“Le persone prive di senso psicologico
presumono di restare sempre le stesse.”
(Carl Gustav Jung)
“Prima
di cominciare a bombardarci a vicenda con domande e problemi di vario
genere, mi chiedo se avete letto sui giornali... in genere non leggo i
giornali, do un’occhiata ai titoli... che nel mondo ogni anno si
spendono quattrocento miliardi di dollari in armamenti. Quattrocentomila
milioni di dollari. Non so cosa significhi una cifra del genere, ma
questo è quanto si spende per cercare di ammazzarci a vicenda. Dopo aver
letto una notizia simile mi chiedo: cosa farà cambiare gli esseri
umani?
Ieri,
quel signore alla mia sinistra ha posto una domanda, ha detto: «L’ho
ascoltata per tanti anni, ho ascoltato i suoi discorsi, le
registrazioni, e così via, e mi ritrovo esattamente al punto di
partenza.» Credo che sia importante prendere molto sul serio una domanda
del genere. Forse la maggior parte di noi si trova nella stessa
posizione; forse.
Che
cosa provoca un cambiamento veramente profondo in un essere umano?
Chiunque sia interessato alla trasformazione dell’uomo si è posto questo
problema. Che cosa ci fa cambiare? Se vi ponete questa domanda
seriamente, ve lo chiedete con tutta la profondità del vostro essere:
cosa vi farà cambiare? Sarà un evento esterno a provocare una crisi
nella vostra vita, a costringervi a una riflessione radicale, e al
cambiamento?
Un
lutto in famiglia, un incidente, un avvenimento, un qualche evento
devastante, psicologicamente o anche fisicamente, sarà questo a
provocare un cambiamento profondo? Si deve subire un grande dolore, una
grande pena, una grande angoscia, procurata da eventi esterni, per
sentirsi costretti, perché un essere umano sia costretto a cambiare
strada, motivazione, direzione, cambiare il proprio egoismo, il proprio
modo di pensare limitato, brutale?
Abbiamo
avuto tante guerre, forse la maggior parte di noi ha vissuto due
guerre, guerre devastanti, milioni di persone hanno perso la vita.
Pensate all’avvilimento, alla confusione, all’enorme angoscia di quelle
persone che hanno subito gravi perdite, non solo materiali, ma la morte
dei propri figli. Ma a quanto pare gli eventi esterni, per quanto
drammatici, non sembrano suscitare in noi la libertà di dire: “Questo
non deve succedere mai più”.
Perciò
vi chiedo, ed è una domanda che abbiamo preso in considerazione tante e
tante volte: sono gli eventi esterni a cambiare gli esseri umani?
Questo è un primo problema. Eventi simili non sembrano aver cambiato
l’uomo, se per cambiamento intendiamo una reale trasformazione profonda
della motivazione egoistica, che si identifica con gruppi, nazioni,
credenze, dogmi, religioni, e via discorrendo.
E
apparentemente, badate bene, apparentemente, un evento esterno come la
morte del proprio marito, della propria moglie, o dei figli, è in grado
di provocare un certo cambiamento nella persona, sull’onda del dolore e
del lutto. Non so se lo avete notato. Significa quindi che dobbiamo
dipendere dagli eventi esterni?
La
morte, la guerra, qualcuno che ci lascia, un evento esterno devastante:
è questo che ci farà cambiare? Ossia, dipendere da qualcosa di esterno
che ci esponga a un grande tormento e a una grande sofferenza, da cui
poi si emerge, forse, profondamente cambiati. A mio parere è una vera e
propria atrocità, finanche a dirsi, che per poter cambiare dobbiamo
soffrire. È inconcepibile; eppure, a quanto pare, è quello che succede.
Come
il guidatore negligente, che scampa provocando la morte altrui e dice:
“D’ora in avanti guiderò con la massima prudenza”. È intelligente a
posteriori. È possibile essere intelligenti prima? Dove per
“intelligenza” non si intende diventare più abili nella sopravvivenza
istintiva dell’egoismo, dell’impulso del desiderio, e così via, ma
un’intelligenza nata dall’intuizione che gli eventi esterni non cambiano
l’uomo alla radice, ma che il cambiamento deve avvenire completamente
dal di dentro, senza un fattore necessitante, senza un accadimento o
evento di qualche tipo.
Intuire
questo è una forma di intelligenza. Intuire la verità che se dipendo da
una pressione esterna, da un evento esterno che mi sottopone a un
dolore e un’angoscia immani, è facile che diventi cinico e amaro, o mi
rifugi in qualche forma di evasione. Cosicché non ci sarà un cambiamento
profondo. Comprendere questo è una forma di intelligenza. I
materialisti, i comunisti, i fautori del totalitarismo, dicono:
“Cambiamo gli eventi esterni, gli esseri umani cambieranno di
conseguenza.”
Ma
è una strategia che dura da millenni, e a quanto pare non sono
cambiati. Poi c’è l’idea, cara a tanti guru e maestri orientali, forse
anche occidentali, che - se si abbandona se stessi - tutti i problemi
sono risolti. Anche qui, ci si abbandona a qualcosa di esterno, o ci si
abbandona a un oggetto di propria invenzione. Vi prego, c’è una reale
comprensione fra di noi? È molto importante che ci sia, dopo la
questione sollevata ieri da quel signore.
Ha
detto: «L’ho ascoltata per tanti anni e non sono cambiato; sono al
punto di partenza.». Sapete, a sentir dire una cosa del genere si prova
una stretta al cuore. Mi chiedo a quanti di voi si è stretto il cuore. E
cosa cambierà quella persona, voi, un altro? Forse, come abbiamo detto,
un evento devastante, qualcosa che procura dolore? E se il dolore è
profondo, manda in frantumi tutto quel che avete, e forse a quel punto
dite: “Non posso più vivere così”; quindi, dipende ancora dagli eventi
esterni?
E
gli eventi esterni possono essere immani: guerre, terremoti, e così
via. E quei... lasciatemelo dire, profittatori... quei profittatori
religiosi, se mi consentite il termine, parlano di abnegazione, di
abbandono di “sé”. Capite le implicazioni di una cosa del genere?
Abbandonarsi, chiaramente, al guru, alla persona che dice:
“Abbandonati”, ma interiormente, questo impulso, questo egocentrismo,
viene eliminato? Di nuovo lo stesso fenomeno, una pressione, stavolta
una pressione interna che spinge a sottomettersi a qualcun altro.
È
chiaro questo punto? Possiamo procedere sulla base di questa premessa?
Dunque state ascoltando tutto questo, che una pressione esterna non vi
farà cambiare, e abbandonarvi a una presenza, un’entità, a Dio, quel che
volete, non è altro che desiderio che vi spinge a dimenticare voi
stessi, ma il “sé” resta, per quanto camuffato.
Perciò,
state ascoltando queste affermazioni? O non hanno alcun senso? Allora
forse è qui il nocciolo del problema: intellettualmente, sul piano
verbale, capite razionalmente, logicamente, le affermazioni molto chiare
che sono state appena enunciate, a meno che non vogliate cambiare le
parole, ma essenzialmente il punto è la pressione esterna che agisce
tramite il dolore o l’impulso interiore a fuggire da se stessi, che è
un’altra forma di pressione.
State
ascoltando queste cose in modo da vedere la verità: che in presenza di
una pressione esterna o interna che sia il cambiamento non avviene?
Vedere questo, ascoltare e vedere quel fatto, è intelligenza. Perciò,
state davvero... perdonatemi se ve lo chiedo... ma, dopo averlo
ascoltato esposto lucidamente, logicamente, razionalmente, state
veramente vedendo il fatto nella sua realtà, la sua verità, il che
significa che c’è intelligenza?
E
quell’intelligenza è la negazione tanto dell’esterno che dell’interno, e
di conseguenza prende le mosse dalla situazione attuale. Allora, ve ne
siete resi conto? Ci avete riflettuto seriamente come abbiamo fatto
appena adesso, e constatato che una pressione esterna o interna di
qualunque tipo non porterà un mutamento radicale? Ascoltare questo e di
conseguenza vederlo, è intelligenza. Lo vedete? Avete
quell’intelligenza? Allora quell’intelligenza agirà prima dell’evento,
cosicché soffrire non è più necessario.
Scoprire
una cosa del genere è come... capite?... è un dono del cielo. Scusate
se parlo di “cielo.” È un dono grande, immenso, perché quando ci si
rende conto che un evento catastrofico, devastante, che procura dolore, o
una qualunque pressione esterna o interna non producono il cambiamento,
quando lo si vede, se ne vede la verità, prima che subentri l’evento o
la pressione, allora quell’intelligenza agisce in qualunque circostanza,
nella vita quotidiana, sul posto di lavoro, agisce continuamente.”
(Jiddu Krishnamurti)
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