giovedì 16 febbraio 2017

Logica dell’inconscio e schizofrenia


1. Introduzione

La schizofrenia è un grave disturbo psichiatrico, espressione di una grande alterazione dell’equilibrio psichico dell’individuo con compromissione delle percezioni e dell’esame di “realtà”.
Il concetto di “realtà”
Il concetto di realtà è intrinsecamente legato all’ontologia, cioè alla disciplina filosofica che si occupa di ciò che esiste, ed è molto diverso se esaminato da un fisico (tanto più se è un fisico quantistico), da un matematico (tanto più se è un logico e ancor di più se non è un logico classico) o da uno psichiatra che fa una diagnosi. 

Per un fisico è reale ciò che è misurabile. In meccanica quantistica una grandezza fisica misurabile è descritta matematicamente da un operatore autoaggiunto, detto osservabile. Per un logico classico la verità logica e la realtà sono sinonimi mentre per un logico costruttivista è vero ciò che è dimostrabile. 

Nella logica quantistica standard una proposizione, entità logica portatrice di valore di verità, è in corrispondenza biunivoca con un osservabile (un proiettore). Un proiettore esegue una misura. Il contenuto semantico in questo caso è l’evento (il risultato della misura). Ma il contenuto semantico di una proposizione può essere individuato anche dall’informazione codificata in un certo stato del sistema. Questo è un altro punto di vista delle logiche dette “quanto-computazionali” (Dalla Chiara et al, 2003).


John Archibald Wheeler

Per John Archibald Wheeler, grande fisico teorico, padre della gravità quantistica, la concezione della realtà è “It from bit” (Digital Physics). Successivamente Paola Zizzi ha proposto un’estensione quantistica della fisica digitale: la Computational Loop Quantum Gravity (CLQG), dalla quale si deduce che il concetto di realtà è esprimibile come “It from qubit”1 (Zizzi, 2004, 2005), ovvero la realtà è informazione, I, possibilmente quantistica.
Come si possono conciliare i concetti di realtà come verità logica dimostrabile, osservabile quantistica, e “It from (Qu)-bit”? E come si può riportare tutto ciò alla concezione della realtà in una diagnosi psichiatrica?

A questo riguardo va osservato che i sintomi della schizofrenia acuta sono per loro natura delle aberrazioni delle esperienze consce. Come riportato in un recente Ciba Foundation Symposium ( Bock, 2007) le attuali teorie sui meccanismi che sottostanno alle manifestazioni schizofreniche si distinguono tra loro relativamente a quattro livelli di descrizione: quello neuroanatomico, quello neurochimico, quello cognitivo, e quello sintomatologico. 

 Tuttavia ciò che emerge è l’attuale mancanza di una teoria di base condivisa sui legami tra la manifestazione di eventi coscienti e le basi neurali del cervello (problema formulato da David Chalmers e noto come “The hard problem”) (Chalmers 1995). Questo problema rende a tutt’oggi arduo se non impossibile pensare a teorie che tocchino le basi e le cause di tale sintomatologia. In questo lavoro introdurremo alcune considerazioni che mostrano come la Teoria Quantistica possa fornire utili suggerimenti in proposito e che potrebbero aiutarci ad avvicinarci alla costruzione di tali teorie.
2. La mente quantistica.
Esistono numerose teorie quantistiche basate sulla comune premessa che la Meccanica Quantistica possa aiutarci ad ottenere quella comprensione della mente (soprattutto della coscienza) che la Meccanica Classica non riesce a fornire (Vannini 2008).

Tra le teorie quantistiche più discusse ricordiamo la teoria di Hameroff-Penrose: “Orchestrated Objective Reduction” (Orch-OR) (Hameroff and Penrose, 1995, Hameroff, 2007) . [BOX-1] A questo proposito dobbiamo tenere presente che il cervello umano è costituito da 10^10-11 neuroni (il neurone è la cellula fondamentale del sistema nervoso), ciascuno dei quali a sua volta contiene 10^4 microtubuli (MTs). Questi ultimi, poi, sono composti da costituenti ancor più piccoli di natura proteica chiamati tubuline (10^7-8 per neurone).

Secondo Penrose, l’evento cosciente nell’uomo, ovvero il passaggio dallo stato di pre-coscienza allo stato di coscienza, avviene in corrispondenza al raggiungimento, all’interno dei MTs, dello stato di massima “eccitazione coerente”. Come gli elettroni nella superconduttività (i quali muovendosi all’unisono permettono alla corrente di fluire senza ostacoli) così gli stati quantici presenti nei MTs cerebrali raggiungerebbero un valore soglia di coerenza che a seguito di effetti gravitazionali collasserebbero in modo orchestrato ogni 500 ms. La perdita di coerenza orchestrata (Objective Reduction) ciclica e ripetuta si tradurrebbe nella generazione di eventi fisici classici a cui sarebbero imputabili gli eventi di coscienza definiti in modo folkloristico “BING” da Stuart Hameroff (Hameroff at Google, 2008).

I fenomeni di coerenza quantistica, oltre a spiegare razionalmente le dinamiche dei processi, darebbero conto anche di quello che Penrose chiama aspetto olistico della mente. Il processo cosciente non può mai essere frutto dell’attivazione di una singola area del cervello ma deve scaturire dall’azione concertata in un gran numero di zone. L’oscillazione coerente dei MTs, la quale interessa la maggior parte del cervello, provvederebbe a quel collegamento globale essenziale per l’estrinsecazione dell’atto mentale, che per sua natura è classico ed euclideo. Tuttavia l’elaborazione di informazione associata ai processi coscienti necessita di una descrizione della logica sottostante ai processi stessi in termini di un certo linguaggio formale, ma quale?

Per un fisico classico, è sufficiente la logica classica. Per un fisico quantistico, si pensava fosse sufficiente la logica quantistica ortodossa (Birkhoff and Von Neumann, 1936). Ma l’informazione quantistica è elaborata da un computer quantistico, che non è un sistema quantistico “tout court” ma un sistema quantistico che computa ed ha delle caratteristiche “extra” che devono essere tenute in conto dalla logica che lo descrive. Serve, pertanto, una nuova logica per il calcolo quantistico (le logiche quanto-computazionali, finora non hanno fornito un calcolo di deduzione logica, dei sequenti, ma principalmente la semantica).
3. Metalinguaggio e controllo quantistico
Lo studio della “logica naturale” dei processi mentali è molto importante per lo sviluppo di un approccio costruttivista alla logica, secondo il quale la logica è un prodotto della mente e non è data di fatto come già esistente in un opportuno “mondo delle idee” di stampo platonico. A questo riguardo ci sono due possibili punti di vista, quello microscopico e quello macroscopico. Il secondo ci dice che si può partire dalla fenomenologia dei “processi di pensiero”, così come studiati nell’ambito della Scienza Cognitiva che, comunque, manca tuttora di una teoria unificata in proposito. 

Anche gli studiosi di filosofia della mente assumono in generale il punto di vista macroscopico (Kim, 2006; Braddon-Mitchell e Jackson, 2007; McLaughlin et al., 2009). Lo stesso si verifica per gli approcci costruttivisti, come il costruttivismo dinamico (Sambin, 2002), che sembrano poggiare su una interpretazione cognitiva e/o sociale dei processi mentali.

Invece il primo punto di vista, quello microscopico, si concentra sui processi quantistici che avvengono nel cervello e può essere formalizzato dalla Teoria Quantistica. I due punti di vista, comunque, non sono incompatibili, ma riguardano solo contesti diversi. In ogni caso il punto di vista microscopico, che può appoggiarsi su un formalismo matematico, è più adeguato allo studio di un sistema logico che sottende i processi mentali.

Se ora si adotta un punto di vista microscopico è più facile focalizzarsi su un metalinguaggio quantistico, che noi riteniamo essere un aspetto emergente dei processi quantistici che avvengono nel cervello. In generale il termine “metalinguaggio”, qui brevemente denotato con M, sta ad indicare un linguaggio che “parla” di un altro linguaggio L, detto “linguaggio-oggetto”. Si può vedere il metalinguaggio M come una caratteristica emergente del pensiero umano, pur di adottare un approccio costruttivista alla logica. Tuttavia il ruolo di M è assai importante nell’ambito dell’informatica, dove assume il ruolo di descrittore del sistema di controllo di un opportuno dispositivo o software (Van Harmelen, 1991).

Si può tuttavia notare che, nell’ambito di un sistema quantistico, il controllo (D’Alessandro, 2008) e quindi l’azione esercitata da M – non può essere esercitato servendosi di normali azioni di misura (tecnicamente si parla di “misure proiettive”, in quanto “proiettano” le molteplici potenzialità di un generico stato quantistico su una particolare specifica implementazione) in quanto esse distruggerebbero le caratteristiche tipiche del sistema quantistico stesso, derivanti dal fatto che le sue potenzialità sono legate dal fatto di essere una sovrapposizione lineare di più stati di base differenti. 

Occorre dunque ricorrere alle cosiddette “misure deboli” (Aharonov and Vaidman, 1988) che, pur non perturbando apprezzabilmente il sistema, consentono di conoscere le caratteristiche dei suoi stati quantistici. Il problema sollevato dall’utilizzo delle misure deboli è che esse danno luogo a stati quantistici di nuovo tipo, che generalizzano gli “stati coerenti” di tipo tradizionale, usati per esempio per descrivere la luce laser. 

Questi nuovi stati coerenti generalizzati rappresenterebbero la più profonda essenza dei processi mentali e, soprattutto, delle azioni di controllo sul pensiero, sul linguaggio e sull’azione esercitate dalla mente umana. Tuttavia la loro descrizione richiede una logica che, pur ispirata ad alcuni tipi di logica costruttivista, come la Basic Logic (Sambin et al., 2000), introduce concetti del tutto nuovi, come quello di “gradi di asserzione” delle proposizioni dati, in generale, da numeri complessi. Noi riteniamo che essa possa essere utile anche per affrontare il problema del linguaggio logico di un paziente schizofrenico, come cercheremo di delineare nei paragrafi che seguono.
4. Una nuova logica per l’informazione quantistica: una nuova logica per l’“It from qubit”.
Cos’è la computazione quantistica? Mentre nella computazione classica l’informazione binaria è comunemente rappresentata in termini di bits (che assumono valori 0 e 1) nella computazione quantistica l’informazione può esistere sotto forma di sovrapposizioni di valori 0 e 1 chiamati quantum bits o qubits. I qubits interagiscono o computano mediante un intreccio chiamato entanglement. Il collasso o riduzione degli stati fornisce, poi, la produzione di un risultato del calcolo espresso tramite i bits classici.

Nel modello Orch-OR la computazione quantistica avviene nei MTs. L’input classico ai MTs avverrebbe attraverso la connessione con le proteine associate ai MTs (MAP-2), che sintonizzano (orchestrando) il calcolo quantistico. L’output classico è dato dagli stati conformazionali che ciascuna tubulina assume nel momento del collasso della sovrapposizione quantistica, tradotta successivamente in eventi classici secondo opportune leggi che fungono da base per i successivi controlli neuronali come, ad esempio, l’insorgenza di spikes, i rapporti complessi tra le proteine citoplasmatiche e la modulazione di MAP-2 e della gap-junctions per preparare il successivo input classico. Questi eventi ciclici sono anche definibili come “esperienze fenomenali soggettive” (che non possono essere comunicate a nessuno) che in filosofia sono note come “qualia”. 

Nel modello di Penrose la sovrapposizione quantistica è vista come una separazione fondamentale della geometria spazio-temporale. Secondo una visione filosofica pan-protopsichica, i qualia sono inclusi nella geometria spazio-temporale fondamentale (alla scala di Planck) ed il processo Orch-OR permetterebbe di avere accesso e di selezionare specifici sets di qualia per ogni singolo evento conscio.

Se l’inconscio computa veramente secondo modalità quantistiche significa che esso “prepara” ad incredibile velocità ciò che noi riconosciamo come pensiero conscio, che è “classico” e deriva in effetti da una misura (una scelta). Non abbiamo molto tempo per rielaborare gli outputs dell’inconscio (solo mezzo secondo). Per questo il nostro pensiero classico è più che altro un flusso di prese di coscienza e non veramente un computer classico. Usiamo l’informazione (parziale) ottenuta da un gran numero di misure (collassi OR, secondo Penrose), ma in effetti non calcoliamo niente di nuovo.

Penrose sostiene a ragione che molti dei nostri processi cognitivi coscienti non sono algoritmici. Quando “dimostriamo un teorema” traduciamo soltanto, in termini di logica classica, ciò che abbiamo veramente calcolato durante lo stato inconscio in cui agivamo come computers quantistici. Il teorema di Gödel ha dimostrato, nell’ambito della teoria dei numeri e di quella degli insiemi, nonché nell’analisi matematica, che non è mai possibile giungere a definire la lista completa degli assiomi che permetta di dimostrare tutte le verità di una teoria sufficientemente complessa. 

Per queste ragioni è chiamato anche teorema di incompletezza. Rivedendo questo teorema in chiave quantistica, si deduce che noi “sappiamo” che esso è “vero” perché è dimostrabile nella fase inconscia. Tuttavia, noi non siamo in grado di ripercorrere tutti gli steps computazionali quantistici, non siamo in grado cioè di “tradurre” il calcolo quantistico in un calcolo classico. Quindi il teorema di Gödel ci appare vero ma non dimostrabile. 

Ma per il nostro inconscio il teorema è simultaneamente vero e falso (sovrapposizione quantistica) ed è dimostrato. Alla fine del calcolo, il valore risulterà vero con una certa probabilità. Quindi durante il calcolo quantistico, il sistema formale è (classicamente) inconsistente (si usa chiamarlo “paraconsistente”) e completo. Alla fine della computazione quantistica, il sistema formale ci appare consistente e incompleto. Ma è solo un problema della nostra coscienza, non un vero “no-go theorem”.
5. La logica dell’inconscio
Questo curioso e paradossale modo di descrivere i processi di dimostrazione quantistica suggerisce un parallelo con la logica apparentemente paradossale che caratterizza patologie mentali come la schizofrenia. La domanda fondamentale è dunque: come si può interpretare in termini di Meccanica 

Quantistica (e logicamente) una psicosi, ovvero la difficoltà del paziente nell’interagire con il mondo esterno?

Pensiamo all’inconscio come ad un computer quantistico. Nel computer quantistico agiscono cancelli logici quantistici che sono descritti matematicamente da operatori unitari U che operano trasformazioni reversibili e soddisfano una regola del tipo:
Tra questi, i più importanti sono l’Hadamard, che su un input classico agisce creando sovrapposizione quantistica e lo XOR, che, dati due qubits, crea l’entanglement.

Se per qualche motivo questi cancelli logici si bloccano (non si riesce a fare l’operazione inversa di decoerenza e disentanglement), la coscienza resta bloccata in uno stato quanto-computazionale. 

Questi cancelli logici quantistici sono di natura materiale, formati da atomi, ioni, ecc. È possibile quindi che un “reset” dei cancelli logici, apportato da psicofarmaci mirati o da altre tecniche, riesca a sbloccare la situazione. Va ora tenuto presente che il pre-conscio è lo strato psichico a cui si può accedere più facilmente, in quanto interposto tra conscio e inconscio (Kircher, 2003). Quando il passaggio dall’inconscio al conscio non trova sbocco nel pre-conscio, la comunicazione classica diventa impossibile (nei casi di psicosi tipo borderline e schizofrenia). 

Questo è dovuto al fatto che normalmente noi usiamo, quando interagiamo con gli altri e con lo stesso paziente, un metalinguaggio classico, che non è riconosciuto affatto dal linguaggio logico del paziente, che è quantistico (descritto, come abbiamo visto nel paragrafo 3, da una logica sub-strutturale, paraconsistente, e di tipo simmetrico, che generalizza quelle proposte dagli intuizionisti). [Box-2]. La comunicazione tra paziente e mondo esterno potrebbe, quindi, basarsi solo sull’aspetto logicoformale
6. La relazione tra la verità osservabile e la verità matematica di Penrose alla scala di Planck.
Solo un osservatore interno – al computer quantistico (CQ)– (Internal Observer, “I.O.”) sarebbe in grado di accedere alla verità globale nella sua interezza eseguendo un’unica misura interna (U). 

L’I.O. è un’astrazione matematica: è l’abitante di uno spazio quantistico dove si pensa immerso il
CQ. Ogni cella elementare dello spazio quantistico racchiude, per il principio olografico quantistico2 (Zizzi, 2000), un qubit di informazione “It-from-qubit”. Se lo spazio quantistico ha un numero di celle uguale al numero di qubits del CQ, lo spazio e il sistema, entrambi quantistici, sono in corrispondenza uno-a-uno. Un esempio è il caso di un sistema a due livelli; il primo livello è il qubit (il cui spazio degli stati è la sfera di Bloch), il secondo livello è lo spazio quantistico in cui si pensa immerso (la sfera fuzzy a due celle).

La teoria della gravità quantistica assume che lo spazio-tempo quantistico sia di natura discreta. Ciò significa che esso non è continuo ma esiste solo come insieme di specifiche unità quantistiche discrete di area e volume misurabili mediante un’unità fondamentale nota come lunghezza di Planck (1,61·10^-35 m). L’I.O. vivrebbe, dunque, alla scala della lunghezza di Planck; sarebbe anch’egli parte della gravità quantistica mentre “osserva” il processo quanto-computazionale.
La verità-osservabile che l’I.O. osserva è la verità matematica di Penrose che risiede appunto alla scala di Planck.

L’interpretazione logica dell’I.O. consiste in effetti in un osservatore classico (esterno) che adotta un metalinguaggio quantistico per controllare il linguaggio-oggetto del computer quantistico. In pratica, il finto I.O. imbroglia la macchina. D’altra parte, l’I.O. deve considerare che alla scala di Planck si origina la teoria quantistica della mente di Penrose. L’I.O. fittizio può infiltrarsi, dunque, tramite il metalinguaggio quantistico, nell’inconscio quantistico.

Se uno psicoterapeuta riuscisse ad adottare un metalinguaggio quantistico in modo da inserire un I.O. fittizio in grado di controllare il calcolo quantistico si potrebbe prospettare un ripristino della comunicazione tra il paziente ed il mondo esterno. Anche se questo processo è possibile, tuttavia la sua implementazione concreta richiede un gran numero di ulteriori conoscenze che ancora non possediamo. Vi è comunque il sospetto che, pur non conoscendo una “tecnologia” d’uso del metalinguaggio quantistico, già in passato, e anche attualmente, molti terapeuti abbiano di fatto utilizzato, senza saperlo, un metalinguaggio quantistico per comunicare con successo con i propri pazienti (Zizzi, 2009).

7. Conclusione
Anche se ancora non sappiamo come adottare un metalinguaggio quantistico, tuttavia va sottolineato come le acquisizioni della Meccanica Quantistica forniscano un quadro di riferimento concettuale che potrebbe aiutare nel facilitare la comunicazione terapeuta-paziente nel caso di patologie mentali come la schizofrenia. Quindi la ricerca dovrà puntare su domini come lo studio del cervello, delle teorie quantistiche e delle fenomenologie comportamentali di soggetti afflitti da problemi mentali con lo scopo di ottenere progressi nella direzione di individuare una “tecnologia” quantistica di interazione con questo tipo di soggetti.


[a] Dipartimento di Matematica Pura ed Applicata – Via Belzoni 7, Università di Padova – 35131 Padova – Italy zizzi@math.unipd.it
[b]QuantumBiolab- Dipartimento di Chimica Farmaceutica – Viale Taramelli 12, Università degli Studi di Pavia, 27100 Pavia – Italy – maxp@quantumbionet.org



Ringraziamenti:
Si ringraziano il Prof. Eliano Pessa per i preziosi suggerimenti forniti durante la stesura del testo e Valeria Pappalardo per il supporto tecnico.


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