Non
è il caso di aggiungere altre parole. Come già detto ieri ci si sente
male a leggere quanto riportiamo. Noi ribadiamo la nostra fiducia ed
ammirazione per tutti gli uomini e le donne non solo della Guardia di Finanza ma di tutte le Forze di Polizia e militari
che credendo in valori come la legalità, la giustizia, il rispetto,
l’etica e la morale, ecc… tutti i giorni indossano l’uniforme per
servire lo Stato con onore.
Ciò non toglie che l’informazione deve essere fatta anche quando fa male. Abbiamo già trattato l’argomento negli articoli Guardia di Finanza, agghiacciante dichiarazione di un maresciallo. e Italia, Stato di Polizia? E’ caccia al Maresciallo della Guardia di Finanza che ieri … ed
oggi come ne siamo venuti a conoscenza abbiamo riportato il testo
integrale dello “sfogo” del Maresciallo della Guardia di Finanza.
Fonte: FICIESSE.IT
NOI FINANZIERI, AL LAVORO PER ROVINARVI.
UN MARESCIALLO DELLA GDF RIVELA: DOBBIAMO RAGGIUNGERE I TARGET
PREFISSATI. SOLO COSI’ SI LEGITTIMANO GLI STIPENDI DEI NOSTRI GENERALI,
CHE SONO DECINE. I NOSTRI VERTICI SONO LONTANI DALLA REALTÀ. FORMAZIONE
ASSENTE, RISORSE ALL’OSSO, OSSESSIONE NUMERI (Libero)
Libero- 26 aprile 2014
Memorie di un finanziere della polizia
tributaria. Si potrebbe intitolare così il sorprendente documento
esclusivo che state per leggere. Si tratta della trascrizione, fedele
alla lettera, del disarmante sfogo di un disincantato, onesto e
preparato maresciallo della Guardia di Finanza, impegnato da diversi
lustri nei temutissimi controlli alle imprese. L’uomo, di cui evitiamo
di indicare dati anagrafici e curriculum per non renderlo riconoscibile,
ha apparecchiato per Libero uno zibaldone di pensieri, suddiviso in
capitoletti, sul suo lavoro di tutti i giorni. Che per lui è diventato un tran tran asfissiante, capace di condurlo quasi al rigetto.
Il risultato è questa spietata radiografia che stupisce e, in un certo
senso, preoccupa di un mestiere che tanto trambusto porta nelle vite
degli italiani. Infatti in questo sfogo il militare dipinge le ispezioni
delle Fiamme gialle come un ineluttabile meccanismo
stritola-imprenditori il cui obiettivo non sarebbe una vera e sana lotta
alle frodi fiscali, ma una fantasiosa e famelica caccia al tesoro
indispensabile a lanciare le carriere di molti professionisti
dell’Antievasione. «Nel nostro lavoro ci sono forzature evidenti, a volte imbarazzanti»,
ammette con Libero il maresciallo. Che qui di seguito svela retroscena e
segreti dei controlli che intralciano ogni giorno il lavoro di
centinaia di imprenditori. Una lettura che potrebbe agitare qualcuno e
far alzare il sopracciglio ad altri. Ma a tutti deve essere chiaro che
non di fiction si tratta e che domani il nostro maresciallo e la sua
pattuglia potrebbero bussare alla vostra porta. Preparatevi a leggere il
testo di questo finanziere raccolto in esclusiva da Libero.
Ossessione numeri -
Dietro alle verifiche ci sono enormi interessi economici: il dato del
recupero dell’imposta serve a molti. Sia ai politici che ai finanzieri.
Nella Guardia di Finanza il raggiungimento degli obiettivi
legittima l’ottenimento dei premi incentivanti e gli stipendi stellari
dei generali, che sono decine: uno per provincia, più uno per regione.
Nel nostro Corpo esistono vere e proprie task-force che si occupano di
fare previsioni di recupero d’imposta e a fine anno queste devono essere
raggiunte, come se l’evasione fiscale si basasse su dei budget. Gli
operatori sul territorio sono meno di chi elabora questa realtà
virtuale, su 64 mila finanzieri siamo circa 4 mila a fare i controlli.
Indietro non si torna – A fine anno i
generali chiedono il dato dell’imposta evasa constatata e lo confrontano
con quello dell’anno prima. Il risultato non può essere inferiore a
quello di 12 mesi prima.
Se il dato scende bisogna dar conto al
reparto centrale di Roma del perché si siano recuperati meno soldi e il
comandante del reparto periferico rischia di vedersi bloccare la
carriera. Per questo le nostre verifiche proseguono anche di
fronte a evidenti illogicità. I nostri ufficiali parlano solo di numeri e
quando hanno sentore di un risultato, magari per una previsione
affrettata di un ispettore, corrono dai loro superiori anticipando che
da quella verifica potrà venir fuori un certo risultato: a quel punto
non si può più tornare indietro. Il verbale diventa subito una statistica, una voce acquisita e ufficiale di reddito non dichiarato.
Quando si prospetta un ventaglio di possibilità per risolvere una
contestazione si concentrano le energie sempre su quella che porta il
risultato più alto. Che sarebbe poco grave se fosse la strada giusta. Ma
spesso non lo è. Per la Finanza quello che conta è il dio numero. Il nostro unico problema è come tirarlo fuori.
Per riuscirci c’è un nuovo strumento
infernale, la cosiddetta “mediana”, che va di gran moda tra gli
ufficiali. La si pronuncia con rispetto e deferenza, anche perché da
essa dipende la carriera di chi la evoca. Si tratta di uno studio fatto a
tavolino, che stabilisce il valore medio della verifica necessario a
raggiungere gli obiettivi, il tetto al di sotto del quale non si può
andare. Se capiamo che in un’azienda il verbale sarà di entità
inferiore alla mediana, derubrichiamo la verifica a controllo in modo
che non entri nelle statistiche ufficiali.
Alla Guardia di Finanza
abbiamo uffici informatici che elaborano dati in continuazione. Ma si
tratta di numeri “drogati”, come lo sono quelli dei sequestri. Nei
magazzini dei cinesi ho visto colleghi registrare alla voce “giocattoli”
ogni singolo pallino delle pistole per bambini. Spesso questi servizi
si fanno in occasione delle feste natalizie, così passa l’informazione
che sul territorio c’è sicurezza.
Con questi numeri i generali si riempiono la bocca il 21 giugno, giorno della festa del Corpo. Lo speaker spara cifre in presenza di tutte le autorità, dei presidenti dei tribunali, dei politici, ecc. ecc. Quel giorno è un tripudio di dati pronunciato con voce stentorea: recuperata tot Iva, scovati tot milioni di redditi non dichiarati, arrestati x emittenti fatture false. Una festa!
Normativa astrusa - La normativa tributaria italiana è talmente ingarbugliata che si presta alla nostra logica del risultato a ogni costo.
Per noi è piuttosto semplice fare un rilievo visto che siamo aiutati da
questa legislazione astrusa e abnorme, spesso contradditoria e
conflittuale. Nel nostro Paese è quasi impossibile essere in regola e
per chi lo sembra ci prendiamo più tempo per spulciare ogni carta.
Infatti se una norma può apparire favorevole all’imprenditore, c’è
sicuramente un’altra interpretabile in maniera opposta. E in questo ci
aiuta l’oceanica produzione di sentenze, frutto di un eccessivo
contenzioso. Un contratto, un’operazione possono essere interpretati in
mille modi e alla fine trovi sempre una sentenza della Cassazione che ti
permette di poter fondare un rilievo su basi giuridiche certe. Questo è
il Paese delle sentenze.
Analizzando un bilancio, un’imperfezione si trova sempre.
Magari per colpa dello stesso controllore che prima dice
all’imprenditore di comportarsi in un modo e poi in un altro,
inducendolo in errore. Per esempio, su nostro suggerimento, un’azienda
non contabilizza più certe spese come pubblicità (deducibili), ma come
spese di rappresentanza (deducibili solo in parte). Quindi arriva
l’Agenzia delle Entrate e spiega che quelle non sono né l’una né
l’altra. A volte succede che qualcuno abbia già subito un controllo,
abbia aderito a un condono e, zac, arriviamo noi e contestiamo lo stesso
aspetto, ma in modo diverso. Dopo i primi anni nel Corpo non ho più
sentito di controlli chiusi con un nulla di fatto e in cui si torna a
casa senza aver contestato qualcosa. Alla fine chi lavora impazzisce.
Chi sbaglia non paga – Come è possibile
tutto questo? Semplice: perché chi sbaglia non paga, ma anche perché chi
sbaglia non saprà mai di averlo fatto. Il motivo è semplice: noi non comunichiamo con l’Agenzia delle Entrate e non sappiamo mai che fine facciano i nostri verbali.
Per questo se ho commesso un errore non lo verrò mai a sapere: il
nostro è solo un verbale di constatazione, a renderlo esecutivo è
l’Agenzia delle Entrate che lo trasforma in verbale di accertamento.
Però raramente i nostri colleghi civili bocciano il nostro lavoro, anzi
questo non succede nel 99,9 per cento delle situazioni. Si
fidano di noi e, anche se sono molto più preparati, nella maggior parte
dei casi prendono il nostro verbale e lo notificano, tale e quale, al
contribuente. Quello che sappiamo per certo è che i nostri
verbali, giusti o sbagliati che siano, diventano numeri e quindi non ci
interessa che vengano annullati, tanto non ne verremo mai a conoscenza
né saremo chiamati a risponderne. Per noi resta un grosso risultato. E
visto che nessuno paga per i propri errori, il povero imprenditore
continuerà a trovarsi ignaro in un castello kafkiano fatto di norme e
risultati da ottenere.
Imprese sacrificali – Gli
imprenditori con noi sono sempre gentili, ci accolgono con il caffè,
sopportano di averci tra i piedi per settimane, ma si capisce che
vorrebbero dirci: scusateci, ma avremmo pure da lavorare. A noi
però questo non interessa: dobbiamo contestargli un verbale a qualsiasi
costo e quando bussiamo alla loro porta sappiamo che non hanno
praticamente speranza di salvezza. Per contrastare e contestare questa
trappola infernale l’imprenditore è costretto a pagare consulenti
costosissimi, ma noi rimaniamo sempre sulle nostre posizioni. A volte
capita che per provare a difendersi il presunto evasore chiami in
soccorso come consulenti ex finanzieri, ma spesso questo non gli evita
la sanzione. Anzi.
Negli ultimi anni ho notato una certa
arrendevolezza da parte degli imprenditori: dopo un po’ si stancano.
Capiscono, e ce lo dicono, che tanto dovranno fare ricorso perché noi
non cambieremo idea. Per tutti questi motivi molti di loro costituiscono
a inizio anno un fondo in previsione della visita della Finanza. Sono
coscienti che qualcosa dovranno comunque pagare.
Chi fa veramente le grandi porcate, chi
apre e chiude partite Iva, emette false fatture o costituisce società di
comodo magari alle Cayman è molto più veloce di noi e per questo non lo
incastriamo, mentre azzanniamo quelli che operano sul territorio e che
sono regolarmente censiti nelle banche dati. Alla fine lo Stato
colpisce sempre i soliti noti. Non è una nostra volontà, ma dipende dal
fatto che non abbiamo risorse per fare la vera lotta all’evasione e in
ogni caso dobbiamo fornire dei numeri al ministero per poter legittimare
la nostra esistenza come istituzione. Anche in Europa.
Tangente di Stato – L’imprenditore, se
accetta la proposta di adesione al verbale entro 60 giorni, paga solo un
terzo di quanto gli viene contestato e spesso salda anche se non lo
ritiene giusto, per togliersi il dente ed evitare ricorsi costosi (a
volte più dei verbali) e sine die. In pratica accetta di pagare una
tangente allo Stato. Agli imprenditori i ricorsi costano molto e se la
commissione provinciale, il primo grado della giustizia tributaria, dà
ragione allo Stato, l’imprenditore prima di ricorrere alla commissione
regionale, il secondo grado, deve pagare metà del dovuto. Per questo chi lavora spesso preferisce chiudere la partita all’inizio, pagando un terzo.
Giustizia da farsa – Il contradditorio
tra Guardia di Finanza e imprenditori durante le verifiche è una farsa,
perché ognuno rimane sulla propria posizione, ma va fatto per legge. Nel
contradditorio gli imprenditori non hanno scampo: quel numero,
quell’ipotesi di evasione, ormai è stato venduto e non può più essere
ridimensionato. È entrato nel sistema e nelle nostre statistiche. A noi non interessa se magari dopo anni quel verbale verrà annullato e non avrà prodotto alcun introito per lo Stato.
Le cose non vanno meglio con la giustizia tributaria, gestita da commissioni composte da avvocati, commercialisti, ufficiali
della Finanza in pensione che fanno i giudici tributari gratuitamente
giusto per fare qualcosa o per sentirsi importanti. È incredibile, ma in Italia il sistema economico-finanziario viene affidato a un servizio di “volontariato”.
La verità è che un tale esercito di
volontari senza gratificazioni economiche non se la sente di cassare
completamente il lavoro di finanzieri e Agenzia delle Entrate e
l’imprenditore qualcosa deve sempre pagare. Difficilmente questi giudici
per hobby danno torto allo Stato.
L’assurdità è che vengono pagati 30-40 euro per motivare sentenze complesse che hanno come oggetto verbali da milioni di euro, scritti da marescialli aizzati dal sistema.
Formazione assente - Il nostro
vero problema è la mancanza di specializzazione di un Corpo che cerca di
riscattarsi nel modo sbagliato, provando a portare a casa grandi
risultati, sebbene “storti”. A volte l’ignoranza aiuta a far
montare un rilievo che non sta né in cielo né in terra. Sulla nostra
formazione non ho niente da dire, perché non esiste. Eppure dobbiamo
confrontarci con specialisti agguerriti, leggere documenti in lingue
straniere, e la gran parte di noi non sa una parola in inglese. Non
ci forniscono nemmeno i codici tributari aggiornati, mentre spendono
milioni per farci esercitare ai poligoni, visto che siamo
inspiegabilmente ancora una polizia militare, come solo in Equador e
Portogallo. Un commercialista lavora 12 ore al giorno e si
forma continuamente.
Dall’altra parte della barricata c’è gente come noi
che non vede l’ora di scappare via dall’ufficio, dove spesso non ha
neppure a disposizione una scrivania o la deve condividere con altri
colleghi. In questo modo il lavoro diventa l’ultimo dei pensieri. I più bravi vanno in pensione appena possono, per riciclarsi come professionisti al soldo delle aziende. Ci vuole una fortissima motivazione per studiare una materia terribile come il diritto tributario. Avvocati
e commercialisti trovano gli stimoli nelle parcelle, da noi un
maresciallo con vent’anni di servizio guadagna 1.700 euro. Gli incentivi
li dobbiamo trovare dentro di noi, magari pensando di sfruttare il
sistema per trovare un altro lavoro. È illogico che un mestiere
così delicato, dove si contestano milioni di euro d’evasione, sia
affidato a gente sottopagata e impreparata. L’unico modo di tenersi
aggiornati è quello di studiare a proprie spese, pagandosi master e
corsi. Purtroppo la formazione è costosissima e spesso ci rinunciamo. È
chiaro che un sistema del genere presti il fianco al rischio della
corruzione.
In più bisogna considerare che per noi le
verifiche sono particolarmente rischiose. In base alla mia esperienza
non le facciamo con la giusta professionalità, possiamo commettere
errori in buona fede, essere invischiati in fatti che neanche capiamo.
Per esempio alcuni di noi sono stati accusati di aver ammorbidito un
verbale per un tornaconto, in realtà lo avevano fatto per ignoranza e
per questo ora quasi nessuno vuole più fare questo tipo di lavoro.
Risorse all’osso – I nostri capi
hanno budget di spesa sempre più ristretti. Nonostante ciò ogni
ufficiale deve portare a casa i risultati con i soldi e le pattuglie che
ha. Risultati almeno uguali a quelli dell’anno precedente. A causa di
questa mancanza di mezzi siamo costretti a portare via dalle aziende
penne, risme di carta, spillatrici. E secondo me gli imprenditori se ne
accorgono, ma non dicono nulla per compassione.
Onestamente gli ufficiali non sono responsabili di questa penuria di risorse, visto che i fondi destinati alla lotta all’evasione vengono decisi dai politici. Ma la frustrazione dei nostri superiori viene compensata da ottimi stipendi personali che lievitano grazie ai risultati conseguiti. Cosa che ovviamente non succede a noi.
Nel nostro lavoro, la mattina, ammesso
che trovi una macchina libera, devi prima fare car-sharing e
accompagnare diversi colleghi ai reparti, quindi ti restano due o tre
ore per fare visita a un’azienda. Quando rientriamo da una verifica il
nostro principale problema è segnare sul registro quanti chilometri
abbiamo fatto e quanta benzina abbiamo consumato. Arriveremo al
paradosso di fare le verifiche in ufficio a contribuenti trovati su
Google.
Lontani dalla realtà – I nostri
vertici sono lontani dalla realtà, sono convinti che noi facciamo “lotta
all’evasione”. C’è una distanza siderale tra chi sta in trincea, come
me, e chi vive nei salotti. Un maresciallo può parlare solo con
il tenente e non con i gradi superiori. Il nostro messaggio viene
filtrato e arriva al vertice completamente distorto. Nel nostro sistema
militare non conta quello che pensi del tuo lavoro, ma il grado che hai
sulle spalle. L’ufficiale non va a riferire al superiore se l’ispettore
gli ha detto che un controllo potrebbe non portare a niente. Al
contrario insinua nei vertici la speranza che un risultato arriverà. E
così chi va in giro per aziende deve ingegnarsi per trovare il cavillo
che porti al risultato, solo per sentirsi dire bravo o per una pacca
sulla spalla. L’animo umano si accontenta di poco. In questa
catena di comando in cui tutti devono fare carriera non sono ammessi
dubbi od obiezioni, l’informazione reale resta a valle, al generale
arriva quella virtuale, il famoso “numero”. In nome del quale vengono
immolati molti evasori virtuali.
§§§§§§§§§§
“Ovviamente la Guardia di Finanza non ha gradito. … ha fatto scattare dentro il corpo una specie di caccia all’uomo.”
Credevamo
che le polemiche fossero finite. Invece dobbiamo registrare toni sempre
più forti nelle parole del direttore di LiberoQuotidiano.it, Maurizio Belpietro come si evince dal suo editoriale che vi riportiamo:
Ovviamente la Guardia di Finanza non ha gradito. L’intervista con cui un uomo delle Fiamme Gialle ha raccontato i soprusi compiuti nella lotta all’evasione ha fatto scattare dentro il corpo una specie di caccia all’uomo.
Gli alti papaveri del comando generale vogliono sapere chi sia la gola
profonda che ha «cantato», divulgando i sistemi con cui vengono compiuti
gli accertamenti fiscali.
In particolare ha dato fastidio che
l’informatore abbia svelato come sempre più spesso non si punti a
stanare chi non paga le tasse, ma ci si preoccupi esclusivamente di fare
«gettito». Così nel mirino finiscono in gran quantità le
persone oneste, che le imposte le hanno sempre versate, ma che hanno il
torto di essere facile preda proprio a causa della loro correttezza. Come
ha spiegato l’anonimo finanziere, prendere i grandi evasori, coloro i
quali si nascondono nei paradisi fiscali o dietro società di comodo,
cambiando spesso partita Iva, è difficile. Molto più semplice
invece presentarsi alla porta di un’azienda in regola con il fisco,
contestando errori formali, piccole infrazioni sempre possibili a causa
della complessa legislazione fiscale in vigore.
«Quando bussiamo alla porta di un
imprenditore sappiamo già che non ha scampo e dovrà rassegnarsi a
pagare», ci ha rivelato il nostro interlocutore dentro le Fiamme Gialle.
Infatti, piuttosto che intraprendere una battaglia lunga, denunciando
gli accertamenti, in molti preferiscono la via breve, ovvero rassegnarsi
a versare un terzo della multa ed evitare di ingaggiare un contenzioso
fiscale costoso e dagli esiti incerti.
«In questo modo si consente agli ufficiali di annunciare successi nella lotta all’evasione e i governi festeggiano», sostiene la nostra gola profonda, che nell’intervista ha aggiunto qualcosa di più. Grazie a questo sistema si costruiscono le carriere dei comandanti e si ottengono i premi per gli obiettivi raggiunti.
E questa è la rivelazione che ha più infastidito gli alti papaveri, che
ovviamente non hanno alcuna voglia di ammettere che molti accertamenti
non portano a scovare gli evasori, ma soltanto a gonfiare le statistiche
e il volume delle infrazioni.
Tuttavia, a fronte della reazione stizzita di una parte delle Fiamme
Gialle (è ovvio che la maggior numero di aderenti al corpo cerchi di
fare al meglio il proprio mestiere, evitando i soprusi nei confronti
del contribuente) c’è anche la soddisfazione di molti imprenditori che
finalmente vedono rappresentati i propri problemi con il Fisco. Fin dalla mattina in redazione sono giunte numerose lettere di vittime della Guardia di Finanza.
Gente onesta. Industriali, artigiani e professionisti e commercialisti
che si sono visti contestare evasioni mai commesse, ma che, pur avendo
sempre versato il dovuto, non hanno potuto sottrarsi alla multa. «Avete
scoperto l’acqua calda», ci rimprovera qualcuno. Forse. O forse
semplicemente sono così sotto gli occhi di tutti gli eccessi di un
sistema che rischia di taglieggiare le persone per bene, che sembra
quasi ovvio ci si rassegni alla situazione, senza parlarne e senza
denunciare l’anomalia.
Al contrario, noi pensiamo che sia giusto
parlarne, anzi che sia opportuno dare voce a chi si ritiene
ingiustamente vessato. Il rapporto tra cittadino e Fisco è già complesso
causa dell’elevata pressione fiscale, in quando i governi che si sono
succeduti in quasi settant’anni di Repubblica hanno sempre pensato di
far quadrare i conti aumentando le tasse. Non c’è dunque bisogno di
aggiungere qualcosa che somiglia molto a un’estorsione, anzi a una
specie di tangente legalizzata. È per questo che apriamo le pagine di
Libero a chi vorrà segnalarci la sua storia, raccontando i soprusi di
cui si sente vittima. Forse, denunciare l’aggressione di uno Stato che
manda i suoi uomini a fare i gabellieri così come facevano nel passato i
castellani del Medioevo contribuirà a farci sentire un po’ meno
sudditi. In Gran Bretagna quando il Fisco bussa alla porta di un
contribuente chiede permesso e fissa un appuntamento scusandosi. Sarà
bene che cominci a farlo anche qui.
di Maurizio Belpietro
maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it
@BelpietroTweet
maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it
@BelpietroTweet
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