mercoledì 23 novembre 2016

Merkel vincerà. Fino alla disfatta finale.


Se le primarie non sono state truccate (vai a sapere), i francesi hanno scelto in Francois Fillon il candidato perfetto. Perfetto per intercettare i voti di Marine LePen al secondo turno, quando lei –  vittoriosa al primo – sarà sconfitta al ballottaggio dal fronte ‘antifascista’ che si forma regolarmente, quando, per far argine al pericolo nero, tutti i gauchiste si buttano a votare (turandosi il naso) il candidato di centro-destra. 

Perfetto anche per stringere cordiali rapporti con il nuovo inquilino della Casa Bianca. Infatti Fillon è per levare le sanzioni alla Russia, riannodare buoni rapporti con Putin, e in tempi non sospetti ha accusato Arabia Saudita e Katar di finanziare il terrorismo islamico, al contrario di Hollande. Basta dimenticare che Fillon era primo ministro sotto Sarkozy e in quella  veste ha bombardato la Libia (ma allora era necessario eliminare le tracce dei finanziamenti di Gheddafi al marito di Carla Bruni), ed ecco un presidente parigino adatto al nuovo corso internazionale.
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Ad intercettare l’elettorato del Front National, Fillon non ha solo la posizione amichevole verso la Russia.

Ha anche in programma la revisione delle unioni civili: vuole sopprimere la possibilità di adozione piena di bambini alle coppie sodomitiche.  

Vuole ristabilire gli assegni familiari universali: “La famiglia è il fondamento della nostra società, e non è ammissibile che le famiglie siano penalizzate da una politica fiscale ingiusta verso di loro”.

Le sue idee sull’istruzione? “Il fallimento della scuola è legato al mancato insegnamento dei fondamentali. Non è colpa degli insegnanti ma di una casta di pedagoghi pretenziosi che hanno imposto programmi scritti nel loro gergo e hanno preso in ostaggio i nostri figli in nome dell’egualitarismo ideologico”. Ci sono attualmente in Francia 300 mila posti di lavoro che non trovano addetti, nonostante la disoccupazione di massa, per mancanza di qualifiche dei candidati: Fillon ha promesso di risolvere il problema. Vuole anche più nucleare civile, non meno.

Ha promesso di passare al setaccio la funzione pubblica “per cancellarne tutti i vantaggi indebiti”, di portare l’orario degli statali da 35 a 39 ore, di ridurne il numero di mezzo milione, di strizzare dall’amministrazione pubblica 15 miliardi di risparmi. Inoltre vuol ridurre la spesa pubblica di 100 miliardi in cinque anni: e ciò a disciplinare dei pubblici dipendenti, che in Francia non sono nemmeno lontanamente inefficienti, parassitari, disonesti e in eccesso come la nostra Casta. Poi ha anche  minacciato leggi che rendano più facili i licenziamenti nel privato e ridurre i sussidi di disoccupazione in modo da spingere i disoccupati a impiegarsi.

“Farà le riforme” come chiede Merkel


Insomma, Fillon si è impegnato a “fare le riforme” che Renzi (e prima di lui Monti, Bersani, Letta, Berlusconi) non hanno fatto. Ci sarebbe da invidiare i francesi. Senonché, i commenti più autorevoli sono piuttosto negativi. “Fare le riforme” significa, secondo Emmanuel Todd, “sottoporre il paese a una cura thatcheriana nel momento in cui il resto del mondo comincia a fare il contrario – cura che sarà totalmente prona ai diktat di Bruxelles”.

Non vuole mettere in discussione la moneta unica”, rincara Jaques Sapir, e cita lo studio del Fondo Monetario secondo cui l’euro in Francia è sopravvalutato del 21 %, mentre in Germania è sottovalutato del 5%. Questo squilibro nel regime di parità fissa obbligatoria, rende inutile ogni dolorosissima “austerità”: con uno scarto simile, la Francia non sarà mai competitiva. .

Da qui si vede il terzo motivo per cui Fillon è un candidato perfetto: andrà d’accordo con Bruxelles, e con quella che comanda a Bruxelles e impone le austerità e le “riforme”. Quella Angela Merkel che s’è ricandidata per la quarta volta.

“Ma per fare cosa?”, ha chiesto in un sardonico commento Romaric Godin, giornalista economista per le questioni UE dell’economico La Tribune. “Con quale programma? Si cercherebbe invano in lei un pensiero di futuro. Nella sua dichiarazione di candidatura non ha nemmeno sfiorato i grandi temi: l’integrazione dei migranti, il calo demografico, la situazione preoccupante della zona euro sempre impiombata dal gigantesco attivo corrente tedesco”… di fatto, non ha idee né visioni. E nemmeno ne ha avuto bisogno:  perché Angela ha eliminato  tutti i suoi  oppositori interni al partito, alla sua destra.

Persino Wolfgang Schauble, il mastino delle Finanze, che  pure è molto popolare, non ha osato sfidarla durante la sua peggiore crisi, quella dell’ondata dei migranti. Essendosi sbarazzata di tutti gli avversari, “non c’è alternativa ad Angela Merkel – e questa assenza di alternative è tutto il suo programma”.

Le sue maniere discrete e la sua (falsa) modestia non devono trarre in inganno, dice Godin, che la studia da vicino da anni: “E’ una strategia politica”. Si presenta ancora una volta (come già nella campagna 2013) non come la donna delle meraviglie che fa miracoli, ma  come la Mutti, capace di proteggere la Germania. “Farà la campagna su un solo punto: se stessa.  Senza niente promettere né compromettersi  in niente, adotterà la parola più amata in Germania: la ‘stabilità’. “In un mondo sempre più insicuro, la cancelliera è garanzia di stabilità”, ha detto il presidente CDU dello Hesse.

“La prima cosa, dovrà mostrare che la sola vera azione politica ardita che ha preso, l’accoglienza di un milione di emigranti, è chiusa. I tedeschi vogliono finirla. Vogliono il ritorno alla  ‘stabilità’. Le frontiere tedesche sono di fatto ben chiuse.

L’Europa? Si sforzerà di preservare l’esistente, il più favorevole all’economia tedesca. Saranno i partner che dovranno adattarsi e riformarsi. L’immobilismo sarà la scelta politica: “Il blocco delle riforme in Germania sarà totale”, ha  valutato Gabor Steingart, caporedattore di Handelsblatt (il giornale economico principale): “Merkel ha delegato tutte le sue decisioni: alle generazioni future il sistema sociale, al portinaio Erdogan la sicurezza  interna, a Mario Draghi il salvataggio dell’euro”. Il buco nero Deutsche Bank, ecco un altro problema che ha evitato accuratamente anche solo di toccare. “Ma  i tedeschi non chiedono altro: la stabilità, il perdurare di questo presente che vedono come un compimento”. Mutti avrà Francois Fillon  come il “governatore della Regione Francia”. E i tedeschi la rivoteranno.

“Stabilità”, ottobre 1918
Solo, la “stabilità” che vogliono mi ricorda  da vicino quella dei fronti nell’autunno 1918. Da mesi, non avveniva “nulla di nuovo sul fronte occidentale”: i comandi francesi non osavano ordinare un nuovo assalto alle truppe dissanguate, sapendo che avrebbero risposto con l’ammutinamento e la rivoluzione bolscevica. Il fronte orientale era stato sigillato a marzo dalla pace di Brest Litovsk firmata da Lenin. 

Nemmeno un centimetro di terra patria era stata occupata dai nemici. La Germania era, si può dire, stabilmente invitta. Si sarebbe accontentata di far perdurare il presente, in cui vedeva un compimento.
Ai primi di ottobre, il feldmaresciallo Hinderburg e il generalissimo Ludendorf, circonfusi di gloria militare si presentarono al governo civile con una richiesta urgente: dovevano chiedere alle potenze nemiche un armistizio, ed urgente. L’Oberste Heeresleitung (Direzione suprema degli Eserciti, OHL) non riteneva possibile un ritardo se non di qualche giorno.

Il governo civile – che aveva lasciato praticamente tutto il governo ai suoi feldmarescialli gloriosi, e da borghesi stavano un po’ in soggezione davanti a loro –cadde dalle nuvole. Ma come? Ma se i fronti sono stabili…? L’OHL si degnò di spiegare a quei borghesi: “Nonostante le misure prese, l’effettivo dei nostri battaglioni è passato da 800 ad aprile a 540 a settembre […] Le perdite della battaglia in corso sono maggiori delle attese, specie per gli ufficiali. Solo la chiamata della classe 1900 potrà accrescere ancora una volta sola gli effettivi di battaglioni con cento teste […] A  quel punto le nostre riserve umane saranno esaurite. Il nemico, grazie all’aiuto americano, è in grado di rimpiazzare le sue perdite.   Le nostre riserve sono attualmente alla fine”.

Hindenburg, Ludendorf e il Kaiser
Hindenburg, Ludendorf e il Kaiser: vittoriosi fino all’ultimo. 
Londra aveva spedito un milione di uomini ad occupare la Palestina (in mano ottomana), secondo le promesse a Lord Rotschild di creare là “un  focolare ebraico” (mossa che l’OHL, se la conobbe, sicuramente avrà deriso come militarmente senza senso); in cambio, come promesso, i banchieri ebrei avevano fatto entrare in guerra gli Usa. Soldati di qualità militare zero rispetto al soldato tedesco; solo che arrivavano a centinaia di migliaia sul fronte occidentale. E i comandi tedeschi avevano, semplicemente, finito le generazioni da mandare nella fornace.

L’Oberste Heeresleitung  aveva condotto la guerra con tecnica perfezione, senza il controllo dell’intelligenza politica – ed ecco i risultati. Quattro anni di invincibilità, e l’ottobre 1918 dovettero chiedere la resa senza condizioni.

Il governo cadde, e arrivarono i socialisti. Vollero la repubblica. Il Kaiser Guglielmo II resisté qualche ora, proponendo di abdicare ma salvare la monarchia; gli fu detto: allora sarà guerra civile. Il 9 novembre, il Kaiser comunicò: “Per evitare spargimento di sangue, sua maestà abdica in quanto imperatore tedesco, ma non come re di Prussia”. Segno comico e patetico della sua impoliticità, pensava di potere regnare ancor in Prussia, mettere indietro gli orologi della storia.

Ho l’impressione che la UE, sotto Mutti, finirà così. Di vittoria in vittoria, fino alla disfatta finale.


Maurizio Blondet


fonte: http://www.maurizioblondet.it/7625-2/

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