un battibecco con l’allora vicepremier Nick Clegg. ““l’Ue sta andando nella direzione sbagliata”, disse la sovrana. La Casa ovviamente ha smentito, e si capisce. Ma è la dinastia che profondamente ha sempre interpretato la nazione, unita all’istinto di sopravvivenza della quasi unica monarchia ancora esistente, e la più antica, che ha parlato: “La UE sta andando nella direzione sbagliata”. E come dar torto a The Queen?
In questa Europa a guida tedesca, chi riceve il benvenuto è la Turchia. Quella di Erdogan, islamista e dittatoriale. Senza farle l’esame del sangue sull’adesione “ai nostri valori”. Ci siamo dovuti sorbire per mesi le lodi mediatiche e politiche alla Cancelliera, generosa lei, lungimirante, che “accoglieva” i profughi; lei sì che interpretava i nostri valori.
Altro che generosa: appena visti i sondaggi che rischiano di farle perdere le elezioni statali, la signora ha implorato il despota di Ankara di riprenderseli, e subito subito. Ha accettato tutte le condizioni, ha firmato gli assegni di 18 miliardi (6 all’anno) a nome della UE, ha promesso l’entrata senza visto dei 70 milioni di turchi nella UE: frontiere aperte, natiche spalancate.
E Bruxelles? Ha accetto tutto. Un accordo stilato fra Angela e il Turco che non solo è vergognoso, ma sarà inapplicabile tanto è demenziale. Su Russia Today, il giornalista Pierre Lévy (nome interessante: un ex del quotidiano comunista Humanité) ha elencato i sette peccati capitali di qusto accordo:
1 – Il patto “Un siriano contro un siriano” (ossia: la Turchia ci manda un profugo legale per ogni immigrati illegale che gli rimandiamo) non ha senso alcuno. 2 – E’ contrario ai principi giudici del diritto internazionale e può essere impallinato da un ricorso dell’Onu. 3 – Dovrà essere ratificato dagli stati europei. Budapest ha già detto che opporrà il veto, Matteo Renzi che nell’accordo deve essere evocata la libertà di stampa che Erdogan sta sopprimendo. E come godremo le discussioni che susciterà in Francia una tale approvazione.
4 – Chi paga i tre miliardi supplementari? Bella domanda: la Merkel ha preso l’impegno anche a nostro nome. La conosciamo abbastanza per intuire che farà pagare il conto agli europei, suoi satelliti.
5 – Come farà Hollande (per esempio) a mantenere lo “stato d’emergenza anti-terrorismo” liberticida che è riuscito ad imporre ai francesi (fino al punto che un insegnante che ha approvato l’intervento russo in Siria è stato interrogato dalla polizia), ora che 72 milioni di islamici turchi potranno entrare nello spazio Schengen senza visto e senza controllo?
6 – Silenzio sulla vera causa della crisi, che è la guerra che l’Occidente ha imposto al regime siriano da 5 anni, in complicità con Erdogan e i sauditi; anzi, opposizione e sabotaggio dell’intervento russo che sta per riportare la pace nel paese, che sarebbe la soluzione: i profughi tornerebbero a casa loro.
7 – Il paradosso della nuova configurazione politica dell’Europa: Berlino si ritrova contro quasi tutti, e un vero nuovo amico: Ankara. Ed anche Atene, l’Atene di Tsipras che ha brutalizzato finanziariamente ed è alla sua mercè, dovendo aderire all’accordo con Ankara – il nemico ereditario – e sotto l’ombrello di Berlino, per non diventare definitivamente la sala d’aspetto di un milione di profughi bloccati sul suo territorio.
Una “nuova configurazione politica” UE che non potrebbe essere più contro-natura. Di una ambiguità morale ripugnante. A Bruxelles, i ministri europei hanno appena prolungato di altri sei mesi le sanzioni contro la Russia, col pretesto che s’è incamerata la Crimea, che sostiene i separatisti del Donbass, e che Putin è autoritario. Ebbene: Erdogan non è più autoritario? Non sopprime la stampa?
Non sta massacrando la sua minoranza, i curdi, in una guerra spietata? Non è islamista e non ha fatto affari col Califfato? Non sta sabotando l’unità dello stato siriano? Eppure a lui niente sanzioni, anzi libretto degli assegni e natiche aperte. Improvvisamente, i “Nostri Valori” appaiono fatti di plastilina, deformabili secondo che faccia comodo ai tedeschi; i continui richiami di Bruxelles ai paesi membri a tener fermo sui principii, normative e direttive, un ridicolo ed odioso atto di dispotismo, un classico dell’arbitrio.
E’ veramente un grande successo, il decennio dell’egemonia tedesca sulla UE: ha dato la voglia di uscirne alla Regina e a Belgrado, gli svizzeri hanno cancellato la loro candidatura, gli stati che hanno chiuso le frontiere abolendo Schengen, in modo unilaterale, sono ormai 7; la Svezia (che ha chiuso i suoi confini) propone di sbattere fuori da Schengen gli stati che non accettano di accollarsi le loro quote, che la Merkel continua a imporre; la Polonia è in rivolta; persino lo storico condominio – la storica combutta – tedesca con Parigi viene meno, se Hollande ha provato a mettersi d’accordo con Renzi per formare (tardivamente) un gruppo dei meridionali con egemonia francese. “Non abbiamo più politica, ci dirigiamo verso l’anarchia”, esala il ministro degli esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, satellite di Berlino che più satellite non si può.
Un’Europa post-storica, in decomposizione
Se “egemonia” significa capacità di “comandare” nel senso di “unire” attorno a un progetto politico comune (1), quella della Merkel si può definire come un’anti-egemonia: ha spaccato e diviso anche le unità più solide e alienato i satelliti più fedeli. Nella stessa Germania impera la divisione: alle prossime elezioni, AfD (“destra xenofoba”, nella lingua di lego burocratica) prenderà percentuali a 2 cifre. A spese – paradossalmente – non tanto della dc merkeliana, quanto dei socialdemocratici,con cui Angela ha in corso la GrosseKoalition di governo. Il terrore dei progressisti germanici è tale, che uno dei suo più rispettati ideologi , Wolfgang Streeck (Sociologo dell’economia e docente all’università di Cologna), ha potuto scrivere: Per salvare l’Europa, bisogna togliere il tabù sulle nazioni”.
La sinistra, dice il professore – e sembra di sognare – deve riconoscere che le nazioni non sono il problema, ma la soluzione nella crisi europea: “Finché il governo tedesco facendosi forte del diritto europeo, può far prescrivere da Bruxelles percentuali crescenti [di islamici] a paesi come la Polonia e la Danimarca legittimando la ristrutturazione delle proprie popolazioni con un’immigrazione illimitata, questa Europa è condannata a sparire. E se la sinistra insiste ad opprimere col suo disprezzo culturale i suoi antichi elettori [che oggi votano partiti “xenofobi e sovranisti”] l’Europa, invece di rifondarsi in modo relativamente ordinato, si decomporrà in modo caotico, come conseguenza della stagnazione economica e dell’immigrazione illimitata”.
“Ecco i nostri valori, immigrati”
La decomposizione dell’Europa, come si vede, è all’ordine del giorno: si tratta di vedere se sarà caotica o ordinata. Sarà ordinata solo se si torna alla “cooperazione” fra “le patrie”, ammette il pensatore dello SPD, dicendo no al “Super-stato”. Un po’ tardi. E’ un’interessante ammissione culturale, il riconoscimento che la Germania ha tradito in tutti i modi il suo destino manifesto, a cominciare da quello che la chiamava ad integrare la Russia in un’Europa delle patrie? E’ ancora una presa di coscienza debole.
Più profonda l’analisi di Jacques Sapir: “I dirigenti europei hanno coscientemente costruito delle istituzioni incomplete, di cui l’euro è il miglior esempio, sperando che le crisi nascenti da questa incompletezza spingerebbero i popoli a consentire sotto l’emergenza a quel che si erano rifiutati di accettare in modo ragionato”.
E’ esattamente la tattica che Angela Merkel ha spinto all’estremo, obbligando – “ve lo chiede l’Europa – i paesi europei ad accettare le quote di immigrati che lei non voleva, che non servivano al suo progetto di sostituzione demografica. Ha fallito, e il suo fallimento è morale ancor più che politico. Quanto sia aberrante, lo mette in chiaro John Laughland, il più profondo critico della “idea” europeista: “Lo scopo della politica migratoria è palesemente quello di farla finita con le nazioni, perché accettare che la popolazione europea che invecchia possa essere rimpiazzata da nuove popolazioni uscite dall’immigrazione, equivale a supporre che si possono ristrutturare i popoli europei fino a farli scomparire, facendo dell’Europa uno spazio post-istorico, tenuto insieme solo dai “diritti dell’uomo”, da cui si vede che i dirigenti si liberano alla svelta, quando si tratta di perseguire le loro convenienze geopolitiche”.
E’ da questa Europa “post-istorica” unita da direttive false e valori di gomma (o di cacca) che la Regina Elisabetta sente di dover salvare la sua nazione, e se stessa. Spiace essere d’accordo con la perfida Albione, ma se anche Belgrado e Budapest sono d’accordo, c’è da consolarsi, e seguire l’’infallibile istinto britannico di sopravvivenza: alla larga da questa UE, e presto!
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Note
- Ricordo la definizione di “comando” per Ortega y Gasset: “Comandare vuol dire assegnare un compito alle persone (e ai popoli), metterli sulla via del loro destino, sul cardine; impedire la loro dissipazione”. E “quest’obbligo non è nuda violenza, ma suppone un programma attivo, un compito comune che si propone ai gruppi dispersi […] Prima di tutto, è un progetto d’azione e un programma di collaborazione. Si chiamano persone e gruppi dispersi perché nell’unione realizzino un’impresa”. Da qui si può valutare l’illegittimità del progetto europeista, parodia occulta e tecnocratico del comando.
Maurizio Blondet
fonte: http://www.maurizioblondet.it/via-questa-ue-the-queen-la-pensa-belgrado/
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