Frasi come “l’anno in corso porta al
mondo nuove e impreviste sfide” si trovano spesso negli articoli che
tentano di prevedere gli eventi del prossimo anno. La banalità della
frase non può escludere il fatto che si applicherebbe al 2017 forse più
che mai negli ultimi due-tre decenni. L’immagine del nuovo gioco globale
iniziatosi a formare subito dopo la fine della guerra fredda, per
tentativi ed errori, apparirebbe chiaro quest’anno. Caratteristica
principale e più significativa è che il centro del gioco, tra Europa e
Atlantico per secoli, passa nella regione Asia-Pacifico.
La prova di
questo processo irreversibile vede l’inutilità della NATO, evidente a
tutti (quasi senza eccezione), e della sua controllata Unione europea;
due dinosauri della guerra fredda condannati all’estinzione, nonostante
gli sforzi disperati compiuti negli ultimi due-tre anni per continuarne
l’inutile esistenza (tranne che per certi gruppetti dell’Europa
orientale e certi ambienti in Russia).
Nuovi attori principali appaiono
nel nuovo gioco globale che si sviluppa nella regione Asia-Pacifico. In
effetti, uno di questi attori era già presente: gli Stati Uniti, il cui
ruolo sulla scena mondiale dovrà affrontare cambiamenti radicali
quest’anno. A tal proposito, l’elezione di Donald Trump a presidente
degli Stati Uniti (che sembra conseguenza di coincidenze assurde e
“complotti”) riflette le esigenze dello Stato di recente formazione.
Gli
altri due attori importanti sono Cina e Giappone. Inoltre, i problemi
che devono affrontare nel prossimo anno saranno sostanzialmente
determinati dalla continua incertezza su entità e direzione del
mutamento della politica estera degli Stati Uniti, avversario principale
della Cina e alleato chiave del Giappone. La prossima 19.ma sessione
del Partito comunista cinese si occuperà della ricerca di risposte alle
varie sfide in politica interna ed estera. La sessione è prevista per la
seconda metà del 2017. Questo evento sarà significativo per lo sviluppo
della Cina e la situazione nell’Asia-Pacifico nel complesso.
Per il Giappone, il nuovo anno potrebbe diventare cruciale per la “normalizzazione” a lungo cercata nel Paese. La caratteristica principale dell'”anomalia” giapponese (secondo le convenzioni di questa categoria in un mondo sempre più folle) è l’articolo 9 della Costituzione, che prevede, in primo luogo, che l’uso della forza militare per affrontare sfide in politica estera sia illegale “per sempre” e in secondo luogo (quindi) vietare di avere proprie forze armate. Tuttavia, il secondo postulato si presenta già anacronistico dato che, infatti, il Giappone ha da tempo una delle forze armate più potenti del mondo: “le Forze di Autodifesa giapponesi”.
Così l’assai
probabile eliminazione del secondo postulato dell’articolo 9 comporterà
solo la ridenominazione delle Forze di Autodifesa giapponesi in ciò che
sono: “Forze Armate”. Secondo i sondaggi, i cittadini del Paese sono
pronti ad accettare la realtà della denominazione delle forze armate
esistenti. Tuttavia, non sono (ancora) pronti ad accettare che queste
forze attuino tutti i compiti assegnati alle forze armate di uno Stato
“normale”.
Ad esempio, se quest’ultimo si allea con qualche altro Stato
“normale”, significa che ciascuno di essi sarà pronto a fornire (in
determinate circostanze) aiuto armato all’alleato. Il primo postulato
dell’articolo 9 lo rende quasi impossibile al Giappone. Se gli Stati
Uniti estendono al Giappone l'”ombrello della sicurezza nucleare” in
virtù del trattato del 1960, le Forze navali giapponesi, perfettamente
in grado, non hanno il diritto di aiutare la flotta degli USA (con i
rifornimenti di vettovaglie, per esempio), se al largo del Giappone
subisse attacchi da uno Stato “terzo”.
Anche se la nuova legislazione sulla difesa adottata nell’autunno 2015 apre in qualche modo all’accettazione degli obblighi dell’alleanza USA-Giappone, il primo postulato dell’articolo 9 rimane un ostacolo insormontabile per qualsiasi ampio sviluppo di tale tendenza. Inoltre, uno squilibrio simile (anche se, ovviamente, meno evidente) può osservarsi nelle relazioni tra USA ed Europa.
Anche se alle origini il
già citato “squilibrio” era completamente razionale e reciprocamente
vantaggioso per i contraenti, gli statunitensi attualmente non ne sono
più interessati, e l’esistenza provoca insoddisfazione tra i cittadini
degli Stati Uniti che, infine, hanno fatto vincere a D. Trump le
elezioni presidenziali. La classe politica giapponese respinge
completamente le restrizioni all’industria della Difesa, data la
necessità oggettiva dell’alleanza con gli Stati Uniti (oltre alla
crescita globale della Cina). Questo non è certo possibile, ora, senza
l'(almeno parziale) allineamento agli obblighi tra le parti.
L’obiettivo
principale della politica del Primo ministro Shinzo Abe è la revisione
della Costituzione del dopoguerra. Nel tentativo di superare la
resistenza dei giapponesi al processo di piena “normalizzazione” del
Paese, il governo gioca la carta del “patriottismo”, dalla metà dello
scorso anno, in modo così trasparente da fare intendere che l’attuale
Costituzione fu scritta da un gruppo di avvocati dall’amministrazione
occupante del generale D. MacArthur. Tali sforzi sono falliti. In
generale, i giapponesi sono soddisfatti dello status quo del dopoguerra,
indipendentemente l’autore della base costituzionale.
Tuttavia, ciò
rafforza la determinazione di Abe a raggiungere il suo obiettivo, come
dimostra la dichiarazione del 4 gennaio 2017, nel corso di una visita al
principale santuario shintoista, ad Ise. Ricordando che il prossimo
anno sarà il 70° anniversario dell’adozione della Costituzione, Abe
sosteneva di “studiare le lezioni del passato, e di procedere con il
rinnovamento della nazione per i prossimi 70 anni”. Frasi come
“rinnovamento della nazione” e “responsabilità per le prossime sfide”
sicuramente si riferiscono alle dichiarazioni di alcuni membri del suo
gabinetto (in particolare, la ministra della Difesa Tomomi Inada) sulla
necessità di adottare la “sua” Costituzione.
Attualmente, il governo del Partito Liberaldemocratico e del suo “socio di minoranza” partito Komeito, che hanno i due terzi dei voti nelle camere del Parlamento, ha i presupposti per avviare un estremamente difficile procedimento per modificare la costituzione. Tuttavia, i suoi promotori affronteranno l'”agguato” nella fase finale del processo, quando dovranno avere la maggioranza al referendum nazionale, cosa più facile a dirsi che a farsi. Va ricordato che la società giapponese non è pronta ad abbandonare le condizioni confortevoli della politica estera decisa dall’attuale Costituzione.
La prospettiva di battere
l’opposizione passiva dell’opinione pubblica è piuttosto dubbia senza il
sostegno dei partiti d’opposizione. Pertanto, il Partito
Liberaldemocratico invita l’opposizione ad iniziare a discutere
necessità e contenuto delle modifiche. Gli oppositori hanno
apparentemente deciso di “parlarne” ma certamente non sosterranno il
progetto di abolizione (almeno) del primo postulato dell’articolo 9.
Sulle prospettive dell’adozione di emendamenti costituzionali, un
cambiamento “favorevole” del pubblico sarebbe assicurato dal
deterioramento delle relazioni con la Cina e dalle simultanee misure
adottate da D. Trump, secondo le sue dichiarazioni pre-elettorali di
“carattere neo-isolazionista”.
Se il primo fattore sembra destinato a
essere più o meno “favorevole” (cioè non vi sono evidenti miglioramenti
nelle relazioni Giappone-Cina), la politica estera degli USA tendente al
“neo-isolazionismo” è stata evidentemente abbandonata. In ogni caso
(secondo alcune fonti), William Hagerty, nominato da D. Trump nuovo
ambasciatore degli Stati Uniti, arriverà a Tokyo e, essendo attesissimo
dall’élite giapponese, sarà “indispensabile nel rafforzare i rapporti
Giappone-USA”. Come dice il proverbio, le preghiere del primo ministro
giapponese sono state ascoltate da D. Trump neopresidente degli Stati
Uniti.
Ora, è difficile dire come l’attuazione specifica delle suddette tendenze estere influenzi i piani dell’attuale leadership per fare del 2017 l’anno di svolta della “normalizzazione” del Paese. Il fatto che il Giappone sia sul punto di un mutamento radicale è testimoniato dall’importantissimo segnale ricevuto nell’agosto 2016, quando l’imperatore Akihito dichiarò l’intenzione di dimettersi “per motivi di salute”. Tuttavia, i dettagli che accompagnavano questa affermazione (del tutto eccezionale per la storia del Giappone) meritano ulteriori considerazioni.
Vladimir Terekhov New Eastern Outlook 02/02/02017
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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