non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah.
Il resto è solo commento. Va e studia!”
(Hillel)
Secondo
la tradizione, Hillel è vissuto tra il 70 a.C. e il 10 d.C., ma le
uniche notizie sugli ebrei di quel periodo sono quelle riferite da
Giuseppe Flavio, un ebreo adottato dalla potente gens romana dei Flavi,
che non cita mai il suo nome. Dalle fonti rabbiniche sappiamo con
certezza, che Hillel è il fondatore di una scuola di pensiero che
esprime la maggior parte dei saggi del suo tempo. A questa stirpe di
maestri appartennero, dal I al IV secolo d.C., i più illustri
rappresentati del giudaismo che imponevano l’autorità della religione.
Nel
Talmud, Hillel viene chiamato Hazaqen cioè “il Vecchio” o
HaBavli cioè "di Babilonia". Il fatto che venga chiamato “il Vecchio”
non fa riferimento alla sua età, ma alla saggezza che gli ebrei e molti
popoli antichi associavano alle persone avanti negli anni. Ma questo non
toglie che egli arrivò a tarda età, infatti la tradizione dice che
Hillel visse 120 anni come Mosè. E la sua vita viene ripartita in tre
fasi, di cui i primi quarant'anni li trascorse a Babilonia di cui era
originario.
I
secondi quarant'anni sono il periodo che trascorse a studiare e
interpretare i testi sacri, mentre gli ultimi quarant'anni rappresentano
il periodo che visse insegnandone i precetti. La figura di Hillel è
poco conosciuta, ma egli fu il più grande esperto di Sacre Scritture
vissuto al tempo di Gesù. Che fu il maestro più influente dei suoi tempi
e che il suo messaggio è quello che forse poteva ispirarlo, perché fu
il maestro più rispettato vissuto ai suoi tempi.
L’arrivo
di Hillel da Babilonia va approfondito per comprendere meglio la sua
figura, poiché la cornice storica in cui visse è quella stessa in cui
visse Gesù. La comunità ebraica giunse a Babilonia in seguito alla
sottomissione delle tribù del nord di Israele da parte del regno di
Assiria che riuscì a conquistare i territori che si affacciavano sul mar
Mediterraneo. Le genti di quelle popolazioni vennero deportate nei
territori assiri, perciò seguirono la sorte degli Assiri che, a loro
volta, furono conquistati dai Babilonesi.
Quando
nacque Hillel, gli ebrei erano a Babilonia ormai da 500 anni, perciò si
ritrovarono sotto l’impero romano che aveva conquistato buona parte del
mondo conosciuto allora. Si suppone che tra gli ebrei di Giudea e
quelli di Babilonia ci potessero essere legami più stretti di quelli che
la distanza tra le due terre ci potesse fare pensare. Ma di ciò non
abbiamo nessuna conferma storica diretta, però sappiamo che entrambi i
gruppi parlavano l’aramaico o l’ebraico.
Hillel
il Babilonese nasce dunque verso il 70 a.C. nell’impero dei Parti che
avevano conquistate le terre di Babilonia. Ma il susseguirsi di
dominatori non cambiò le condizioni degli ebrei di Babilonia che erano
composti da tribù nomadi originarie delle sponde del mar Caspio, in
seguito stabilite nei territori dei Parti che tutti ritenevano fossero
delle popolazioni rozze e barbare come quelle degli Sciti e dei Sarmati.
Filone d’Alessandria include i Parti tra le razze rozze e selvagge
“come i Germani” ma il suo giudizio è ingiusto, perché i tanto criticati
conquistatori furono molto tolleranti con i popoli che avevano
sottomesso.
Gli
Ebrei continuarono a parlare l'aramaico, continuarono a praticare le
loro tradizioni arcaiche e anche ad applicare il loro calendario, che -
d’altro lato - era stato adottato anche dai conquistatori precedenti
cioè dai Parti. Gli ebrei della diaspora babilonese vivevano e
commerciavano liberamente come testimoniano le transazioni commerciali
con aziende dal nome ebraico registrate negli archivi in carattere
cuniforme rinvenuti a Ninive.
Si
consideri che il nome di Babilonia include un territorio grosso modo
corrispondente a quello dell’odierno Iraq. Gli ebrei di Babilonia
mantennero un forte attaccamento per il Tempio di Gerusalemme, infatti
essi mandano al Tempio il mezzo siclo dovuto per ogni figlio maschio
sopra ai 20 anni, e anche l’oblazione rituale di una parte del ricavato
della vendita delle primizie.
Dal
filosofo greco Filone d’Alessandria contemporaneo di Hillel sappiamo
che gli ebrei di Babilonia facevano lunghi e disagevoli pellegrinaggi
per andare a Gerusalemme e per farvi pervenire, in occasione delle 3
ricorrenze ebraiche della Pasqua, di Pentecoste o Sukkot, e della Festa
delle Capanne, le offerte dedicate al Tempio. Non sappiamo se gli ebrei
babilonesi avessero già sviluppato lo studio dei testi sacri come fecero
tre secoli dopo.
I
legami tra gli ebrei babilonesi e quelli rimasti a Gerusalemme
garantirono l’unità del giudaismo, sebbene la contaminazione con le
credenze babilonesi siano molto evidenti nella letteratura apocalittica
che fu molto vigorosa nel I secolo d. C. Non abbiamo dubbi che la lingua
di Hillel fosse l’aramaico che si era imposto prima del dominio
persiano. In quelle terre si era imposto il carattere cuneiforme, e con
l’aramaico si unì il vantaggio di avere una lingua alfabetica molto
semplice e comoda.
L’aramaico
“imperiale” penetrò nella letteratura ebraica come si nota nei passi in
questa lingua contenuti nel Libro di Esdra e in quello di Daniele. In
seguito, la sua sintassi influì sull’ebraico e questo spiega la
diversità dell’ebraico rabbinico noto tramite il Talmud e il Midrash che
è molto diverso dall’ebraico biblico. L’influsso dell’aramaico era
favorito dalla parentela tra il suo lessico e quello dell’ebraico e dal
fatto che - dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia - la forma dei suoi
caratteri soppiantò l’antica scrittura ebraica che era molto simile
alla scrittura fenicia.
All’epoca
dell’arrivo di Hillel a Gerusalemme, l’ebraico veniva usato nella vita
religiosa, mentre l’aramaico era considerato la lingua del popolo,
perciò un viaggiatore che proveniva da Babilonia non aveva difficoltà a
farsi capire, poiché conosceva entrambi le lingue. E sappiamo che Hillel
conservava l’accento della sua terra di origine poiché - all’inizio del
suo soggiorno a Gerusalemme - fu insultato da alcuni popolani con
l’epiteto di “stupido babilonese.”
La
maggioranza delle massime che gli vengono attribuite testimoniano un
perfetto bilinguismo, e anche il nome Hillel è nettamente ebraico,
poiché significa “Egli ha lodato il Signore.”Le citazioni di questo
grande maestro le ritroviamo nel Talmud come regole di purità e sappiamo
che ebbero un’importanza crescente con il tempo. La formula che li
introduce è sempre: “per questo Hillel giunse da Babilonia” e la
citazione fa presumere che egli fosse noto ancora prima che giungesse a
Gerusalemme.
Qualcuno
ha evidenziato il carattere provvidenziale della sua venuta, ma la
versione più attendibile della sua emigrazione fu quella che Hillel si
recò a Gerusalemme per perfezionare i suoi studi delle sacre scritture.
Secondo la testimonianza di un rabbino del III sec., esiste la tesi che
suo fratello Shebna gli propose di entrare in commercio insieme a lui ma
lui rifiutò, perché non aveva altro scopo di vita che studiare la
Torah. È perciò logico che Hillel giungesse a Gerusalemme, perché era
stato attratto dalla fama dei maestri che vi insegnavano.
È
più attendibile pensare che avesse 20 anni e non 40 anni, all’atto del
suo arrivo, e una tradizione talmudica credibile afferma che cominciò a
esercitare il suo magistero intorno al 30 a.C. Se valutiamo che al suo
arrivo potesse avere circa 20 anni e che esercitò per circa 40 anni, è
credibile che vivesse sugli 80-90 anni perciò fu contemporaneo del re
Erode che regnò dal 37 al 4 a.C. A quell'epoca le scuole babilonesi non
avevano raggiunto ancora il livello dottrinale che raggiunsero 2-3
secoli dopo, perciò si pensa che Hillel venne attratto dai grandi
maestri di Gerusalemme.
Uno
degli aneddoti più famosi lo mostrava come un giovane brillante e privo
di mezzi che si arrangiava per proseguire gli studi, infatti dicevano
che un giorno che non aveva trovato lavoro per pagarsi la lezione, si
arrampicò sul tetto della scuola per ascoltare i rabbini origliando
attraverso il lucernario. Era un venerdì di dicembre-inizio gennaio e
faceva molto freddo, infatti scese la neve e Hillel restò sotto la neve e
al freddo.
Fu
rinvenuto svenuto sul lucernario oltre la mezzanotte semi assiderato,
ma i rabbini si affrettarono a soccorrerlo dopo aver visto la sua ombra
sul lucernario, anche se era iniziato il sabato. Si narra che i presenti
al fatto dissero: «Per un tale uomo vale la pena che si profani il
sabato.» Questa storia ha un valore edificante e vuole affermare che
nessuno può usare la scusa che è troppo povero per non studiare, poiché
anche Hillel rischiò la vita per l'amore della conoscenza. Ma l’aneddoto
apocrifo è pur sempre veritiero, poiché gli attribuiva una passione
smodata per lo studio.
Riguardo
ai maestri presso cui approfondì la sua preparazione, sappiamo che i
due maestri più illustri del suo tempo furono Shemayah e Abtalion, e che
certamente presso di loro Hillel perfezionò la sua istruzione in campo
religioso e dottrinario. Costoro, secondo un aneddoto del Talmud
venivano talmente venerati dal popolo che, una sera, essi incrociarono
una processione e il popolo abbandonò il sommo sacerdote e si mise a
seguirli.
Entrambi
i suoi maestri facevano parte della corrente dei Farisei che avevano la
fama di fornire i più illustri interpreti delle leggi, e che avevano
l’incarico di educare la gioventù ebraica. Sulla base di tutto questo si
pensa che i maestri di Hillel fossero Farisei. Nell’ambiente religioso
di quel tempo il grande dibattito che infiammava gli animi avveniva tra
gli aristocratici Sadducei che erano seguiti dall’aristocrazie e la
fazione più popolana dei Farisei.
La
terza fazione cioè quella degli Esseni riservava i suoi insegnamenti
solo agli iniziati, perciò restavano fuori dalle diatribe dottrinarie. I
Farisei insegnavano che il successo dei cattivi e la sventura dei buoni
in questo mondo non sono l’ultima decisione di Dio perché - alla fine
dei tempi - gli uomini sarebbero resuscitati e i cattivi avrebbero
ricevuto il castigo divino, mentre i buoni avrebbero goduto della
beatitudine eterna.
La
concezione farisaica era vista con scherno dagli aristocratici Sadducei
che non accettavano questa resa finale dei conti da parte della
giustizia divina, perciò il dibattito si infiammò tanto che la diatriba
dottrinaria degenerò in uno scisma. Comunque sia andato, la lotta tra le
due fazioni opposte causò l’intervento dei Romani che avevano annesso
l’antico regno seleucide al loro impero. Questa nuova situazione
comportò che, seppure ancora dominati da stranieri, i giudei potessero
continuare a godere di una relativa indipendenza e che poterono
continuare a praticare la loro religione.
Giuseppe
Flavio dice che Erode governava con il consenso del potere romano,
perciò osò presentarsi nel Sinedrio ordinato dalle insegne regali per
imporre la sua volontà su una certa questione. E l’unico che osò
tenergli testa fu proprio Shemayah cioè il maestro di Hillel. Il
discorso che lo storico attribuisce al saggio Shemayah fa apprezzare la
sua enorme dignità e un coraggio che gli valse la stima di Erode. Questo
contesto storico chiarisce il senso di una delle massime più famose di
Shemayah cioè «Ama il lavoro, fuggi il potere e non farti conoscere
dalle autorità.» (Abot I, 10)
Sappiamo
che certamente Hillel, a Gerusalemme, non trovò quella tranquillità che
si era auspicato, ma la sua origine babilonese gli valse un trattamento
di riguardo da parte di Erode. Erode era straniero, perciò aveva
interesse ad attestare una sua presunta discendenza dagli ebrei
babilonesi. In realtà da parte di madre, Erode era di origine nabatea e
la sua famiglia non aveva ascendenze regali, perciò la sua origine
"ambigua" non lo aiutava a rafforzare i suoi diritti al trono.
La
scelta dell’origine babilonese che voleva accreditarsi non era certo
casuale, perché gli ebrei deportati da Nabuccodonosor includevano le
stirpi più pure delle tribù di Istraele. Sebbene avesse pochi o nulli
diritti a regnare, poteva governare come un tiranno, in quanto Erode
faceva e disfaceva sommi sacerdoti e manovrava il Sinedrio a suo
capriccio avendo la protezione dei Romani. Per queste ragioni, poter
essere riconosciuto come ebreo babilonese lo avrebbe aiutato ad essere
accettato dal popolo.
Sicuramente,
a quel tempo, Hillel era già un maestro molto stimato e conosciuto, e
certamente lo sconvolgimento politico dei suoi tempi gli suggerì il
famoso detto: «Siate discepoli di Aronne che amava e ricercava la pace.»
(Abot I, 12) Si dice anche che, un giorno, vedendo un cranio
galleggiare nell’acqua, egli disse: «Perché hai annegato altri, sei
stato annegato, e coloro che ti hanno annegato finiranno anch’essi
annegati.» (Abot II, 7).
Sappiamo
che i Farisei si opponevano con forza a Erode, perciò la reazione del
tiranno contro di loro e contro tutti quelli che li sostenevano era
inevitabile. Erode non era amato dal suo popolo, e neppure lui amava il
suo popolo per cui pretese un giuramento di fedeltà da parte dei
sacerdoti e dei maggiori saggi, ma non lo ottenne e non ottenne neppure
la fedeltà degli Esseni. Sappiamo che tra i saggi Farisei del tempo che
gli si opponevano c'erano anche Hillel e Shammai, e che avevano un
seguito di circa 6.000 persone.
I
Farisei riscuotevano grande successo soprattutto tra le donne di corte,
perciò la tensione tra Erode (che si vedeva destabilizzato) e la
fazione che sosteneva i Farisei crebbe sempre più, finché si arrivò alla
spietata repressione ordinata dal tiranno. Due grandi maestri giudei,
nota Giuseppe Flavio, furono bruciati vivi, e poi il monarca - sempre
più furioso - fece trucidare un gran numero di notabili giudei che aveva
radunato nell’ippodromo di Gerico.
Hillel
visse in questi tempi drammatici e il suo insegnamento che conosciamo
da fonti rabbiniche, ci è noto perché si usava citare testualmente le
parole dei maestri più autorevoli. Le parole dei saggi venivano citate e
ripetute fedelmente affinché fossero di esempio per chi le meditava, e
malgrado il fatto che, sulla figura di Hillel, siano rimasti molti
apocrifi e molti avvenimenti furono rimaneggiati per vari motivi, va
riconosciuto che la sua figura è quella che ha dato vita al maggior
numero di tradizioni malgrado la scarsezza di materiali diretti. Come
arrivò ad esserlo?
Sicuramente
per aver risolto in modo brillante molti quesiti di diritto religioso.
La halakhah o diritto religioso cominciava ad imporsi allora, perché
tutti volevano rispettare la legge divina e l’autorità di un maestro
autorevole garantiva che l’interpretazione che venisse data fosse la
migliore. Hillel interpretava la Torah come un’autorità indiscussa, per
questo accadde che gli “anziani di Satira” gli sottoposero un quesito a
cui nessuno aveva saputo rispondere. Infatti gli chiesero se, nel caso
che la Pasqua fosse caduta di sabato, fosse legittimo fare il sacrificio
dell’agnello rituale.
Hillel
rispose che il sacrificio dell’agnello pasquale doveva essere mantenuto
anche se la festa fosse stata di sabato. Il suo parere fu accolto da
tutti e il suo magistero diventò molto autorevole. In seguito, si seppe
che Hillal era un Fariseo che onorava i suoi maestri, perciò si capì che
aveva risolto la questione agendo in assonanza a ciò che aveva visto
fare dai suoi maestri Shemayah e Abtalion. Da quel momento diventò il
primo maestro e il più saggio rabbino dei suoi tempi. Ma sappiamo che
lui non si vantava affatto di questo onore, ma si lamentava che la sua
generazione fosse decaduta talmente da non saputo produrre qualcuno che
fosse migliore di lui da additare come esempio.
La
generazione di Hillel fu l’ultima di una serie di cinque generazioni in
cui i maestri agivano in coppia, poiché la tradizione poneva il primo
maestro a capo del Sinedrio e l’altro maestro a capo del tribunale,
affinché il potere potesse essere più equilibrato. Nel caso di Hillel
sappiamo che venne associato a Shammay, ma che la tensione tra di loro
era molto palpabile. I loro caratteri non potevano essere più opposti,
infatti i due maestri non si trovavano mai d’accordo su nulla, per
questo ben presto nacquero due scuole diverse.
E
se la generazione di Hillel che fu famoso per la sua mitezza diventò
prevalente, quella di Shammay che fu famoso per la sua severità, si
ridusse fino a scomparire. Un aneddoto ci fa conoscere la famosa
pazienza di Hillel laddove si narra che, due uomini decisero di
scommettere una forte cifra sul fatto di riuscire a farlo andare in
collera. Uno di loro lo scomodò molte volte mentre faceva le abluzioni e
lo interrogò più volte rivolgendogli quesiti assurdi e sciocchi, ma
Hillel rispose con la gentilezza per cui era famoso.
Alla
fine, il provocatore si arrese e gli chiese se lui fosse proprio quel
Hillel che chiamavano “Nassi” e, alla risposta affermativa, il
provocatore si lamentò che, per sua causa, aveva perso una forte cifra
che aveva scommesso contro di lui. Hillel gli rispose che era
preferibile che lui avesse perso il denaro scommesso piuttosto che
Hillel avesse perso la sua pazienza. Hillel voleva significare che non
agiva in quel modo per rendersi amabile, ma che agiva con amorevolezzza e
pazienza, perché tentava di far amare la Torah ai suoi seguaci.
Anche
Shammay predicava le stesse dottrine, infatti diceva: «Studia la Torah
regolarmente, parla poco e agisci molto, accogli tutti con affabilità»
ma tanti episodi ce lo mostrano mentre non riesce ad applicare le sue
parole, perché non agisce secondo le sue regole. Si racconta che un
pagano andò da Shammay e gli chiese quante Torah esistevano. Shammay gli
rispose che esisteva la Torah scritta e la Torah orale. Allora il
pagano gli chiese di convertirlo e di insegnargli la Torah orale, ma
Shammay lo trattò duramente e lo congedò senza complimenti.
Il
pagano allora si presentò da Hillel e gli chiese la stessa cosa. Hillel
lo accontentò e gli insegnò le prime 4 lettere dell’alfabeto, e il
giorno dopo gliele insegnò in ordine diverso. Ma l’uomo notò la
contraddizione e ne chiese la ragione. Hillel gli rispose: «Tu ti sei
fidato di me, e questo non significa forse fare affidamento sulla Torah
orale?» Conosciamo anche un altro aneddoto che è molto simile a questo,
in cui il pagano viene congedato con rudezza da Shammay perciò chiede a
Hillel di istruirlo. Il saggio disse:«Ciò che non vuoi che venga fatto a
te, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah. Il resto è solo
commento. Va e studia!» (Shabbat, 31 a)
Molti
episodi evidenziano il carattere severo di Shammay che arrivò ad
imporre al figlio ancora bambino il digiuno come se fosse un adulto per
fargli onorare il Kippur. Fu necessario che ci fosse l’intervento dei
suoi colleghi che lo costrinsero a nutrire il bimbo con le sue mani. Il
temperamento di Shammay era eccessivamente duro e intransigente. Anche
quando cercava di essere un uomo mite, invece la mitezza e la
comprensione di Hillel era sempre autentica e spontanea, perciò Hillel
gli era superiore in molti aspetti. Sappiamo pure che Shammay faceva
provviste tutta la settimana per onorare degnamente lo shabbat, mentre
invece Hillel faceva affidamento solo su Dio e ripeteva il versetto 20
del Salmo 68: «Sia benedetto Dio, giorno per giorno.»
Anche
da altri episodi vediamo l’eccelsa levatura morale di Hillel, e non va
taciuta neppure la sua superiorità intellettuale. Lo abbiamo visto
essere interpellato dagli “anziani di Satira” per la sua competenza e
autorevolezza, infatti la tradizione rabbinica gli attribuisce molte
regole ermeneutiche di cui lui stesso sarebbe l’inventore. Queste regole
vennero strutturate seguendo il procedimento di quella parte di
filosofia greca conosciuta come “logica” che insegna a usare il
ragionamento per strutturare dei precetti coerenti.
Dalle
citazioni sappiamo che le sue prescrizioni applicano il principio del
parallelismo e quello dell’assonanza dei concetti per applicare regole
simili a situazioni simili. Da questo si vede come potesse trarre una
stessa regola per normare delle situazioni che si presentavano con le
stesse caratteristiche. Hillel riusciva a classificare le situazioni
negli aspetti che le accomunavano perciò riusciva a prendere decisioni
che non entrano in contraddizione tra di loro.
Purtroppo
non possediamo un materiale sufficientemente unitario per approfondire
la questione del suo metodo di insegnamento. Invece l’amore per lo
studio è una caratteristica che è certa e che lo accomuna ai saggi dei
suoi tempi, infatti sappiamo che arrivò a rischiare la vita per amore
della conoscenza. Questo amore si attesta anche in molte massime: «Non
dire: “Studierò quando avrò tempo”. Forse non avrai mai tempo.» Dalle
sue massime emerge la convinzione che il materialismo è il maggiore
nemico della conoscenza, infatti afferma: «Chi è troppo occupato con il
commercio perde di vista la saggezza.» (Abot I, 6)
Da
altri detti trapela l’orrore per la vanità che è sempre indegna nel
saggio, e la persuasione che la vita spirituale non è certamente alla
portata di tutti. Si dice Hillel si sforzò per tutta la sua vita “di far
entrare gli uomini sotto le ali del cielo” (Abot di Rabbi Nathan 26,
vers. B). Capita ancora oggi di poter affermare che l'esempio di Hillel
mostri un maestro fin troppo “indulgente” e che questa sua indulgenza
sia considerata negativa, perché egli arrivò a dire cose che forzavano
anche le stesse sacre scritture.
Molti
rabbini babilonesi lo accusarono di eccessiva audacia interpretativa
per avere forzato e anche contraddetto la stessa parola divina. Ma
Hillel evitava la severità e amava l’indulgenza, perciò quella che viene
visto come una colpa è piuttosto la prova di una piena comprensione e
di una grande compassione che lo spingeva a trovare la soluzione che
rendesse felici tutti. Ma, soprattutto sappiamo che Hillel stava sempre
dalla parte di chi cercava giustizia. Sappiamo che si identificava
sempre con chi subisce l’ingiustizia perciò usava la legge con
misericordia e non sacrificava mai la pietà alla cieca osservanza
formale.
Una
delle massime famose che gli sono attribuite dice: «Non giudicare il
tuo prossimo prima di esserti messo al suo posto.» (Abot II, 5) e il
grande senso di comprensione e di empatia che trapela in queste parole
sembra fosse un altro tratto caratteristiche dei Farisei, mentre gli
Esseni vivevano fuori dalla società e si isolavano all'interno delle
loro comunità. I Sadducei erano una casta aristocratica, per cui
restavano solo i Farisei a educare e guidare. Hillel dice: «Non
separarti dal popolo» e «Se io non sono per me stesso, chi lo sarà? Ma
se io sono solo per me stesso, cosa sarò? Se non ora, quando?»
Il
ritratto di Hillel che ci resta è quello di un uomo umile e pio, non di
un essere con poteri eccezionali. Sappiamo che, dopo la morte dei
grandi profeti lo Spirito Santo aveva cessato di manifestarsi, e
raramente avveniva che la voce celeste si facesse ancora udire. La voce
celeste era detta “Bat qol” e si narra che fu sentita risuonare un
giorno, nella casa di Giuda di Gerico, dove sedevano Hillel e altri
maestri. La voce dichiarò che tra loro c’era un uomo in cui lo Spirito
Santo avrebbe potuto manifestarsi, ma che non lo faceva perché la sua
generazione non ne era degna. A quelle parole, tutti si voltarono e
guardarono Hillel.
Buona erranza
Sharatan fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/12/hillel-di-babilonia.html
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