“Fuoco e furia come il mondo non ha mai visto”ha strepitato The Donald. Dunque la guerra alla Corea del Nord è vicina?
McCain: “I grandi leader non minacciano se non sono pronti ad agire”.
Il capo del Pentagono generale Mattis, detto Mad Dog:
“Kim non inviti alla distruzione del suo popolo”.Poche ore dopo però, Mattis apre uno spiraglio alla trattativa.
”Stiamo lavorando a una soluzione diplomatica”basta che Pyongyang smetta di perseguire il suo programma nucleare.
Lunedì 7, Tillerson aveva lanciato:
“Il segno migliore che la Corea del Nord può mandarci per provarci che è pronta a negoziare sarebbe arrestare i suoi test missilistici”Insomma, quel che si dice un assist al dittatorello, e molto sbilanciato da parte del segretario di Stato dell’unica superpotenza rimasta. Kim ha risposto minacciando di nuclearizzare la base di Guam, Trump ha replicato “fuoco e furia”. E così adesso al Pentagono davvero devono preparare un attacco.
Forza, che ci vuole?
Ma no, un momento.
E’ giusto ora uscito un rapporto della DIA (Defense Intelligence Agency, la Cia dei militari, ma più seria) che rivela che le capacità nucleari della Corea del Nord sono state grossolanamente sottostimate. Che ha miniaturizzato le sue bombe in modo che può inastarle sui suoi missili intercontinentali. Che ne ha forse una sessantina, molte più di quelle che si credeva.
Ebben, se anche fosse? Su istigazione degli Usa, la NATO sta provocando senza Alcun timore la Russia, che di testate ne ha, diciamo, almeno 7 mila. Anzi il Pentagono ha già fatto avere ai nazisti di Kiev armi anticarro per sconfiggere i carri armati di Mosca.
Che ci vuole a vincere lo stato più povero del mondo, e tanto tanto lontano, che in realtà non configura davvero una minaccia, come ha spiegato Tillerson?
Eh no, andiamo piano, come si legge spulciando qua e là i media americani. Le forze convenzionali nord-coreane constano di 700 mila uomini sotto le armi, e decine di migliaia di pezzi d’artiglieria puntati su Seul, che dista solo 50 chilometri dal confine: sono 10 milioni di vite in pericolo. E poi, bisogna prima evacuare il personale americano civile, le famiglie dei militari, far convergere la potenza di fuoco schiacciante della superpotenza, l’unica rimasta.
“E ogni segno di imminente attacco, come la mobilitazione del Sud Corea o del Giappone e l’evacuazione dei cittadini americani può indurre la Corea del Nord all’attacco preventivo. Con Cina e Russia trascinate nel gorgo”.
Per la prima volta, si sente a Washington fare i conti di quanti danni fa la guerra all’economia. Posto che – apprendiamo- “la guerra in Siria ha prodotto un crollo del 60% del Pil del paese”, “una caduta del 50% del Pil sudcoreano spazzerebbe via un 1% del Pil globale, aggravando la crisi economica mondiale.
Poi, scherziamo?, la Corea del Sud produce il 40 per cento degli schermi piatti a cristalli liquidi del mondo, e il 17% dei semiconduttori; il blocco bellico di quelle forniture priverebbe le industrie elettroniche del pianeta di quel ben di dio.
Insomma, stavolta non si precipitano a guerreggiare, anzi siedono al tavolino e fanno i conti: non è che danneggiamo troppo l’economia mondiale?
Tanto più che è appena uscito un altro studio, stavolta dell’US Army War College, intitolato “At Our Own Peril: DoD risk assessment in a Post-Primacy World”, ossia “A nostro rischio – la valutazione del rischio al Pentagono in un mondo di post-supremazia”, dove si ammette che l’ordine internazionale governato dagli Usa dalla seconda guerra mondiale sta “logorandosi” e anzi “collassando”, che la dottrina del “New American Century” va forse messa nel cassetto.
Per New American Century si intende una cosa precisa: la dottrina militare emanata dai neocon del governo Bush jr. dopo e col pretesto dell’11 settembre, che dettava:
“il fondamento di un mondo pacifico poggia sulla capacità delle forze armate Usa di mantenere un sostanziale vantaggio sugli altri, onde impedire l’emergere di competitori militari”capaci di sfidare la suprema zia indiscussa Usa. Adesso, dice, lo studio, che non solo Cina e Russia, ma anche Turchia e Iran, India e perfino Germania e Francia rappresentano “nuove competizioni funzionali militari”, gli Usa non sono più in grado di “gestirli”, per cui è meglio che ci decidiamo di convivere con tali “rischi”.
Dall’insieme, emerge una certa qual paura: non siamo sicuri di vincerla, una guerra seria. Lo studio potete leggerlo qui: https://ssi.armywarcollege.edu/pdffiles/PUB1358.pdf
E poi c’è un accurato riesame del voto americano, condotto dall’università del Minnesota e quella i Boston, Dipartimento di Scienze politiche, che ha stabilito quanto segue: le circoscrizioni, le contee e le cittadine dove i democratici vincevano ed invece hanno perso, sono quelle che hanno visto arrivare più soldati morti e mutilati dei 15 anni di guerre americane.
(vedi Battlefield Casualties and Ballot Box Defeat: Did the Bush-Obama Wars Cost Clinton the White House? https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2989040)
Hanno votato Trump gli americani stanchi di guerra, perché Hillary ne prometteva un’altra. Dunque non è proprio il caso che Donald si metta la mimetica di commander in chief..
Brian Williams, anchorman della MSNBC, durante il talk show “The Eleventh Hour”, ha buttato lì una frase istruttiva:
“Il nostro compito stasera è in fatti di spaventare la gente fino alla morte sulla Corea delk Nord” (“‘our job tonight actually is scare people to death’ about North Korea”),il che conferma ancora una volta come i media in Occidente siano diventati dei sistemi di manipolazione in mano al Deep State. Ma insomma rivela una vera paura.
Ragionevolezza contro folliaQuindi evidente prudenza con la Corea del Nord. Ma allora, perché tanta provocazione contro la Russia? Tante minacce guerrafondaie a Mosca? Che cosa fa la differenza tra Putin e Kim?
Ebbene: è la ragionevolezza dell’uno contro la pazzia dell’altro.
Essi sanno che Putin è uno statista responsabile, avulso dai colpi di testa, civile, pronto al negoziato; quindi lorsignori possono permettersi rischi e provocazioni all’ombra delle sue testate nucleari.
Su Kim, temono le sue sorprese e follie, l’imprevisto colpo di testa; lo ritengono capacissimo di sparare bombe atomiche, quindi sono loro ad andare con la testa sul collo e i piedi di piombo.
Rischiando che Putin un giorno sia sostituito da uno dei suoi più incline a reagire.
In altro articolo, avevo scommesso che gli Usa non scateneranno la guerra contro Pyongyang anche per un altro motivo: “Non interessa ad Israele”, che vuole da Trump la guerra contro l’Iran, anche a costo di sfidare la Russia.
Alcuni lettori hanno creduto di smentirmi, riportandomi varie valutazioni del ministro israeliano della guerra, Avigdor Lieberman, il quale “ha dimostrato” che la Corea del Nord è complice dell’Iran nella fabbricazione della bomba atomica, e Teheran ha assistito Kim anche nella produzione dei missili intercontinentali.
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In realtà, cari lettori, questo conferma la mia tesi. Con queste “prove”, Israele vuole dire agli americani: incenerite l’Iran e risolverete anche la questione nord-coreana, è a Teheran la testa del serpente da schiacciare, non a Pyongyang.
Se non avete la memoria troppo corta, ricorderete cosa propugnarono i neocon, i Wolfowitz, i Perle, dopo l’11 Settembre: sì, ad abbattere le Twin Towers è stato Osama Bin Laden, ma bisogna attaccare l’Irak, perché Saddam Hussein è lo sponsor di Al Qaeda.
Sadam era allora il bersaglio della paranoia e fissazione israeliana, come oggi l’Iran. Non è che rinnovino molto i vecchi trucchi.
Tanto, voi dimenticate presto.
Maurizio Blondet
fonte: http://www.maurizioblondet.it/washington-piu-paura-kim-putin-perche/
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