L’11 novembre, il Ministro delle Finanze
egiziano Amir al-Garhy riferiva che la Repubblica araba d’Egitto (RAE)
avrà un prestito da 12 miliardi di dollari dal Fondo Monetario
Internazionale. L’Egitto, che affronta una grave crisi economica, ne ha
un disperato bisogno. Il 40% degli oltre 80 milioni di cittadini del
Paese è sulla soglia della povertà, mentre il 51,2% dei giovani è
disoccupato. Nel novembre 2016, questa spiacevole situazione s’è
ulteriormente deteriorata.
A causa dei problemi finanziari, deficit di
bilancio e condizioni dure stabilite dal FMI per la concessione dei
prestiti, il Presidente egiziano Abdalfatah al-Sisi ha dovuto
liberalizzare la lira egiziana (il tasso di cambio è sceso a 18 lire per
dollaro dalle 12 lire precedenti) e aumentare bruscamente i prezzi di
benzina, gasolio e olio combustibile. E’ un passo piuttosto rischioso
alla vigilia dell’inverno, soprattutto quando il Paese importa molta
energia e prodotti alimentari.
Questa misura disperata è dovuta a
diverse circostanze. Cominciamo con il fatto che la situazione economica
è peggiorata per via del terrorismo scatenato dai Fratelli Musulmani
dopo il rovesciamento del loro capo M. Mursi, nell’estate 2013, che ha
portato a una forte riduzione dei ricavi del turismo e al deflusso degli
investimenti, le più importanti fonti della ricchezza del Paese. Ma
questa non è l’unica ragione.
Il grave deterioramento della situazione è
stata in parte causata dalla sospensione dell’invio delle 700 mila
tonnellate di gasolio, benzina e olio combustibile dall’Arabia Saudita a
condizioni preferenziali (un prestito al 2% annuo, con 3 anni di
sospensione) a fine settembre. Come è ben noto, questi accordi, così
come la promessa dell’Arabia Saudita di aiutare l’Egitto con 24 miliardi
di dollari, sostenendo la lira egiziana, furono raggiunti durante la
visita di re Salman a Cairo ad aprile.
All’epoca, la visita fu definita
storica. Riyadh, che è anche in difficoltà economiche per il calo di
quasi tre volte del prezzo del petrolio dalla fine del 2014, ha
accettato queste spese per una serie di motivi. La ragione principale è
che la monarchia saudita considera l’Egitto strumento principale per
contrastare influenza iraniana in tutte le forme. Il rovesciamento del
regime dei Fratelli musulmani fu sostenuto da Riyadh per il timore che
Mursi sviluppasse rapporti con Teheran, considerato principale nemico
geopolitico, economico, ideologico e militare di Riyadh. Con il
versamento dell’enorme somma a Cairo, la monarchia saudita voleva certe
garanzie in cambio. Prima di tutto, le isole Tiran e Sanafir, dalla
posizione strategica nel Mar Rosso nei pressi del Golfo di Aqaba.
Controllarle significa che controllare le navi che entrano ed escono dai
porti di Israele e Giordania, così come il traffico di petroliere
(anche iraniane) attraverso il canale di Suez. Un altro importante
obiettivo era incoraggiare l’Egitto a sostenere l’Arabia Saudita nello
Yemen, dove Riyadh attua una dura campagna militare, senza possibilità
di vittoria, dal marzo 2015. Le forze aeree egiziane infatti aderirono,
ma solo imponendo una zona di non volo nello Yemen finora. In ultima
analisi, sfruttando i problemi economici di Cairo, i sauditi volevano
subordinare l’Egitto ai propri fini e costringerlo ad abbandonare le
pretese di leadership nel mondo arabo e passarla a Riyadh.
Gli ultimi sei mesi hanno dimostrato che i sauditi sono insoddisfatti dal comportamento della leadership egiziana, che ha preso il denaro ma non ha adempiuto alle aspettative. Come si è scoperto, gli egiziani non cederanno le isole nel Mar Rosso al “legittimo proprietario”. Mentre secondo i media ufficiali Tiran e Sanafir hanno sempre fatto parte dell’Arabia Saudita e furono prestate all’Egitto nel 1950, i leader dell’opinione pubblica in Egitto hanno altre versioni: l’Accordo sui confini marittimi firmato tra Egitto ed Impero ottomano nel 1906 riconosce la sovranità dell’Egitto su queste isole. Di conseguenza, il trasferimento delle isole passa ai tribunali. Il Tribunale amministrativo dell’Egitto, del Consiglio di Stato della RAE, ha confermato la precedente decisione del tribunale che invalida l’accordo siglato ad aprile sul trasferimento delle isole all’Arabia Saudita, e l’appello del governo è stato respinto.
Tuttavia, la Commissione di
Stato ha contestato queste decisioni, e la Corte sulle questioni urgenti
ha sospeso la decisione del Tribunale amministrativo a settembre. Anche
se il governo riesce a cambiare la situazione entro il quadro
giuridico, l’opinione pubblica in Egitto si oppone fermamente al
trasferimento delle isole e al-Sisi deve tenerne conto. Inoltre,
l’Egitto non ha cambiato posizione nei confronti della crisi yemenita e,
a quanto pare, non ha aumentato il contributo alla campagna militare
nello Yemen. Nel frattempo, l’Arabia Saudita non vuole che i suoi
soldati vi combattano. Cairo non segue le contorsioni diplomatiche
saudite neanche in Libia.
Dal giugno 2016, il Capo di Stato Maggiore
delle Forze Armate libiche, il maresciallo Qalifa Balqasim Haftar. non è
più gradito a Riyadh, mentre Cairo l’usa attivamente per creare una
zona cuscinetto al confine con Fratellanza musulmana, SIIL, al-Qaida
ed altri gruppi terroristici provenienti da tutto il mondo e che hanno
occupato la Libia occidentale (Tripolitania). Tuttavia, la goccia che fa
traboccare il vaso per la famiglia reale saudita è il voto dell’Egitto
al progetto di risoluzione russa sulla Siria al Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite, ad ottobre (Cairo è un membro non permanente) e il
riavvicinamento aperto tra Cairo e Mosca, che arriva all’addestramento
militare congiunto con i russi, “non autorizzato” da Riyadh e alla
decisione di acquisire gli elicotteri russi Ka-52 per le portaelicotteri
Mistral originariamente costruite per la Russia, ma in seguito
acquistate dagli egiziani con fondi sauditi (secondo voci nelle due
capitali). Inoltre, Cairo ha rifiutato di condannare le azioni delle
forze aerospaziali russe ad Aleppo, come richiesto dall’Arabia Saudita.
Tuttavia, le sanzioni all’Egitto dei sauditi hanno avuto un effetto
contrario su Cairo. Il tasso della lira potrebbe cadere e la situazione
economica deteriorarsi, ma l’Egitto non abbandona la politica estera
indipendente. Piuttosto al contrario.
Il maresciallo Qalifa Balqasim
Haftar ha risolto parte dei problemi sui carburanti, controllando i
principali campi petroliferi della Libia in estate. Il resto dei
problemi può essere risolto con rifornimenti da altri Stati, tra cui il
nemico di Riyadh, l’Iran, o addirittura l’Azerbaigian (un protocollo
d’intesa è stato firmato con la SOCAR dellAzerbaigian). Non è un caso
che il 6 novembre siano apparse voci sulla visita imminente del Ministro
del Petrolio dell’Egitto Tariq al-Mula in Iran. Non sono state ancora
confermate, ma non c’è fumo senza fuoco… la leadership egiziana
sicuramente vede che l’alternativa al riavvicinamento con l’Arabia
Saudita esiste…
La rottura tra i due Paesi non è ancora aperta, la ricerca di un terreno comune e del compromesso è in corso, dimostrato dalla mediazione attiva svolta dagli Emirati Arabi Uniti che danno un forte sostegno alla leadership egiziana. Ma è già chiaro che la vittoria di D. Trump incoraggerà al-Sisi nell’intento di ripristinare il ruolo storico dell’Egitto a leader del mondo arabo, e Riyadh non dovrebbe farsi illusioni su ciò.
Pogos Anastasov New Eastern Outlook 21/11/2016
Pogos Anastasov, scienziato politico e orientalista, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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