“Il mio cuore si consuma a poco a poco
malato di desiderio,
legato a un animale destinato a morire,
che non sa di che si tratti… “
(William Butler Yeats)
“Si
può affermare forse che il disagio più grande che nasce dalla
disattenzione, dalla sconnessione, dalla percezione e attribuzione
erronea di cause è l’angoscia tipica della condizione umana: la piena
catastrofe, quando la si evita e non la si esamina. Tutti, in pratica,
hanno qualche «desiderio appena sussurrato» più o meno forte che
proviene dal profondo della psiche, tutti hanno una vera vita segreta,
una vita piena di sogni e di possibilità che di solito tengono nascoste.
Ne
consegue una grande sofferenza: spesso manteniamo il segreto per tutta
la vita, senza neanche immaginare di essere complici di un auto-inganno
che può essere gravemente autodistruttivo e rovinarci la vita. il vero
segreto qual è? Che in realtà non sappiamo chi o cosa siamo, tante sono
le preoccupazioni e finzioni in superficie, tanti sono gli atteggiamenti
costruiti interiori ed esteriori dietro ai quali ci nascondiamo per
mantenere all’oscuro noi stessi e tutti gli altri.
Perché
non è vero, forse, che in certi periodi ci si riempie il cuore di una
quantità apparentemente infinita di desideri insoddisfatti che lo
manovrano, perfino lo tormentano? Desideri grandi e piccoli, a
prescindere da quanto successo e agio ci si possa attribuire da fuori? E
non è vero che siamo vagamente consapevoli, a un livello sotterraneo
della psiche, di essere davvero «legati a un animale destinato a
morire?» e non sappiamo chi e che cosa siamo, in realtà?
In
tre righe, Yeats cattura tre aspetti fondamentali della condizione
umana: uno, che siamo insoddisfatti e che ne soffriamo; due, che siamo
soggetti a malattia, vecchiaia e morte, la legge inesorabile
dell’impermanenza e del continuo cambiamento; tre, che ignoriamo la vera
natura del nostro stesso essere. Non è arrivato il momento di scoprire
che siamo già più vasti di quel che ci consentiamo di credere? Non è
tempo di scoprire che è possibile abitare questa conoscenza più ampia e
magari liberarci dell’angoscia profonda dell’abitudine persistente a
ignorare ciò che più conta?
Io
direi che è tempo già da un bel po’ e quindi adesso è il momento
migliore per questa scoperta. È vero, ogni tanto potremmo percepire i
segni del nostro disagio sotto forma di vaghi turbamenti interiori; ogni
tanto (di rado) potremmo perfino averne una visione momentanea, quando
ci svegliamo disorientati e spaventati nel cuore della notte o quando
una persona cara soffre molto o muore, o quando la nostra vita nel suo
insieme ci si rivela all’improvviso in tutta la sua evidenza come se,
fino a quel momento l’avessimo sempre e solo immaginata.
Ma
non è vero anche che, appena possiamo, ci rimettiamo a dormire,
letteralmente e metaforicamente, e ci anestetizziamo con un diversivo
qualunque? Questo disagio umano di fondo, di cui parla Yeats, questo non
sapere chi siamo, sembra troppo enorme per poterlo sopportare; dunque
lo seppelliamo nel fondo più segreto della psiche, ben lontano dalla
luce della piena coscienza. Come abbiamo visto, spesso ci vuole una
crisi acuta per risvegliarci a esso e alle possibilità di guarire
davvero, di liberarci dal buio della paura e della rimozione.
L’allontanamento
dai segni più profondi della nostra umanità ci fa soffrire molto nel
corpo e nella mente: possiamo sentirci consumati, per usare il termine
di Yeats, letteralmente «divorati» e quindi rimpiccioliti (in tanti modi
diversi), perché trascuriamo la piena realtà di ciò che siamo o magari
non la conosciamo neanche o non ne abbiamo convinzione, né chiarezza.
In
sostanza, questo dis-agio, questa malattia dell’inconsapevolezza, del
non sapere ciò ch’è davvero essenziale nella nostra natura di esseri
viventi, influisce sulla nostra vita di individui in ogni momento e
anche nel corso dei decenni. Può produrre effetti a breve e a lungo
termine sulla salute fisica e mentale; influenza inevitabilmente la vita
familiare e lavorativa, in modi che spesso non si vedono, né si
scoprono se non dopo anni, quando si è già prodotto un certo tipo di
danno e si sono seguite senza volerlo vie poco sagge.
La
sua presenza si riversa anche sulla società e la influenza, tramite i
modi collettivi di considerare se stessi e agire nella professione;
pervade le nostre istituzioni e le forme che scegliamo di dare agli
ambienti, interiori ed esteriori, in cui viviamo. Tutto ciò che facciamo
è influenzato, in un modo o nell’altro, dal fatto che ignoriamo il
malessere di non sapere chi siamo e come siamo. È l’afflizione suprema,
questa, la malattia suprema. In quanto tale dà origine a molte varianti,
a molte diverse manifestazioni d'angoscia e sofferenza a livello del
corpo, della mente e del mondo.”
(Jon Kabat-Zinn, Riprendere i sensi, TEA ed.)
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