“Sarai libero quando riconoscerai che la Pura Coscienza
che proprio ora ascolta, è la tua Vera Natura.
Rimani solo così nel normale stato dell’Essere.
La tua essenza è già perfetta.”
(Nisargadatta Maharaj)
Avere
informazioni sulla vita di un maestro spirituale può aiutarci a
comprenderlo meglio, ma nel caso di Nisargadatta Maharaj è diverso,
perché la sua vita non è affatto eccezionale. Inoltre, egli era
contrario a parlare del suo passato. Riferendosi agli eventi della sua
vita, Maharaj afferma: «Questa è una materia morta - morta come le
ceneri di un fuoco estinto. Non mi interessa. Perché dovrebbe
interessare voi?» E aggiunse: «C’è forse qualche passato? Invece di
sciupare il vostro tempo in una inutile impresa, perché non andate alla
radice della questione e indagate sulla natura del Tempo stesso? Se lo
farete, scoprirete che il Tempo non ha sostanza in quanto tale, ma è
soltanto un concetto.»
A
causa di questa reticenza a parlare di se stesso abbiamo poche notizie
sulla sua infanzia. Dagli amici intimi e dai parenti stretti sappiamo
che Nisargadatta Maharaj nasce a Bombay nel marzo del 1897 durante il
plenilunio che coincise con la festa di Hanumat Jayanti. Fu chiamato
Maruti perché - per gli induisti - questo periodo è dedicato al culto
del dio-scimmia citato nel Ramayana chiamato Hanumat o Maruti. Sappiamo
che il padre si chiamava Shivrampant Kampli e che era di famiglia povera
e che aveva lavorato come domestico a Bombay prima di improvvisarsi
piccolo proprietario terriero e di trasferirsi con la famiglia in un
piccolo villaggio tra i boschi del distretto di Ratnagiri, in
Maharastra.
Qui
Maruti crebbe con poca istruzione perché conduceva le bestie al
pascolo, lavorava nei campi e faceva piccoli lavori in casa. Ma il
ragazzo aveva il dono di una mente acuta, vivace e curiosa. Suo padre
aveva un amico bramino, un uomo devoto e molto più istruito della media
chiamato Visnu Haribhau Gore, con cui si intrattiene a parlare di
argomenti religiosi, mentre il giovane li ascoltava con grande
interesse. Sappiamo che per il giovane Maruti, il saggio Visnu Haribhau
Gore diventò il simbolo dell’uomo ideale, cioè l’uomo gentile, saggio e
onesto.
Quando
ebbe diciotto anni, il padre muore lasciando una vedova, due figlie e
quattro figli in gravi difficoltà economiche, perché la loro fattoria
non produceva abbastanza cibo per tutti. Allora il fratello maggiore
andò a Bombay per cercarsi un lavoro e, subito dopo, anche Maruti lo
seguì e si impiegò per qualche mese come impiegato, ma restò disgustato
dall’essere sfruttato e si dimise. A quel punto, Maruti decise di
avviare un commercio e aprì un piccolo emporio dove vendeva abiti da
bambini, tabacco e sigarette fatte a mano.
Nel
tempo la sua attività migliorò garantendogli una certa tranquillità
economica, perciò Maruti si sposò e gli nacquero un figlio e tre figlie.
La sua vita giunse alla mezza età senza eventi particolari tranne
l’essere stato un padre di famiglia, infatti sappiamo che non c'erano
indizi che mostrassero la sua eccezionalità. In questo periodo, tra i
suoi amici più cari c’era un certo Yashwantrao Baagkar seguace di un
maestro della corrente induista del Navata Sampradaya: Sri
Siddharameshwar Maharaj. Una sera l’amico lo condusse dal suo guru, e
l’incontro segnò il punto di svolta nella sua vita.
Sri
Siddharameshwar Maharaj gli assegnò un mantra e le istruzioni per
praticare la meditazione. E, da subito, Maruti ebbe delle visioni
durante la meditazione e talora andò in trance. Durante la pratica
qualcosa gli esplose dentro e la sua identità si dissolve nella
consapevolezza universale mentre entrava nella dimensione della vita
eterna, come disse lui stesso. Da quel momento finì di esssere Maruti e
divenne Nisargadatta Maharaj.
A
proposito di questo fatto, disse che all’origine della sua
realizzazione c’era stata la sua fede totale nel suo guru. Disse che:
«Il maestro, il discepolo, l’amore e la fiducia tra loro sono un
tutt’uno, non una serie di fattori separati - e poi aggiunse che - se
mancasse anche uno di questi componenti, non ci sarebbe la luce» e poi
affermò che se siamo capaci «di avere fede e di obbedire si troverà un
vero guru. O meglio, egli ti troverà.» Dopo la sua Realizzazione egli
iniziò a vivere una doppia vita, infatti continuò a gestire il suo
negozio, ma ormai era divenuto troppo diverso dall’uomo che era stato in
passato.
Non
aveva più la mentalità del commerciante orientato al profitto
materiale, per cui decise di lasciare tutto e indossò gli abiti del
pellegrino e andò nei luoghi sacri dell’India. A pieni nudi prese la via
della montagna e arrivò fino all’Himalaya dove aveva deciso di
trascorrere il resto della sua vita in meditazione. Ma, quando fu
arrivato in quei luoghi, comprese che la sua scelta era assurda, perciò
decise di ritornare in famiglia. Comprese che, una volta che si è giunti
nella dimensione della vita eterna, il luogo in cui si vive è
indifferente, perché la vera realtà è sempre presente.
Maharaj
insegnava che la coscienza è il solo “capitale” con cui nasce l’essere
senziente: questa è la situazione apparente. La vera situazione è che
“ciò che nasce è la coscienza che ha bisogno di un organismo per
manifestarsi, e quell’organismo è il corpo fisico.” L’essere senziente
possiede solo il senso di esistere, egli sa di essere presente, sa di
essere la coscienza cioè è consapevole di essere lo spirito che anima la
struttura fisica del corpo. La coscienza individuale si mostra solo in
forme mutevoli per cui sorge il concetto di “ un io separato.”
In
ogni individuo si riflette l’Assoluto sotto forma di consapevolezza,
perché è così che la pura Consapevolezza diventa consapevolezza o
coscienza di sé. L’universo è un continuo fluire in cui si proiettano
innumerevoli forme materiali. Ogni volta che una forma viene infusa di
prana ossia di energia vitale, la coscienza appare come un riflesso
della Consapevolezza Assoluta che si riflette nella materia. La
coscienza è un riflesso dell’Assoluto sulla superficie della materia,
poiché la pura Consapevolezza può diventare coscienza soltanto se usa un
oggetto materiale in cui può riflettersi.
Tra
la Consapevolezza e la coscienza, dice Maharaj, esiste una frattura che
la mente non può attraversare. La coscienza è vincolata al Tempo, per
cui scompare quando il veicolo fisico finisce, ma resta il “capitale”
con cui nasce l’essere senziente. La coscienza è la sola connessione con
l’Assoluto, perciò è l’unico strumento per mezzo del quale l’essere
senziente può sperare di trovare una illusoria liberazione
dall’individuo che crede di essere un io.
Per
mezzo dell’unione con la sua coscienza e considerandola l’Atma ossia il
suo Dio, l’essere senziente può conseguire ciò che si ritiene
impossibile. Se sappiamo realizzare questa unione entriamo “nello stato
originario in cui siamo puro essere-consapevolezza-beatitudine” ma
“quando veniamo in contatto con la coscienza, siamo soltanto la
testimonianza (totalmente separati) dei vari movimenti della coscienza.”
Maharaj superò questo concetto di essere un corpo differenziato, e la
sua mente fu perennemente ricolma di gioia, di pace e di magnificenza.
Nisargadatta
era un semi-analfabeta e tale restò per tutta la sua vita, ma i suoi
insegnamenti sono più illuminanti delle dottrine degli studiosi più
famosi. I suoi discorsi ci sono restati per merito della registrazione
dei dialoghi che ebbe con i numerosi visitatori che venivano da tutta
l’India e da tutto il mondo per conoscerlo. Maharaj parlava solo
marathi, e un suo seguace lo accompagnava per tradurre le sue parole.
Ma, le traduzioni non riescono a rendere lo spirito acuto e spiritoso e
la ricchezza del suo linguaggio e, tanto meno, possono rendere l’idea
dell’espressività del suo sguardo oppure il suo gesticolare.
Il
suo discepolo e traduttore, Ramesh Balsekar, scrive che la principale
caratteristica dei suoi discorsi era la loro totale spontaneità, infatti
nessun argomento veniva selezionato in anticipo ma tutto veniva
improvvisato al momento. Le parole e le frasi usate dal Maharaj avevano
“un’elasticità che ogni volta dona loro una freschezza esilarante.”
Nisargadatta non aspettava che la stanza si riempisse di persone, ma
iniziava a parlare a voce alta quando ne aveva voglia anche solo per
poche persone.
Se
voleva parlare di qualcosa, iniziava a parlare anche per un solo
visitatore a cui esponeva il suo insegnamento. Quando avveniva in questo
modo, non si capiva se parlava a se stesso o se aspettava una risposta
dal suo interlocutore. Se doveva incontrare un nuovo visitatore gli
chiedeva di lui e del suo retroterra familiare, gli chiedeva da quanto
tempo era interessato alla ricerca spirituale, e le ragioni specifiche
della sua visita. Questo approccio così intimo gli era necessario per
capire come potesse aiutare al meglio ogni singolo visitatore, ma
Maharaj era preoccupato che la sua risposta fosse di aiuto anche per
tutti i presenti.
In
altri casi, cioè quando qualcuno gli chiedeva di parlare in modo
confidenziale, si sedeva vicino a lui per parlare con più agio. Ramesh
Balsekar racconta che egli ascoltava attentamente, sempre sereno e
silenzioso. A volte lo scintillio dei suoi occhi dimostrava - e gli
intimi lo sapevano bene - che sarebbe iniziata una sortita verbale che
avrebbe sgonfiato la presunzione degli ignoranti che venivano a
“testare” il livello di realizzazione che aveva conseguito. Se qualcuno
cercava di sviare il discorso dal tema principale, Maharaj riportava il
filo del discorso nel solco giusto.
Ramesh
rivela anche che era anche un superbo attore, perché i suoi lineamenti
erano molto mobili e i suoi grandi occhi erano molto espressivi. La sua
voce vibrante era supportata dall’espressività, perché usava anche dagli
effetti gestuali e sonori per aiutare la comprensione di ciò che
diceva. Una volta parlò delle età della vita umana davanti a un attore
professionista straniero che restò incantato dalla sua brillante
esibizione di mimica e retorica.
Maharaj
lo fissò con il suo ironico sguardo scintillante e disse: «Sono un
bravo attore, vero? - e aggiunse - So che hai apprezzato questa mia
piccola esecuzione. Ma ciò che hai visto ora non è nemmeno una parte
infinitesimale di ciò che sono capace di fare. L’intero universo è il
mio palcoscenico. Non soltanto recito, ma costruisco il palcoscenico e
tutto l’equipaggiamento; scrivo la sceneggiatura e dirigo gli attori.
Sì, io sono l’unico attore che assume i ruoli di milioni di persone e,
ancor più importante, questo spettacolo non finisce mai!”
Buona erranza
Sharatanfonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/11/nessuno-nasce-nessuno-muore.html
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