“Incontrando il maestro per strada,
non dovete parlare,
non dovete rimanere in silenzio.
In che modo lo salutate?”
(da: Zen flesh, Zen bones)
"Molti
trasformano tutto ciò che accade, soprattutto nei rapporti, in un
problema da risolvere. Presto ogni giorno diventa una corsa a ostacoli
che dobbiamo saltare per superarli. Alcuni preferiscono rimandare
l’azione finché non hanno sviluppato una strategia e pianificato i
risultati. Vogliono sapere esattamente con che cosa hanno a che fare
prima di compiere il minimo gesto. E c’è anche chi non osa avventurarsi
fuori dell’ambiente familiare, degli amici o della routine per paura di
andare incontro a sorprese.
Farsi
trovare impreparati è il loro incubo peggiore. Li spaventa non
conoscere la risposta ‘giusta’ da dare. ‘Sbagliare’ diventa un disastro.
Tutto ciò che fanno è inquinato dalla paura delle conseguenze. Le loro
paure e i loro timori diventano particolarmente paralizzanti nell’area
dell’amore, dove i rapporti vengono immediatamente trasformati nel
problema supremo della vita. i rapporti rappresentano la maggiore
possibilità di fallimento, ma anche il premio più grande : l’amore.
Vedere
l’esistenza come qualcosa da conquistare o da controllare non porta a
una vita d’amore, ma solo alla continua ricerca di sicurezza. Ma la vita
non è una sicurezza, così come non sono sicuri i risultati programmati
dalla mente razionale… Dobbiamo scoprire un modo nuovo di stare con i
problemi. Se lo facciamo, scopriamo che in realtà non esistono problemi,
che sono semplicemente dei koan che la vita ci presenta.
Un
elemento fondamentale della pratica zen sono infatti i koan: essere
pronti a riceverli e imparare a risolverli… Quando uno studente zen
raggiunge una buona esperienza di pratica, riceve un koan dal maestro.
Il koan è un problema o un indovinello apparentemente insolubile, come
ad esempio: ‘Ascoltare il suono di una mano sola’ oppure ‘Mostrami il
tuo volto originario prima della nascita dei tuoi genitori.’
I
koan sfidano la logica, non possono essere risolti dalla mente
razionale, e la risposta non è mai una frase fatta o un’affermazione
scontata. Più li analizziamo razionalmente e più manchiamo il bersaglio.
Ciò nonostante dobbiamo portare una risposta al maestro. Noi diciamo
che se non risolviamo il koan, o non cogliamo l’essenza della nostra
vita, abbiamo perso una grande occasione e potremmo non arrivare mai a
scoprire chi siamo.
Una
volta ricevuto il koan, lo studente fallisce un’infinità di volte.
Esattamente come nei rapporti c’è un senso di stupidità, frustrazione e
vergogna. Peggio ancora, sente che il guaio in cui si è venuto a trovare
non ha una soluzione. Una parte del processo di soluzione del koan sta
nell’imparare a lavorarci sopra, imparare a lasciare che sia la
soluzione a trovare noi. Tutti devono confrontarsi con un senso di
stupidità e di vergogna prima di imparare ad abbandonare il modo
abituale di affrontare le cose.
Per
superare il koan (per imparare ad affrontare i problemi insolubili
nella vita e nei rapporti) dobbiamo fare un passo davvero radicale:
cambiare completamente la nostra visione del mondo e vedere i
condizionamenti su cui si fonda. La nostra valutazione di ciò che è
giusto si basa sulla mente razionale e su ciò che ci dicono i sensi.
Osserviamo, misuriamo e definiamo per avere la padronanza e il controllo
delle cose.
Pensiamo
che dando una certa forma al mondo ricaveremo forza, potere e
controllo. Ma quello che in realtà facciamo è impegnare la maggior parte
della vita in cose che già conosciamo. Ci affidiamo a discipline come
la psicologia, la sociologia o la teologia nella speranza che qualcun
altro ci fornisca risposte e pareri autorevoli. Ricorriamo a sacerdoti,
rabbini e psicoanalisti per capire meglio la vita. se non lo facciamo,
abbiamo paura di rimanere ciechi.
E,
in un certo senso, è vero. La conoscenza scientifica e oggettiva ha la
sua funzione e la sua utilità, ma non è in grado di guarire un rapporto
lacerato, né restituirci la fiducia nell’amore. Dove la scienza finisce,
inizia l’amore. L’amore non è oggetto di osservazione scientifica,
perché non ha forma… Per raggiungere la comprensione in questo campo,
per risolvere i koan che la vita ci presenta, dobbiamo smettere di
cercare le risposte nel mondo della logica.
Dobbiamo
rivolgerci invece alla nostra esperienza profonda, che non ci farà
capire di più, ma essere di più. Non usiamo solo il cervello, ma tutto
il nostro essere. Non usiamo solo il cervello, ma tutto il nostro
essere. È così che possiamo imparare a vivere i rapporti portandovi
forza, semplicità e bellezza. La saggezza interiore ci dice che,
nonostante i problemi in apparenza insolubili, tutto è per il meglio.
Per entrare in contatto con la saggezza interiore dobbiamo porre un
nuovo tipo di domande, vedere la vita e gli eventi con occhi diversi.
Non
cerchiamo più di modellare o controllare la nostra esperienza, né di
darle una spiegazione logica. Stiamo semplicemente con l’esperienza, vi
facciamo amicizia, e lasciamo che sia l’esperienza a insegnarci e a
guidarci. In un certo senso, ciò di cui stiamo parlando è la via
dell’umiltà, che esige la forza di lasciar andare il bisogno di
controllare noi stessi e il mondo, e di ammettere che non siamo noi i
più forti. C’è qualcosa di più grande di noi, e dobbiamo soltanto
imparare ad entrare in contatto con questo qualcosa per trovare le vere
risposte.
Platone
diceva che nasciamo sapendo tutto, e che la vita è un continuo processo
di dimenticanza. Dimentichiamo da dove veniamo e dove andiamo.
Dimentichiamo il motivo per cui siamo qui, su questa Terra meravigliosa.
Ma, lavorando al koan, ricordiamo a poco a poco la conoscenza che è
sempre stata nostra. Nei momenti di crisi, di dolore e tristezza, è
fondamentale imparare a ricollegarci con la nostra sorgente interiore di
forza e di saggezza. I koan ci mettono in grado di farlo, perché sono
lo specchio in cui vedere noi stessi."
(Brenda Shoshanna, Lo zen e l’arte di innamorarsi, Ed. Il Punto d'Incontro)
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/11/risolvere-il-koan_13.html
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