Professore
dell’Università Nazionale delle Ricerche – Scuola Superiore di
EconomiaIl colpo di Stato di destra in America Latina, senza dubbio ha
un significato globale, cambiando radicalmente la mappa politica del
mondo nel prossimo futuro. E’ discutibile che gli Stati Uniti, non senza
difficoltà, abbiano eliminato il famigerato “piano boliviano”
trascurando il controllo della situazione politica nel “cortile di
casa”.
Se togliamo dalla questione come l'”alternativa boliviana” sia
una realtà e quanto limitata ne siano state le PR, e se togliamo dal
dibattito se la Russia poteva apparentemente “salvare” un regime amico,
cercheremo di tracciare diverse conclusioni dalla situazione, al di là
delle specifiche “caratteristiche regionali”. E se nessuno dubita della
presenza della “mano di Washington” in America Latina, vedremo in Russia
e nel mondo ciò che ha dimostrato l’amministrazione statunitense.
Questi sono gli attuali “limiti del potere” degli Stati Uniti.
Innanzitutto, gli USA mantengono la capacità di manipolazione politica
ed economica globale, ma Washington ha solo risorse organizzative
sufficienti per un paio di grandi operazioni alla volta. Si noti in
parallelo al cambio dei regimi di “sinistra” in America Latina, laddove a
prescindere dalla retorica “Bolivariana” hanno mantenuto quasi tutti i
sistemi mediatici, gli statunitensi potevano agire attivamente solo
sull'”orientamento atlantista”, controllando importanti organizzazioni
politiche ed economiche (ad esempio la NATO).
Allo stesso tempo, gli
Stati Uniti hanno dovuto attuare la “primavera araba” e i piani di
rafforzamento del controllo sui governi dello spazio post-sovietico,
tuttavia le loro manovre anticinesi sono limitate principalmente alle
manipolazioni dei mercati finanziari e all’intensificarsi della
propaganda. Anche con la Russia, dopo minacce e pressioni politiche
vacue del 2014, Washington ha dovuto iniziare a parlare cortesemente. In
secondo luogo, gli Stati Uniti non hanno i mezzi per cambiare i regimi
“una volta per tutte” neanche in America Latina.
Le operazioni per
neutralizzare un “colpo di sinistra” nella regione furono effettuate per
oltre un anno e mezzo, e difficilmente sarebbero riuscite senza la
catastrofica caduta dei prezzi delle materie prime.
E anche nel caso
dell’Argentina, per esempio, si doveva evitare qualsiasi attività
manipolativa “violenta” o aperta, in attesa di un “vero e proprio”
cambio di governo. In ogni caso, non si può parlare di sorprese
strategiche. Gli Stati Uniti hanno abbastanza risorse organizzative per
cambiare praticamente qualsiasi regime ostile, ma farlo richiede molto
tempo, pianificazione accurata ma ancora più importante, è costoso. In
ultima analisi, Washington dovrà aiutare sul serio i suoi pupazzi
affinché non falliscano, altrimenti l'”onda di ritorno”, in particolare
in Brasile, può trasformarsi in uno tsunami.
In terzo luogo, anche in America Latina gli Stati Uniti non potevano permettersi un intervento diretto o un colpo di Stato militare. Sono stati costretti ad agire col sostegno della società civile, anche se avessero avuto tutti i mezzi, almeno in Argentina, Venezuela e anche Bolivia per attuare un altro “colpo di Stato militare”. Tale variante gli avrebbe consentito, nell’arco di diversi anni, di ristabilire la reputazione di “poliziotto mondiale”, capace di mettere a “sangue e ferro” per assicurarsi i propri interessi. Tuttavia, gli Stati Uniti sono costretti ad affidarsi a forze interne ed interessi economici e sociali che i “regimi di sinistra” hanno alienato.
Ma soprattutto,
Washington s’è allontanata dal modello delle “rivoluzioni colorate”. La
legittimità dei processi politici è diventata componente importante
della strategia statunitense, anche in Venezuela, dove esistono già
tutti i presupposti per una classica “rivoluzione colorata” o comparsa
di qualche “giunta patriottica”. E tale cambiamento dovrebbe
probabilmente essere visto come cruciale.
In quarto luogo, il declino dell'”alternativa boliviana” è avvenuta non solo perché gli Stati Uniti hanno “rovesciato” regimi non leali. Per parafrasare un classico: un governo non può essere rovesciato se non vacilla. Le elezioni in Argentina e le massicce manifestazioni in Brasile e Venezuela hanno dimostrato tendenze reali nell’opinione pubblica. Il principale fattore di cambiamento politico è l’incapacità dei regimi locali di costruirsi il sostegno pubblico che avrebbero potuto avere con le loro operazioni sociali, comportando la ridistribuzione della “rendita delle risorse” verso relazioni economiche durevoli. Ahimè, la rendita è stata per lo più “mangiata” e non ha dato a Venezuela o Brasile nuove relazioni economiche o una rinnovata crescita economica durevole.
Molto probabilmente molti sostenitori
aperti delle autorità, anche se non sono passati all’opposizione, in
qualche modo si sono “dispersi”.
In quinto luogo, lo strumento chiave utilizzato dagli Stati Uniti negli ultimi anni contro i regimi indesiderati si è rivelata la guerra alla corruzione. Gli Stati Uniti hanno mostrato la capacità d’incorporare aspetto interno e globale della guerra alla corruzione al processo politico. Naturalmente, gli Stati Uniti hanno preso su di sé le funzioni di pubblico ministero e giudice; è improbabile che nel prossimo futuro qualcuno possa rimuoverli dal podio della lotta alla corruzione. Specialmente quando si considerano le caratteristiche della situazione economica nel mondo.
Così, nei prossimi anni aumenterà la pressione su
Russia e alleati. Gli statunitensi hanno accumulato una ricca “banca
dati fattuale”. E per aumentare la stabilità di un regime si dovranno
tagliare i “legami” tra malcontento verso la corruzione nel Paese e
pressione anticorruzione interna globale. In questo modo, la strategia
per “nazionalizzare l’elite”, definita a suo tempo da Vladimir Putin,
diventa una questione di sicurezza nazionale.
Per la Russia, tuttavia,
va considerato il seguente fatto: quando il problema dei regimi infedeli
in America Latina perderà urgenza per gli Stati Uniti, appariranno
modifiche nelle loro risorse organizzative e politiche, sufficienti a
garantirsi che gli statunitensi possano prestare maggiore attenzione
allo spazio post-sovietico. Pertanto, anche col coinvolgimento degli
Stati Uniti nel suo spettacolo pre-elettorale, che questa volta potrebbe
divenire una vera e propria lotta, va ricordato che il periodo di
“pausa pacifica” per l’élite russa giungerà al termine.
Quale altra
lezione di strategia ci ha dato il crollo dell'”alternativa boliviana”?
Credo che sia l’insieme di seguenti elementi: il crollo della
“alternativa boliviana” è il crollo dei tentativi d’integrazione, e
preservando a stessi, élite e Paesi nel sistema economico e di relazioni
politiche USA-centriche, la PaxAmericana, delle “condizioni decenti”.
Attualmente gli USA non negoziano “condizioni” con alcuno. Gli USA di
oggi sono troppo deboli per farlo, hanno bisogno di alleati senza
condizioni, senza fastidi e senza idee.
Izvestija, 24/05/2016 – Southfront
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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